But Here We Are dei Foo Fighters, dieci tracce di velluto bianco (recensione)

Da almeno 25 anni abbiamo capito che Dave Grohl ha sempre tanto da dire e scrivere: But Here We Are dei Foo Fighters era un disco necessario? La nostra recensione

but here we are dei foo fighters

Ph: Andreas Lawen, Fotandi/Wikimedia


INTERAZIONI: 3

Il velluto è d’obbligo e cercheremo di usarlo con parsimonia. But Here We Are dei Foo Fighters è un album che merita rispetto e non è certo il caso di spiegare perché. Dave Grohl è un vulcano di idee e lo ha dimostrato sin dai tempi dei Nirvana, dato che grazie a lui Kurt Cobain e Novoselic trovarono quel sound che rese la band un fenomeno mondiale. Non è tutto: Grohl è la star che partecipa ai progetti all star, che ha reso grande Songs For The Dead dei Queens Of The Stone Age e ha reso possibile progetti come Probot e Them Crooked Vultures.

Una lunga, dolorosa e doverosa premessa

Vulcanico, dicevamo, perché dopo la morte di Taylor Hawkins ha tenuto in piedi la squadra per sfornare un disco sul quale vomitare tutto il dolore e la rabbia che si provano quando uno della famiglia scompare prematuramente. Perché sì, quando perdiamo un pezzo di cuore viviamo nel dolore e nella rabbia. But Here We Are dei Foo Fighters è quel racconto, dedicato a Taylor e non solo. Al suo interno troviamo tutto ciò che i Foo Fighters ci hanno regalato in 25 anni, anche le cose brutte.

Chi scrive non ama l’attitudine garage della band che troppo spesso si è persa nello scherzo disimpegnandosi dalla profondità. Un bene, se pensiamo che l’arte è la domenica della vita; un male per chi non è uscito vivo dagli anni ’90. Fortunatamente siamo di fronte a un disco in cui la voce di Dave Grohl non è sempre un grido, e tutti i migliori produttori sanno che fare un disco “tutto a manetta” è controproducente, perché le leggi della dinamica verrebbero infrante, perché ci sarebbe monotonia.

Va detto che a Grohl va il merito di non aver spettacolarizzato la morte del compagno, senza interviste speculative né dichiarazioni strappalacrime. Il silenzio è durato fino all’annuncio a sorpresa di But Here We Are, un disco che nessuno si aspettava, ma che era già nell’aria. Conoscendo Dave, ovviamente.

Il rock classico dei dischi precedenti c’è, un po’ meno si può dire per il post-grunge o il punk: siamo di fronte a un ibrido tra l’anima matura di Dave, poliglotta in termini di stile, e le sperimentazioni di Medicine At Midnight che qui ritroviamo in una veste più malinconica. But Here We Are dei Foo Fighters è rabbia e dolore. Lo abbiamo già detto, ma c’è poco di scontato.

But Here We Are LP White
  • But Here We Are LP White

But Here We Are dei Foo Fighters, il pop secondo Dave Grohl

Rescued e Under You sono senza dubbio pezzi radiofonici, e se non fosse per il contesto e per i testi li skipperemmo: sono canzoni da stadio e visioni celebrative del backstage, nient’altro. Qualcosa cambia con Hearing Voices, e in meglio: Dave Grohl e i suoi Foos ci tirano per il collo e ci sbattono negli anni ’80 del romanticismo post-punk e l’asticella si alza non poco. La title-track è un 7/4 inedito con la voce di Grohl nervosa, non rabbiosa, e questa costante tensione sorprende perché è quasi un fatto inedito per la band.

The Glass, altro pezzo valido, è facile immaginarlo con la voce del Billy Corgan di Today e ci prepara con gentilezza a Nothing At All, un bel pezzone mid tempo sostenuto.

Intensa anche Show Me How, che cede il passo alla “strana” Beyond Me a tratti troppo soft e a tratti troppo rumorosa, ma apprezzabile. The Teacher è la suite a sorpresa di cui tutti parlano ma che suona un po’ come il pezzo più ambizioso del disco, dedicato alla madre di Grohl. Oseremmo dire sopravvalutato, anche se tutti parlano di “progressive” scomodando un mondo fin troppo lontano dalle corde di Grohl.

Il gran finale – grande, davvero – arriva con Rest, la ballatona finale che esplode nel mezzo e ritorna soffice sul finale. Intensa, come l’intento di But Here We Are dei Foo Fighters che potrebbe essere un gran disco se Grohl e soci si fossero concentrati meno sulla voglia di fare casino e più sulla profondità, ma è ciò che hanno (quasi) sempre fatto.