Dentro Gazzelle, dove si rischia l’indie-gestione (recensione)

Gazzelle ritorna con un nuovo album, che per troppi aspetti di "nuovo" ha solo l'età anagrafica. Ecco la recensione

dentro di gazzelle

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Ogni album è un punto di non ritorno, e Dentro di Gazzelle è una messa alla prova di cosa è stato dopo OK (2021) il mondo di Flavio Bruno Pardini. Di fronte a una nuova esperienza discografica ogni artista si mette in gioco, perché non funziona come quando sputi fuori un singolo che ritieni perfetto per tenere a cuccia i fan che ti chiedono altra musica, o per farli ballare tra i tossici tormentoni estivi.

Di Gazzelle, per fortuna, non esistono adulatori passivi come accade per le grandi star di cui non faremo nomi per evitare torrenti di vomito. Di Gazzelle esistono i fan, quelli che lo seguono senza aver bisogno che glielo dica un banner o uno spot. Per questo il Flavio dal 2017 racconta se stesso in ogni sfumatura che oggi, con Dentro, si consolida e conferma. La pecca è una latente monotonia che possiamo così definire se ascoltiamo il disco con lo spirito polemico, ma allo stesso tempo possiamo parlare di coerenza. Probabilmente la sperimentazione non è nelle corde di Gazzelle, e questo non è un male. C’è chi sperimenta arrivando a fare più schifo di prima. Flavio, piuttosto, resta nella sua zona di comfort e fa ciò che gli riesce meglio.

Negli anni ’90 avrebbe fatto storcere il naso ai fan di Daniele Groff, e la scuola brit-pop di Gazzelle è tutta nella sua manifesta passione per i fratelli Gallagher. Con Liam, del resto, sogna di duettare ma preferisce volare basso. “Sono solo un piccolo cantautore di quartiere”, spiega a Rolling Stone. Dentro di Gazzelle è il classico disco à la Gazzelle: crepuscolare, perché la sua musica è perfetta per la notte; romantico, perché per parlare d’amore non serve solo quella nauseante serotonina ostentata da certe pop-star; maturo perché sì, nel suo quarto album Gazzelle (o il suo personaggio) ha trovato l’amore e decide di raccontarlo.

Con la prima traccia Qualcosa Che Non Va la dichiarazione di intenti ci viene sbattuta sul grugno, un po’ come fece Paolo Benvegnù nella sua Impressionabili: “È la mia verità, e spero possa esploderti in faccia e spaccarti la testa”. Dalla prima canzone Gazzelle confessa di non sentirsi felice, fino a sposare il racconto urbano con Idem che, del resto, aveva scelto per anticipare il disco.

Il discorso continua qualche traccia più avanti con Flavio, dove dietro l’apparente pop leggiadro si nasconde una disperata richiesta di essere lasciato in pace, scegliendo il suo nome di battesimo come titolo. A proposito di zona di comfort, il Flavio fa capolino dal suo guscio tendendo la mano a thasup in Quello Che Eravamo Prima, Fulminacci in Milioni e Noyz Narcos in Roma. L’amore, la malinconia e Roma sono i tre main characters preferiti da Gazzelle, che sembra scrivere i suoi brani sotto la pioggia, in piena notte (lo abbiamo già detto) e in quei momenti in cui ti chiedi perché non hai tirato due cartoni al compagno di scuola che ti mancò di rispetto nel 1996.

Perché parliamo di uscita dalla zona di comfort? Con i suoi ospiti speciali Flavio si approccia al rap, che certamente non è una novità ma è sempre un chiaro tentativo di tornare in superficie per dimostrare a se stesso che c’è un mondo più sfumato oltre il cantautorato contemporaneo.

La maturazione, quindi, arriva con La Prima Canzone D’Amore, che è un passo – no, cento – in avanti per un piccolo e timido poeta che non si è mai pianto addosso ma ha passato troppe ore affacciato alla sua finestra per cercare sollievo.

Sostanzialmente il disco è indie nello stile di Gazzelle, che non ama creare capolavori ma raccontare piccole storie alla portata di tutti, partendo dal suo personale. Lo fa dal 2017 e sembra ancora lì, prigioniero di un loop che in realtà è il suo invito ad annoiarsi insieme.