Vischio, il Natale secondo Valentina Parisse

Valentina Parisse ha il dono della leggerezza. Non solo quello, ha anche talento e bellezza


INTERAZIONI: 117

In genere, quando uno vuole richiamare alla mente un animale particolarmente strano, a meno che quell’uno non sia un appassionato di zoologia, cioè uno in grado di citare un Tamarino Imperiale, per dire, coi suoi baffi a manubrio così simile all’imperatore Guglielmo II di Germania, o qualcosa del genere, ecco che salta fuori il nome dell’ornitorinco. In effetti, a essere sinceri, un mammifero che deponga le uova, che poi però allatti i suoi cuccioli pur essendo totalmente privo di capezzoli, quindi secernendo latte direttamente dalla pelle, a mo di quanto noi facciamo col sudore, mammifero, sì, ma velenoso come un serpente, e dotato di piedi palmati come un’oca e di coda da castoro, di becco non troppo diverso da quello di un’anatra e di pelo ispido, come una lontra, diciamo che l’orintorinco, in quanto a stranezze, va via piuttosto bene. Una specie di summa di caratteristiche genericamente presenti in altre specie, in molte altre specie. Mica è un caso che abiti in Australia, il continente che offre il più alto tasso di animali bizzarri al mondo.

Ma in realtà il motivo che spinge me, cioè l’autore delle parole che state leggendo in questo momento, a cercare stranezze nel mondo animale non è tanto perché io creda che queste stranezze siano poi degne o necessarie per raccontare altrettante stranezze nel genere umano, e nello specifico in quella piccola nicchia del genere umano che si occupa di musica leggera, sia nel ruolo di artista che in quello di addetti ai lavori, quanto piuttosto per dimostrare che anche nel mondo animale, come in quello umano, comportamenti che potrebbero sembrare bizzarri, buffi, a volte violenti o disdicevoli, è in realtà norma, facendo proprie le parole che a suo tempo di Franco Basaglia, “da vicino nessuno è normale” e traslandole in un più ecumenico “nel pianeta Terra nessuno è normale”, includendo nel discorso anche gli animali non-umani. Fatto questo, e lì mirava anche Basaglia, che in qualche moda annulla proprio il concetto di normalità, perché poggia esclusivamente sull’unicità di ogni singolo individuo e sul principio che i comportamenti unici di ogni singolo individuo trova semmai riscontri in altre specie e altre razze, abbattendo in un solo passaggio sia quell’aberrazione che risponde al nome di razzismo, sia quello altrettanto aberrante di specismo, laddove a essere discriminati sono gli animali tutti, ritenuti da noi umani esseri inferiori in quanto dotati di un minor intelletto o, in taluni casi, in quanto ritenuti dotati di coscienza (vaglielo a spiegare la faccenda del cervello più grosso, solo in parte adibito a questioni meccaniche).

Un discorso decisamente troppo complicato, questo, ho già citato altrove le teorie delle filosofe nere Aph e Syl Ko, che a discapito di quel “cultura pop” infilato lì prima di “femminismo e veganesimo nero” nel loro Afro-ismo, di pop ha davvero poco, se non addirittura nulla. Mentre è di pop che mi occupo io, nella stragrande maggioranza del tempo che dedico alla critica musicale, includendo nel genere anche quella che un tempo veniva considerata materia a parte, la canzone d’autore, nello specifico in prevalenza canzone d’autrice. E di pop andrò a occuparmi a breve, parlando proprio di come gli animali non siano poi così diversi dagli umani, e di come in fondo sia tutta una questione di come ce la raccontiamo, noi che abbiamo codificato un linguaggio fatto di lettere e quindi di parole.

Esiste una canzone pop, pop nei suoni scelti in fase di produzione, qui si parla di vestiti, come nella scrittura di chi l’ha composta, qui si parla di cifra, e infine pop nelle intenzioni di chi l’ha interpretata, non incidentalmente la medesima persona che l’ha scritta, in buona compagnia di Gianluigi Fazio e Leo Pari, e che ha poi partecipato alla scelta dei suoni, in compagnia della combo Platinum Squad sotto la supervisione artistica di Takagi & Ketra, Valentina Parisse, esiste una canzone pop che si intitola Animali, e che mette in scena, in tutti questi aspetti, suoni, composizione e interpretazione, un viaggio sul crinale che spartisce, almeno nelle nostre intenzioni, la razza umana da quella animale. Una canzone pop, quindi dove quanto ho appena scritto è solo intuibile, non spiattellato in faccia con saccenza. Una canzone pop che ha il pregio di farsi ascoltare muovendo il piede o la testa, corrispettivo di quello che David Foster Wallace faceva alzando il dito al cielo esattamente come negli anni Settanta non avrebbe fatto quando era consuetudine alzare il dito al cielo in certa musica disco, in uno dei passaggi più travolgenti di quel capolavoro di saggista in chiave autofiction che risponde al titolo di Una cosa divertente che non farò mai più.

Valentina Parisse ha il dono della leggerezza. Non solo quello, ha anche talento e bellezza, ma direi che oggi come oggi il dono della leggerezza non è poi così da prendere alla leggera, ovviamente senza star qui a citare l’abusata lezione americana di Calvino.

La leggerezza di cui Valentina Parisse ha ricevuto in dono dosi massicce, e che immagino abbia coltivato con la cura che si dedica a quello che si riconosce come un dono prezioso ricevuto, la si evince dalle sue canzoni, da come si pone nel sistema musica, e per chi ha la fortuna di conoscerla di persona, da come si pone anche nel mondo reale. Con alle spalle album e singoli che l’hanno vista collaborare con giganti della discografia internazionale e nazionale, da Phil Palmer a Tyrone Wells e Tim Myers fino a Katoo e Cheope, potete ben immaginare cosa intenda io per pop e leggerezza, Valentina ha nel tempo costruito non solo la propria poetica e il proprio immaginario, ma è andata rinsaldando la propria posizione di outsider di qualità nel panorama della italica canzone scrivendo per top player del calibro di Renato Zero, per cui ha scritto il singolo Rivoluzione, dall’album Alt, o Michele Zarrillo, che a Sanremo 2020 ha portato in gara al Festival la sua Nell’estasi o nel fango.

In animali si parla di animalità e quindi di umanità, tratteggiando aspetti comuni e indicando apparenti differenze, solo per permettere uno sguardo di prospettiva, come i pittori che ricorrono ai giochi di luci e ombre. Si tirano in ballo, di volta in volta, cinema e funerali, la fatica di arrivare alla fine del mese come i compleanni e gli aeroporti, concludendo, a un certo punto che di frotne alle luci dei bar noi siamo le falene, immagine che neanche l’Hopper più ispirato era riuscito a trovare. Veniamo descritti come mostri, qui si usando l’alterità degli animali per aprire abissi di paura, dice di noi che a volte siamo feroci, del resto è bestia o animale che viene descritto chi a questa presunta ferocia dà seguito con atti di violenza, sia essa di massa o singola, chiosando che “se la vita va a caccia, credimi, noi non saremo le prede”. Il tutto dentro una struttura di pop elettronico, leggera, come leggere sono le parole scelte per indicare qualcosa che leggero, volendo, non è.

Impensabile ipotizzare una colonna sonora migliore per chi, come me, da tepo  gioca proprio su un parallelismo tra mondo animale e musica, con i lavori che proprio ai bestiari fanno riferimento, da quello di Maria Monti a quello di Vinicio Capossella passando per quello di Lucio Corsi, tutti lavori decisamente più complicati da affrontare, mentre nei tre minuti e sette secondi di Animali Valentina Parisse indica, con le poche parole che una canzone pop richiede e prevede, esattamente la medesima luna che ho provo a indicare ogni volta che scrivo.

Ma siccome non è questa l’ultima canzone che Valentina Parisse ha sfornato, se ora non lasciassi da parte gli animali per occuparmi delle imminenti feste di Natale, imminenti mentre sto scrivendo ora, a metà dicembre, risulterei quantomeno poco attaccato alla realtà, oltre che piuttosto distratto. Perché Vischio, questo il titolo del nuovo singolo della cantautrice romana, è non solo un’altra perla in questo collier che Valentina Parisse sta mettendo assieme canzone dopo canzone, come chi aggiunge un Charms a un bracciale di Pandora, ma anche una canzone che affronta proprio con la medesima leggerezza un tema in apparenza leggero di suo, ma che a occhio più attendo potrebbe risultare anche piuttosto doloroso. Vischio, infatti, ballad dolce, malinconica, è una canzone che guarda con leggerezza a chi si approccia al Natale come un momento di assenze, più che di presenze, la solitudine a prendere il posto che solitamente è della gioia. Una canzone che suonerebbe perfetta in una scena clou di film alla Love Actually, per capirsi, dove I protagonisti si muovono coralmente dentro le proprie vite incompiute, “Io rimango a fissare I regali come le webcam nei supermercati” la frase guida di questo gioiellino che è una sorta di inno antinatalizio, leggero ma, per dirla con il maestro, così leggero che ci fa sognare.

Continua a leggere su optimagazine.com