Era Ora, il film con Edoardo Leo su Netflix non sembra nemmeno una commedia italiana

La pellicola di Aronadio è in testa alla top ten dei film non di lingua inglese della piattaforma. Il segreto? La confezione da rom-com con spunto fantascientifico e sguardo sorridente. Ma il risultato è un cinema globalizzato e insapore

Era Ora

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Era Ora, uscito su Netflix il 16 marzo dopo l’anteprima a ottobre scorso alla Festa del Cinema di Roma, nella sua prima settimana di programmazione è schizzato in testa alla top ten dei film non di lingua inglese della piattaforma. Ben 11,55 milioni di ore viste, addirittura davanti al filmone bellico tedesco Niente di Nuovo sul fronte Occidentale, carico di nomination all’Oscar. È uno dei migliori risultati di sempre per un film italiano, anche se inferiore a Il Mio Nome è Vendetta, che aveva raggiunto 32,4 milioni di ore.

Che il film diretto da Alessandro Aronadio (Orecchie, Io c’è), remake dell’australiano Long Story Short di Josh Lawson (in italiano Come se non ci fosse un domani), avesse qualche possibilità di successo non solo locale lo si era intuito quando il New York Times lo aveva segnalato come uno dei 5 titoli di science fiction da non perdere in streaming in questo mese, riportando il titolo internazionale dato al film, Still Time (del quale è stata approntata anche la versione doppiata in inglese).

Film di fantascienza? Anche, perché pur essendo inequivocabilmente una commedia, Era Ora sfrutta il meccanismo dei paradossi temporali reso ormai classico a partire dall’impagabile Ricomincio da Capo. Solo che in questo caso invece di trovarsi di fronte a un time loop, alla ripetizione continua dello stesso giorno della propria vita, il protagonista Dante (Edoardo Leo) è risucchiato in un’esistenza che accelera in fast forward. Nemmeno il tempo di celebrare il quarantesimo compleanno accanto all’adorata moglie Alice (Barbara Ronchi) che, al risveglio, si ritrova catapultato in avanti, di un anno più vecchio, a festeggiare, diciamo così, un altro compleanno. E un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro, la vita gli scorre davanti, o meglio gli scivola via dalle mani a una velocità inarrestabile, con la nascita della figlia, malattie, morti, separazioni. Tutto irriconoscibile, travolgente, angosciante.

Dante è un lavoratore workaholic spinto dall’illusione che, dandosi da fare, potrà poi a un certo punto godersi i frutti dei risultati raggiunti e strutturare la seconda parte della vita a modo suo. E invece in questa continua corsa del tempo in avanti a grandi falcate, pure i successi – diventare il direttore della compagnia di assicurazioni nella quale è impiegato – accadono “malgrado lui”, senza che possa indirizzarli o assaporarli. Ed è lo stesso per ogni evento, nascita o lutto, tutto sottratto al suo controllo.

Il punto di forza di Era Ora sta tutto nella capacità di restituire, nella forma del paradosso fantascientifico, quella percezione con la quale, giunti alla maturità, si è obbligati a fare i conti. E cioè che a un certo punto la vita comincia a scorrere a un altro ritmo, e che il tempo restante si assottiglia drasticamente, più che mai nella contemporaneità iperconnessa che pretende tantissimo e non concede più separazioni tra privato e lavoro, tra affetti e obblighi sociali. Spesso mettendo in crisi soprattutto gli affetti.

Il limite del film scritto da Aronadio insieme a Renato Sannio, al di là dell’assunto troppo didascalico, sta nell’assoggettarsi fino all’eccesso alle regole del genere della commedia romantica d’oltreoceano, stemperando in una confezione sorridente e carezzevole tutte le inquietudini che il tema pure suggerirebbe. L’impostazione sembrerebbe quella di una commedia amara piena di dolorose contraddizioni – qualcosa resta nel rapporto irrisolto tra Dante e l’anziano padre interpretato da Massimo Wertmüller –, però ogni asperità viene smussata da una regia che cerca la morbidezza dei controluce, le frasi ispirazionali (il “guru” Raz Degan), i momenti epifanici che svelano il senso della vita (il giro in ottovolante sempre rimandato insieme al migliore amico).

La commedia all’italiana trovava il suo punto di forza nel mettere in scena personaggi sgradevoli, egoisti, specchio di un modello sociale osservato con sguardo impassibile. Qui invece ci sono solo bravi ragazzi perbene – al massimo qualcuno, malinconicamente, beve un bicchiere di troppo. E Dante, mentre l’esistenza gli esplode tra le mani, è mosso soltanto dall’incrollabile motivazione di rimettere in piedi la storia d’amore con l’illustratrice Alice, cercando allo stesso tempo di conoscere davvero la figlia.

Per cui, nonostante l’apparente drammaticità della vita che scorre all’impazzata, la ricetta è lì pronta, a portata di mano: lavorare di meno e viversi il calore degli affetti. Ma appunto, è una ricetta accomodante e di buon senso, che non fa i conti con la realtà specifica del contesto. Infatti il film non sembra appartenere a una società o un luogo definiti. Dante e Alice più che personaggi sembrano due funzioni narrative senza caratterizzazioni. E le location principali, la loro villetta con giardino, la sontuosa casa di riposo del padre, sono scelte, parrebbe, con la precisa intenzione di non restituire nulla di propriamente italiano. Persino la Roma di Era Ora è poco più di un fondale metropolitano, del quale si ritagliano scorci accuratamente non tipizzanti.

Era Ora, volutamente, non sembra un film italiano. Però, con buona pace di Stanis La Rochelle e la sua idiosincrasia per le cose “troppo italiane”, non ci sembra un grande passo in avanti questa tipologia di commedia apolide, sradicata, che riproduce metodicamente codici standardizzati da rom-com, genere che fa dell’eufemismo stucchevole e sorridente la regola principale. Poi magari è proprio la confezione da prodotto globalizzato adatto indifferentemente a tutti la ragione del successo. Però tutto questo partorisce un film incolore, che si guarda con indifferenza.

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