La musica è casa mia

Buon anno a tutti, e che la musica non manchi mai di commuovervi, anche quella di merda

selective focus microphone and blur musical equipment guitar ,bass, drum piano background.


INTERAZIONI: 100

La mattina di capodanno non mi vede quasi mai di ottimo umore. Non perché io ami cominciare male un anno nuovo, sempre che questa idea di incipit che si ripete a cadenza annuale abbia poi un senso oltre il calendario, ma semplicemente perché, per mio carattere e mia attitudine, tendo a non riuscire mai a godermi appieno quelli che per gli altri sono giorni di festa. Figuriamoci quest’anno, che le feste le ho dovute passare a Milano, città nella quale passo anche il resto dell’anno, come in cinquantatré anni di vita era successo solo nel 2020, quando a costringermi e costringerci un po’ tutti, era stato un decreto leggi per provare a arginare la pandemia. Comunque, la mattina di capodanno 2023 è stata giusto un filo diversa da tutte le altre, perché, rimasto in casa con i miei familiari stretti e essendo quindi andato a dormire che non erano neanche le tre, mi sono svegliato abbastanza presto, anzi, mi sono alzato abbastanza presto, la mia insonnia negli ultimi tempi è decisamente peggiorata, e ho ben visto di passare quelle ore che solitamente sono quelle nelle quali provo a recuperare a fatica le energie per affrontare il pranzo di capodanno e il pomeriggio, pomeriggio che quando siamo in Ancona, la nostra città natale, mia, di mia moglie, dei primi due dei nostri quattro figli, ci vede in compagnia di amici a giocare ai giochi di carte che si fanno durante le feste, ascoltando musiche malinconiche, spesso pescate nel repertorio rock, e niente è più malinconico di un rocker quando è malinconico, cercando di soffocare la mia malinconia sotto strati di chitarre arpeggiate e giri di basso pulsanti ossessivamente. Come spesso capita in questi casi, non mi faccio sotterrare sotto la malinconia dei rocker solo a capodanno, sono finito per infilare una dietro l’altra le canzoni che più mi devastano, emotivamente, da Amazing degli Aerosmith, proprio nel 2023 ricorrono i trent’anni di quel capolavoro assoluto che è stato Get a grip, Hurt nella versione prima dei Nine Inch Nails e poi di Johnny Cash, Useless dei Depeche Mode, perchè anche io, spesso, mi sento sfocato come Dave Gahan nei primi frame del video, Black Hole Sun dei Soundgarden, Creep dei Radiohead, Lonesome tears di Beck, Where is my mind dei Pixies, con ovvia deviazione sul finale di Fight Club, che proprio quel brano ha per colonna sonora, Lazarus e Where are we now di David Bowie, My friends e Road Trippin’ dei Red Hot Chili Peppers, per poi arrivare alla doppietta finale, quella che in genere mi spinge verso il pianto, contegnoso, sia chiaro, Hunger Strike dei Temple of the Dog e Just dei Radiohead. La visione del video di Just, perché è con Youtube che in genere infilo la scaletta di cui sopra, troppo malinconico per ricorrere ai vinili, figuriamoci ai cd, mi lascia sempre addosso un misto di angoscia e dolore, come solo la musica credo possa fare, vita a parte. Il video, ricorderete, lo cito abbastanza spesso, si svolge su due location, collegate tra loro. In una stanza di un palazzo c’è la band di Thom Yorke che suona il brano. Sotto, in strada, c’è un tizio che si stende a terra, sul marciapiede, facendo inizialmente inciampare un passante, e poi attirando una folla, poliziotto compreso. Thom, ogni tanto, segue le vicende del tizio dalla finestra, mentre il brano incede, disperato e disperante. Tutti, a partire dal tizio che ci è inciampato sopra, chiedono al tipo steso in terra cosa abbia, ma lui si rifiuta di dirlo. Dice di non essersi sentito male, ci sono dei sottotitoli in inglese che accompagnano le scene. Poi dice che non vuole dire cosa ha. Quando a un certo punto arriva un poliziotto a insistere per sapere, la scena ha un vago sapore anni Cinquanta, come fosse un vecchio telefilm, il tipo si decide, dopo aver invocato la clemenza di Dio per sé e tutta quella folla. Ovviamente quando il tipo inizia a parlare i sottotitoli spariscono, così noi rimaniamo in sospeso, la chitarra di Greenwood a tormentarci, lancinante. Questo finché nell’ultima scena tutta la band affacciata alla finestra vede il tipo, il tizio inciampato, il poliziotto e tutta la folla accorsa lì intorno stesa in terra, come se aver senttio quel segreto non potesse che portare a quello. Sapere qualcosa, qualcosa che non vorremmo o dovremmo sapere, in effetti, a volte porta a questi risultati. Motivo per cui, in una nebbiosa mattina di capodanno milanese, il mare e i miei genitori a quattrocentoventotto chilometri lontani da me, mi spinge a dirmi che forse ho proprio sbagliato mestiere, che non è di musica che avrei dovuto scrivere per buona parte della mia vita. A mettere la testa lì dentro, in fondo, non potevo che uscirne peggiorato, dopo aver trovato quel che non avrei mai voluto sapere. E siccome non conosco altra soluzione dell’ormai collaudata formula del chiodo che schiaccia chiodo, non posso far altro che andare su un porto sicuro, cioè sul video tratto da Almost famous, film culto di Cameron Crow dedicato proprio alla critica musicale, primo lavoro del regista americano, quella nella quale il giovane protagonista se ne sta seduto sul bus della band che ha accompagnato durante tutto il tour, la groupie Penny Lane, interpretata da una conturbante Kate Hudson, seduta al suo fianco. La scena nella quale, dopo una crisi che sembrava irreparabile la band si ritrova, tutti a cantare Tiny Dancer di Elton John in coro, quando il giovane protagonista dice a Penny Lane, “Devo tornare a casa”, e lei, sgranati gli occhi blu, fatto un gesto come di magia con le mani gli dice, “Tu sei a casa”, scena che non manca mai di commuovermi davvero fino alle lacrime. Al punto che l’altro giorno, dopo aver portato i miei figli piccoli, undici anni, a vedere una casa agghindata con oltre mezzo milione di luci di Natale, a Melegnano, attrazione che porta nella cittadina alle porte di Milano migliaia di persone ogni anno, quando il navigatore, dopo avermi riportato indietro ha detto, la voce impostata, “sei a casa”, non ho potuto far altro che lasciare che una lacrima scendesse lungo la guancia, pronta a fermarsi sulla barba che di inverno porto folta come fossi un Karl Marx giusto un filo più rock. Buon anno a tutti, e che la musica non manchi mai di commuovervi, anche quella di merda.

Continua a leggere su optimagazine.com