Caparezza e la fuga di M49, orso impavido

Ogni volta che hanno provato a rinchiuderlo in una gabbia, fosse anche una gabbia dorata, il cielo aperto sopra la testa, lui è scappato, senza lasciare traccia dietro di sé

ROME - July 16, 2018: The concert of "Caparezza" at the "Rock in Roma� in Capannelle.


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Papillon, lo chiamano così. E lo chiamano così perché così l’ha chiamato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, credo a ragione. È un orso del trentino, famoso per le continue fughe di cui è stato protagonista. Fughe da che?

Andiamo con ordine. Negli anni Novanta in trentino gli orsi erano praticamente spariti. Non estinti, certo, perché la sparizione da una singola zona di un animale che però popola altri luoghi non si può definire così, ma sicuramente una delle specie caratterizzanti un tempo quei luoghi era sparita. Così, per quella voglia tutta umana di provare a mettere le pezze a errori puramente umani, si decise di ripopolare il trentino di orsi, andando a prelevarli nella non troppo distante Slovenia. Una decina di esemplari, tanto per dare alla natura una possibilità, possibilità che in effetti la natura seppe cogliere, al punto che le unità si decuplicarono, andando a raggiungere il centinaio di esemplari. Tra loro M49, nome che invece attesta come l’uomo, a volte, non è che abbia tutta questa carica di empatia verso il mondo animale. Non un nome, in  effetti, più una sigla, qualcosa di neutrale. M49. E dire che M49, da adesso lo chiamerò anche io Papillon, tutto poteva dirsi tranne che un esemplare neutrale. La natura è così, prendere o lasciare, non è che si può decidere anche sui caratteri, almeno non fuori dai laboratori. Papillon è un orso piuttosto curioso, alcuni dicono troppo curioso. È anche un orso piuttosto orso, selvaggio, e in effetti di questo non ci si dovrebbe poter stupire, è la natura appunto. Così eccolo avvicinarsi agli umani, più di quanto gli umani siano abituati a vedere. Eccolo invadere i loro spazi, le malghe, lasciando danni. Eccolo cacciare prede non necessariamente per fame, ma per il gusto di farlo. Insomma, eccolo contravvenire a dei canoni che vorrebbero gli animali a occupare gli spazi che noi umani abbiamo riservato loro. M49 deve essere rinchiuso, e così è. Solo che M49, la mia decisione di chiamarlo Papillon, confesso, è venuta meno proprio perché contrapporre la neutralità del nome, l’asetticità della sigla, alle azioni di M49 funziona assai più che se lo chiamassi simpaticamente Papillon, qui la simpatia deve scaturire dal carattere anarchico del nostro, non da una scorciatoia come un nome che richiami Steve McQueen che scappa dal carcere nell’omonimo film, solo che M49 non ci pensa proprio di stare in gabbia, anche in quelle gabbie apparentemente non troppo restrittive come certe gabbie che si trovano in montagna, sbarre solo ai lati, spazi ampi, ampi, sì, non per un orso, però. Così M49 evade. Scappa. Fa danni. Viene catturato. Evade di nuovo. Scappa. Fa danni. Viene catturato. Evade. Evade. Evade. Per quarantadue volte, anche in questo anarchico, il nostro orso, perché altre sette volte e avrebbe costruito una narrazione perfetta, 49 anche un numero biblico, il famoso 7 volte 7. Evade da gabbie. Da gabbie elettrificate. Da ogni tipo di luogo in cui viene rinchiuso. Certo, è un orso, difficile passare inosservato, tanto più che per sopravvivere deve mangiare e per mangiare un po’ troppo spesso va a pescare nelle dispense degli umani, ma lui è Papillon, stavolta, sì, può sempre scappare di nuovo. L’ultima fuga è nel 2020, lì al Parco Faunistico di Spormaggiore la pandemia non è arrivata, intrappolato in una trappola-tubo. A nulla varranno le proteste degli animalisti, in coro a chiedere una sorta di amnistia, M49, tornato tristemente M49, deve essere rinchiuso vita natural durante, dove quel natural, converrete, è una aberrazione linguistica che solo un certo cinismo e la voglia di giocare con le parole anche quando da giocare non ci sarebbe nulla mi hanno indotto a mettere in pratica. Si chiama captivazione, la sentenza che il Consiglio di Stato ha confermato. Dove captivazione sta per cattività, e la parola cattiveria, origine di quel nome, diciamolo, non promette mai niente di buono, mantenendo invece tutte le premesse. Gli uomini del corpo forestale che lo hanno catturato per l’ennesima volta, qui a essere cinico è il destino, sono tutte persone che hanno studiato per arrivare lì, gente evidentemente appassionata di natura, di animali, di vita selvaggia, costretti dal loro ruolo a vestire i panni degli inquisitori, lui, l’orso bruno chiamato M49 a vestire quelli dell’eroe scozzese William Wallace interpretato al cinema da Mel Gibson, “possono toglierci la vita, ma non possono toglierci la libertà”.

Cosa potrebbe mai essere una gabbia, più o meno stretta, più o meno a cielo aperto, in ambito musica? Sicuramente non avrebbe senso parlare di libertà in ambito di espressione, di censure ce ne sono poche e quasi tutte sono autoindotte, per comodo, più che per vincoli, quanto piuttosto espressive. In un mercato sempre più frammentario, evaporato più che liquido, con margini di guadagno per gli artisti ridotti sempre più all’osso, le uniche economie possibili quelle che derivano dagli sponsor, al limite dai social, non certo dallo streaming, i live a vantaggio di pochi nomi, quasi tutti orientati alle grandi arene, togliere i legacci di questa forma di schiavitù del produci-pubblica è diventato quasi impossibile, tutti omologati sui medesimi suoni, coi medesimi autori, affiancati dai medesimi produttori, con canzoni che si giocano sulle medesime linee melodiche, povere in quanto figlie dei medesimi giri armonici, a loro volta poveri, con un vocabolario esile fatto dalle medesime poche parole, come in un incubo. Come in Truman Show, una gabbia che potrebbe anche non sembrare una gabbia, ma dentro la quale i movimenti possibili sono limitati, a beneficio di un pubblico vouyer e soprattutto con precisi confini, ritenuti invalicabili, pena l’essere considerati indecifrabili, quindi per certi versi invisibili, un QRCode che nessun lettore riuscirà mai a leggere.

Eccoli lì tutti a piegare il coppino, reclinare il capo, obbedire a leggi non scritte ma non per questo meno rigide.

Un brano deve durare tot, non un secondo di più. Deve avere questo BPM, non di meno, non di più. Deve suonare così. Il ritornello deve entrare dopo venti secondi, altrimenti i video su Tik Tok se lo bevono. Usa quella parola, funziona, non usare quella, risulta difficile. Cita città esotiche, funzionano. Cita cocktail esotici, funzionano. Trova una frase a effetto, una a canzone, non serve altro. Mettici in feat, possibilmente di un artista che non condivida con te la fanbase, quando si dice unire le forze. Dardust, o Petrella, o Federica Abbate, non dimenticare di farti scrivere un ritornello, una strofa, quel che è, da uno di loro. Poi posta di continui sui social. Tik Tok, soprattutto, Instagram, Facebook nom è da boomer. Post cosa fai, dove sei, cosa mangi. Posta. Condividi la tua vita, interagisci. Se vuoi essere parte del pacchetto alternativi, fai pure, ma gli spazi sono meno, e le regole non meno stringenti. Si tratta solo di maquillage, non lasciatevi ingannare. Anche un reggicalze in pizzo da uomo o un dilatatore dei lobi può essere una cravatta, basta solo capire da che parte guardare.

Gabbie che non sembrano gabbie, figuriamoci, l’arte, l’intrattenimento, il divertimento, gabbie che fanno sognare, ma pur sempre gabbie.

Poi c’è un orso bruno che decide che dentro la gabbia, lui, non ci vuole stare. Neanche ci pensa, perché l’istinto arriva prima del raziocinio, è libero e così continua a sentirsi, non sarà mica un recinto elettrificato a poterlo fermare.

Il nostro orso bruno anarchico, il nostro M49, il nostro Papillon non sembra un orso bruno, a guardarlo. È alto, dinoccolato, ha un cesto di capelli in testa che lo fanno sembrare una palma, o Telespalla Bob dei Simpson. Un leone, al limite, col corpo di una gazzella, non certo un orso bruno. Ma ogni volta che hanno provato a rinchiuderlo in una gabbia, fosse anche una gabbia dorata, il cielo aperto sopra la testa, lui è scappato, senza lasciare traccia dietro di sé. È successo quando hanno confuso il suo voler stigmatizzare un certo tipo di divertimento effimero, il tormentonismo, è successo quando pensavano di poterlo incastrare dentro un meccanismo magari più raffinato come quello che vuole gli outsider lasciati fare, purché stiano a certi ritmi, è successo quando lo hanno tirato per la giacchetta provando a fargli indossare una qualche casacca politica. Lui è davvero M49, anzi, Papillon, non si lascia prendere. Quindi eccolo infarcire i suoi testi di parole e riferimenti anche difficili da comprendere, due, tre, quattro piani di lettura differente, come solo Rancore, in Italia. Eccolo giocare coi generi, il rap, ovviamente, che è casa sua, ma anche il rock, il pop, la new wave, il cantautorato, anche, seppur declinato alla sua maniera. Eccolo prendersi tempi che tutto sono fuorché inchinarsi alla parola d’ordine dettata da Daniel Ek, un singolo al mese, basta album, lui che gli album li costruisce come romanzi, a capitoli, concept magari non nella trama, ma sicuramente nei concetti. Eccolo, sì, non potevo stare certo io alla regola del tre, non parlando di chi non sta a certe regole, imbastire live di livello internazionale, certo, ma che sono anche perfette macchine di teatro canzone, Gaber al fianco dei Coldplay, questo nonostante l’acufene che da anni mina la sua possibilità di dedicarsi anima e corpo alla musica, lo spauracchio di un ritiro lì, davanti agli occhi del suo pubblico, la possibilità di esprimersi in altre forme d’arte assai concreta scappatoia a un eventuale prematura scomparsa dalle scene. Non lo cercate sui social, non lo troverete, come non lo troverete in eventi mondani, dentro la televisione o in un qualsiasi altro media, giusto qualche collaborazione, lui che un tempo si donava con generosità a colleghi anche molto meno noti di lui. Il suo modo di scavalcare il recinto, fottendosene della corrente elettrica, delle trappole-tubo e anche dei fucili dei guardacaccia, perché, come ha cantato nel singolo La scelta, singolo di lancio del suo ultimo album, Exuvia, non per tutti la carriera viene prima della vita, non per tutti.

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