Lucio Corsi, gli animali della maremma e le macchine dell’isola di Nantes

Artista bizzarro capace di portarci a spasso con sé in un mondo tutto suo, favolistico, abitato da animali reali che però fanno cose che tanto animalesche non sembrano


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L’estate scorsa ci siamo fatti una vacanza on the road in Francia, circa seimila chilometri percorsi nel giro di quindici giorni. Siamo partiti alla volta della Loira, facendo una sosta tattica nella bella Digione, per poi salire a nord, verso il punto di confine tra Normandia e Bretagna e tornare infine indietro, passando da Poitiers e Lione prima di fare ritorno a Milano. Il più della vacanza è stata nella Loira, tra castelli, città, borghi, una natura incredibile, anche se le incursioni fatte nei luoghi dello sbarco degli alleati, come le puntate a Mont Saint Michel e Saint Malò non sono certo state da meno, Le Havre una location tattica che si è rivelata incredibilmente affascinante. Unico posto visitato che è stato sotto le aspettative, che erano già piuttosto basse, la scelta era arrivata solo perché la via del ritorno era troppo lunga per farsela tutta in una sola soluzione, Poitiers, cittadina che conoscevamo ovviamente per la famosa battaglia, ma che, visitata di sera, si è mostrata come assai poco accogliente, e comunque non molto bella. Al punto che, proprio per una faccenda di aspettative, avevamo deciso che quella tappa si sarebbe poi svolta a un’ora e poco più di distanza da lì, dopo aver dormito a Poitiers, nella città di Nantes. Come ci era già capitato per Le Havre, la scelta di Nantes era partita da una mia conoscenza calcistica di quella città, di Le Havre ricordavo il club con la maglia blu della capitale della Normandia, certo, recentemente tornata in auge grazie a Pogba, parlo di quando io ero un bambino che conosceva il calcio internazionale con i pochi mezzi che ai tempi avevamo a disposizione, il Guerin Sportivo e poco altro, il Subbuteo il motivo di quelle mie voraci ricerche, di Nantes quella simile al Brasile, la maglia gialla, in questo caso i pantaloncini verdi, i carioca invece li hanno blu, ma per il resto di Nantes non sapevo praticamente nulla. Certo, oggi abbiamo internet, quindi c’è voluto poco a farmi un’idea che questa sarebbe stata una tappa di passaggio, certo, poche ore per poi andare a dormire a Lione, ma sicuramente di grande interesse. Essendo un viaggio di famiglia, con me e mia moglie Marina tre dei nostri quattro figli, Tommaso, diciassette anni, e Francesco e Chiara, gemelli, undici anni di lì a qualche settimana, le nostre vacanze sono state impostate in una modalità mista, a fianco di tappe di carattere culturale, la Loira offre davvero di tutto a riguardo, e del resto in mezzo siamo anche andati a fare una visita alla casa di Monet, in Normandia, e una a Parigi, sempre poi tornando nella Loira, l’idea di dormire in case di campagna, il tavolo apparecchiato all’aperto anche se a differenza dell’Italia l’estate non era poi così calda, unica eccezione Orleans, trentasette gradi in un posto magnifico ma troppo bianco per essere visitato senza patire, a fianco a tappe di carattere culturale abbiamo infilato tappe decisamente più orientate al divertimento, finendo ovviamente per goderne anche noi adulti, una intera giornata passata in un parco faunistico, il Parc Naturel de Boutissaint, durante la visita del quale abbiamo visto un incredibile numero di animali in libertà, a partire dal rarissimo cervo bianco, lì a guidare un branco di altri cervi attraversando un laghetto lontano da sguardi indiscreti, a parte i nostri, uno dei momenti più emozionanti della mia vita, e dire che di viaggi in giro per il mondo ne ho fatti parecchi, oltre dieci anni da reporte per GenteViaggi, quando ancora le riviste di viaggio cartacee avevano un senso, l’altro, appunto, la visita al Le Macchine dell’Isola di Nantes, un posto a suo modo fantascientifico e decisamente affascinantissimo. Essendo Nantes non solo la città della omonima squadra di calcio, maglia gialla su pantaloncini verdi, ho giusto comprato la sciarpa della squadra locale in una bancarella al centro cittadino, ma anche quella che ha dato i natali a Jules Verne, il più incredibile autore fantastico francese dell’Ottocento, uno dei più incredibili al mondo, basti citare i suoi Il giro del mondo in Ottanta giorni, Viaggio al centro della Terra, Ventimila leghe sotto i mari, I figli del capitano Grant, L’isola misteriosa, Michele Strogoff, tutti parte di una raccolta di romanzi, cinquantaquattro, chiamati I Viaggi Straordinari, cui vanno aggiunti decine di altri romanzi, a ragione considerato non solo uno dei più grandi scrittori per ragazzi e d’avventura, ma l’inventore, insieme a H.G. Wells, della moderna fantascienza, a ragione anticipati da Frankenstein di Mary Shelley, di qualche anno precedente alle loro produzioni, ecco che in città è nato un centro di attrazione che proprio a Verne rende omaggio, mashuppando la sua visione fantastica con quella di Leonardo da Vinci, durante il viaggio abbiamo visitato anche il maniero Clos-Lucè, dove il genio toscano ha vissuto e operato negli ultimi anni della sua vita. Un luogo incredibile, Le macchine dell’Isola di Nantes, del resto non a caso in una città dalla forte componente industriale, un luogo dove si viene accolti da un gigantesco elefante meccanico, alto quasi dieci metri, a bordo del quale è possibile salire per fare un giro di questo parco, la broboscide a sparare acqua sui tanti turisti che accorrono nel luogo, e che, una volta entrati, mostra un mondo fantastico, una sorta di riproposizione fisica dei romanzi di Verne o, a voler essere più rock e contemporanei, un Burning Man Festival più comodo da raggiungere, e anche con un biglietto decisamente meno caro. Aggirandosi tra piante, meccaniche e prodotte dall’uomo, e alberi, idem, troviamo tutta una serie di animali, quasi sempre riproposizione fantastiche di animali realmente esistenti, da un gigantesco colibrì a un bradipo che attraversa, con la medesima lentezza del suo corrispettivo in natura, una parte del museo, ovviamente immancabile un polipo gigante, ragni mostruosi, formiche alte un paio di metri, qualche drago, insomma, i protagonisti dei romanzi di Verne, qualcosa capace di lasciare a bocca aperta i più piccoli come i più grandi.

Ecco, un luogo incantato che ospita l’immaginario di un genio, toh, qui c’è tanto anche di Leonardo, diciamo di due geni, trasformando per qualche ora le vite dei visitatori in un viaggio nel fantastico, con mostri che non possono nuocerci, animali che non sono animali, invenzioni che prendono vita e vivono di vita propria, trasportandoci altrove. Questo del resto dovrebbero sempre poter fare gli immaginari, trasportarci altrove, convincerci del loro essere reali, anche laddove si vedono viti e giunture, dove conserviamo in tasca un biglietto, la voce di un ragazzo o una ragazza in costume a a farci da guida.

La musica è un medium immediato, probabilmente il più immediato ideato dall’uomo (o dall’uomo canonizzato, la musica esiste già in natura, del resto). Ascolti una canzone, come una sintonia, e subito parti per un viaggio straordinario non troppo diverso da quello cristallizzato da Verne, seppure spesso sia molto spesso un viaggio nel quale l’interpretazione del viaggiatore pesa più di quella di chi quella musica ha composto o interpretato, l’ingresso in campo dei ricordi a pesare decisamente sul tragitto come sulla meta finale, le emozioni non sempre coincidenti con quelle che gli artisti avevano pensato per noi. Certo, la musica prevede una interazione tra messaggero e chi il messagio lo riceve che altre forme d’arte non richiedono, pensiamo al cinema, che occupa un po’ tutte le caselle lasciandoci poco spazio d’azione, quindi fatto che richiede impegno e comunque lascia ampio spazio a letture personali, ma resta che farsi una passeggiata nell’immaginario di un artista è esperienza unica, almeno quando l’artista in questione è in possesso di un immaginario da regalare all’ascoltatore.

È il caso di Lucio Corsi, cantautore toscano, classe 1993, dall’apparenza naif, un misto tra un hippie e un David Bowie fuori tempo massimo, I lunghi capelli portati fin sopra il culo, lisci come un Timothy B. Schmidt senza tracce dei nativi americani nel sangue, artista bizzarro capace di portarci a spasso con sé in un mondo tutto suo, favolistico, abitato da animali reali che però fanno cose che tanto animalesche non sembrano. Quando nel 2017, dopo l’esordio fai da te di Altalena Boy e Vetulonia Dakar, e la bella esperienza in split con Margherita Vicario del progetto Kahbum, con Il cuore va nell’organico, che già ci mostrava una scrittura cantautorale quasi classica, quando ne 2017 Picicca, etichetta fondata da Brunori SaS ha tirato fuori il suo album d’esordio Bestiario musicale, concept album di chiara matrice fantastica con otto canzoni, ognuna delle quali dedicata a un animale maremmano, in ordine di tracklist la civeta, la lepre, la volpe, l’upupa, il lupo, l’istrice, il cinghiale e la lucertola, il suo essere davvero eccentrico, quindi dotato di un immaginario potente e vivido è stato chiaro a tutti. A far i conti con il mondo delle fiabe, quindi del ritorno all’infanzia, tirando in ballo in maniera neanche troppo subliminale Lucio Dalla, il primo Lucio Dalla, le strutture spesso lasciate in assenza di una linea melodica precisa, come accennata, gli arrangiamenti solo in apparenza minimale a farci partire in viaggio sul Tardis, i testi bislacchi che ci lasciano intuire secondi e terzi piani di lettura, spesso così nascosti tra gli alberi di questo bosco incantato da non essere in realtà veramente visibili, come certi mostri che si nascondono di notte sotto il nostro letto, abbastanza stralunati, i testi, da fare da ossatura al tutto, il surreale che si sporca le mani con la terra, la voce a volte esile a volte sicura a farci da guida nel buio di una notte che però sappiamo stellata. Un mondo immaginario che, almeno nello spazio delle otto tracce della scaletta, si fa reale, buono per i bambini come per noi che bambini lo siamo stati ormai troppi anni fa. Un ottimo posto dove andare facendo il viaggio di ritorno verso casa, o magari per nascondersi, quando a casa non ci vorremmo proprio stare. 

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