Toko San, l’uomo cane, la disforia di specie e le scorciatoie dei critici musicali

Ben vengano, quindi, i Toko San, le iene maculate come gli artisti che a ogni passaggio provano a confondere le acque, destrutturare, ristrutturare, mescolare, metabolizzare e risputare sul piatto

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INTERAZIONI: 63

Noi umani abbiamo una certa propensione a interessarci in maniera quasi morbosa a questioni che di loro non dovrebbero avere nessun allure. Prova ne è che spesso, molto spesso, troppo spesso, tra le notizie più lette dei quotidiani e dei siti online troviamo quelle che, tecnicamente, neanche sono notizie, ma più che altro notiziole, fatti buffi, volendo anche piccanti, le cosiddette notiziole da colonnino di destra, se ne parlava già altrove. Queste notiziole sono talmente tanto notiziole da ricorrere ciclicamente, senza una precisa logica, come se doani potesse capitare di leggere in cronaca, che so?, la notizia della morte di qualcuno, prendiamo il musicista Ravi Shankar, che in realtà morto nel 2012. Lo so, ho giocato sporco, perché ho usato proprio come esempio un personaggio sulla cui morte si torna con altrettanta cadenza ciclica, saranno almeno cinque o sei volte che, erroneamente, se ne riparla sui social, sempre con i tipici addii da social, “ora insegna agli angeli” e cose del genere, ma era per dire che una notizia vecchia stona tra le pagine di cronaca, ci fa indignare se viene riproposta per sbaglio, o quantomeno ci fa ironizzare, mentre sulle notiziole da colonnino, ovviamente, nessuno ha da ridire, perché non sono notizie, sono notiziole, appunto, sciocchezze. Chi se ne frega se si torna a parlare ciclicamente di fatti effimeri, irrilevanti, la tizia che ha due vagine e dopo una adolescenza orribile ora spopola su Onlyfans, il tizio che ha messo insieme una collezione da paura di bottiglie di Coca Cola da tutto il mondo, ma poi i figli hanno fatto una festa coi loro amici e se le sono bevute tutte, il tipo giapponese che ha pagato una fortuna per farsi fare un vestito da cane, così da poter vivere almeno un paio di giorni al mese esattamente come il miglior amico dell’uomo, mangiando da una scodella, facendo i propri bisogni alzando una gamba, camminare a quattro zampe e via discorrendo. L’uomo, il giovane uomo, Toko San, ha deciso che sarebbe voluto diventare un border collie, praticamente Lessie, ma per farlo si è guardato bene dal sottoporsi a interventi chirurgici definitivi, come invece ha fatto la tizia che prima ha pagato milioni in interventi di chirurgia estetica per assomigliare sempre di più a Ken, il giocattolo fidanzato di Barbie, salvo poi cambiare idea anche sul proprio orientamento sessuale, anche se qui credo si dovrebbe parlare di disforia di genere, e pagare quindi milioni per diventare uguale a Barbie, anche questa è notiziola che capita spesso di intravedere online, no, Toko San è stato più cauto, e ha pagato una azienda giapponese per preparargli un costume il più realistico possibile che lo facesse passare, almeno online, è un uomo e come tale ha dimensioni più grandi di quelle di un cane, per un border collie, così da poter passare un paio di giorni al mese come fosse appunto il più fedele amico dell’uono, a beneficio di camera. Perché Toko San poi filma tutto e lo mette online, su Youtube, così che i suoi fan, perché Toko San non è mica il tipo più strano del mondo, ha dei fan sui quali mi interrogherei con altrettanta cura, possano seguire i suoi progressi, constatare cioè se scodinzola come si deve, se mangia correttamente dalla ciotola, se cammina come un cane in maniera credibile. Non so se anche questa sia una disforia di genere, forse di specie, e non lo dico affatto con ironia, figuriamoci, sono stato il primo autore al mondo a scrivere un romanzo su un trans supereroe, ben prima che la cosa divenisse in qualche modo alla moda, lo dico perché suppongo che se uno vuole a tutti i costi vivere come un cane probabilmente ha un impulso, una spinta, non fatemi usare le parole sbagliate che oggi al primo errore ti impalano come neanche il Conte Vlad, insomma, ha qualcosa dentro che lo spinge a diventare un cane.

Ora, se parlare di disforia di genere è diventato col tempo non alla moda, ho usato decisamente le parole sbagliate, ma almeno attuale, e viva Dio, un tempo sarebbero state solo battute di cattivo gusto (in realtà anche ora, basta pensare a quanto è capitato subito dopo la fine dei mondiali del Qatar a Kylian Mbappé e la sua fidanzata Ines Rau, prima modella MtF a diventare Playmate di Playboy), la parola storytelling non è da meno, anche se nel caso di quest’ultima, temo, l’essere divenuta di uso comune ha in qualche modo fatto sì che ben presto la vedremo arrivare a noia, come accaduto con la parola resilienza, l’uso che si fa abuso sancendo in qualche modo la sua fine, parlo della parola, non del concetto che nasconde. Il fatto che comunque per lungo tempo, recentemente, si sia così parlato di storytelling ha fatto sì che le tecniche che dello storytelling sono la base, siano diventate non dico di uso comune, ma comunque assai meno elitarie di quanto non fossero un tempo. Non vi sarà quindi sfuggito, vi parlo dando per scontato che non siate anche voi professionisti della parola, in caso contrario non soffermatevi troppo su questa ultima parte, quello che sto per dire vi suonerà anche troppo scontato, che ultimo dei classici esempi che si fanno quando si decide di elencare un insieme di qualsiasi cosa in termini di narrazione, il particolare caso di Toko San sia stato da me affrontato in maniera differente, passando direttamente dall’averlo citato all’averlo raccontato nei dettagli, almeno in quelli che gli esili articoletti a suo riguardo ci hanno fornito. Certo ho evitato di parlare della cifra spesa, perché i neanche quattordicimila euro spesi per il costume da border collie, diciamolo, avrebbero reso la notizola ancora più ridicola, c’è gente che ne spende molti di più per faccende altrettanto effimere, sempre che la faccenda della disforia di specie da me ipotizzata non abbia in realtà un qualche senso e questa storia non prenda quindi la piega di qualcosa di estremamente serio, ma l’ho fatto perché a me, in tutta onestà, non fergava certo di star qui a criticare chi scrive o chi legge le notiziole da colonnino di destra, lo faccio evidentemente anche io, di leggerle, né di parlare di un tipo che in giappone si traveste due giorni al mese da cane, quanto piuttosto di affrontare la complicata condizione di chi in qualche modo, provo a usare una espressione poetica per levarmi di torno i rischi di prendere gaffe fastidiose, lo dichiaro pure, così da passare almeno per qualche riga come un goffo scrivano, goffo però attento ai sentimenti altrui, lungi da me offendere una qualche minoranza, ma l’ho fatto perché a me, in tutta onestà, non fergava certo di star qui a criticare chi scrive o chi legge le notiziole da colonnino di destra, lo faccio evidentemente anche io, di leggerle, né di parlare di un tipo che in giappone si traveste due giorni al mese da cane, quanto piuttosto di affrontare la complicata condizione di chi in qualche modo, provo a usare una espressione poetica, vorrebbe essere altrove, si tratti di un altrove fisico, mentale, corporeo o spirituale. Una condizione, ma non è certo di questo che intendo parlare io ora, non ho le competenze per farlo, parlo anche di oratoria, sì, né la voglia di farlo, assolutamente naturale, come del resto credo sia naturale un po’ tutto quel che concerne anche l’uomo, visto che fino a prova contraria siamo parte della natura anche noi, senza dover star qui a trovare pezze animali a tutto quel che facciamo, se è naturale la diga che costruiscono i castori, per intendersi, e sicuramente è naturale, lo è anche una macchina diesel che inquina e porta il mondo verso una crisi climatica, qui gioco la carta del grezzo capitalista che taglia con la falce un discorso che invece dovrebbe essere affrontato con la cautela del neurochirurgo, lo so, ma è un passaggio minore di un discorso che guarda altrove, ah, benedetto storytelling, una condizione assolutamente naturale, al punto che ci sono decine di animali, vedi che si finisce sempre per andare a parare lì, che nel corso della loro esistenza cambiano le loro condizioni di partenza con una facilità che a noi umani provoca stupore, al punto che la faccenda finisce spesso, magari proprio spesso no, ma ogni tanto, proprio per occupare le notiziole del colonnino di destra di qualche quotidiano online, “la seppia può cambiare sesso a piacimento, caso di ermafroditismo di specie”, “le femmine delle iene maculate hanno una clitoride talmente ingrossato da essere identitificato come uno pseudo-pene, capace anche di avere una eroezione, loro che sono le più aggressive del branco” e via discorrendo. Certo, nel regno animale non esistono i generi per come li conosciamo noi, perché quelli sono costrutti sociali, esattamente come i vestiti che coprono le nostre nudità, siamo noi a dar loro un peso specifico, quindi parlare di animali transgender è di per sé sbagliato, ma di fatto ci sono animali che da sempre praticano quella che oggi noi umani identifichiamo come fluidità di genere, in barba a Pillon e allo spauracchio della cultura gender.

Ora, sono cosciente che essere partito da Toko San, il giovane giapponese che passa due giorni al mese nascosto dentro il suo costume da border collie allo pseudo-pene delle femmine delle iene maculate, chiosando con una tirata sull’identità di genere come costrutto sociale possa sembrare ardito, tanto quanto aver buttato lì la faccenda della disforia di specie, non certo una mia intuizione, a fianco alla disforia di genere, confesso che so che è argomento in fase di studio per chi si occupa di questione psicologiche, contando per altro che a tutti sia chiara la distinzione biologica tra genere, specie e, perché no?, razza, ma il mio intento è sempre e comunque quello di invitare chi legge a tenere la mente sempre aperta, fuori da giudizi sommari, il concetto di normalità ha fatto più danni della peste.

Figuriamoci quindi se ora, dopo aver tirato in ballo con una certa leggerezza pensosa, Dio mi scampi dal tirare in ballo Calvino e le sue lezioni americane, faccende serissime quali la disforia di genere, la disforia di specie, il concetto sopravvalutato e dannoso di normalità, toh, anche quello della futilità di certa informazione , il tutto provando a smontare certi vacui meccanismi narrativi, ah lo storytelling, io sia così sciocco da addentrarmi in un parallelismo tra tanta superficialità e quella che negli anni hanno spinto certa critica musicale a incasellare l’oggetto delle proprie analisi, la musica, dentro gabbie a uso e consumo dei negozi di dischi, quando ancora i dischi esistevano e di conseguenza esistevano anche questi ultimi, scorciatoie comode come tutte le scorciatoie, ma assolutamente sbagliate, come il decidere di fare dieci metri di una stradina contromano per evitare di dover fare un chilometro di circonvallazione, per dire, o stabilire che sia meglio tagliare per una zona industriale, fatta di capannoni e strade piene di  buche, invece di fare una strada panoramica, certo più lunga, ma fornita appunto di panorama. Certo, quando si va di fretta, e la critica viene ormai quasi solo praticata online, dove la fretta è la norma, una scorciatoia è più utile di una strada con un bel paesaggio, ma resta che la musica è musica, e imbastire paragoni, incasellare dentro generi, non sto certo qui a dire che io stesso non ricorra a queste scorciatoie e trucchetti da imbonitore, ma resta che la vita, la musica ne è parte, è vivaddio assai più complessa di come proviamo a raccontarla. Ben vengano, quindi, i Toko San, le iene maculate come gli artisti che a ogni passaggio provano a confondere le acque, destruttura, ristrutturare come neanche col bonus 110%, mescolare, metabolizzare e risputare sul piatto.