BikiniDrama

Vi racconto come è nato BikiniDrama e alcuni aneddoti legati a quel periodo


INTERAZIONI: 114

Tempo fa, mentre stavo andando a una riunione, una delle prime riunioni in presenza da prima del Covid19, con tutto il carico di apatia e emozione che questo comportava, ho avuto un colpo al cuore. Ero nella via nella quale  ho abitato otto anni, a Milano. Quella nella quale mi sono sposato, sono nati i miei primi due figli, dove vivevo quando ho pubblicato il mio primo libro con Mondadori, i miei primi articoli con riviste importanti. Una via, è ovvio, cui sono tuttora molto legato, e dalla quale mi sono spostato solo perché, scaduto il contratto quattro più quattro d’affitto, la proprietaria di casa, una signora di Milano sposato con americano, e anche per questo, credo, dotata di un accento assolutamente non italiano, ha deciso di alzare il tiro o di vendere l’appartamento. Il tutto proprio mentre anche noi cercavamo un appartamento, ma più grande di quello, e comunque diviso meglio, quello era un grande bilocale, di quasi settantacinque metri quadri, ma a noi servivano camere, non ampi spazi aperti. Comunque, ero per via Tadino, questo il nome della strada, diretto a larghe falcate verso la mia prima riunione in presenza da quasi due anni, quando ho visto, su due vetrine di un palazzo proprio a pochi passi da dove avrei incontrato i miei collaboratori, due scritte che mi hanno letteralmente tolto il fiato. Perché inaspettate, sicuramente, e perché, non fatemi parlare ancora una volta della psicogeografia, vi prego, prova provata che i luoghi sono capaci di dirci molte più cose di quel che pensiamo, anche su di noi. Su una vetrina, infatti, c’era scritto Ottobre Rosso e su quella al suo fianco, un portone in legno a dividerle, il nome di Nanni Balestrini e il titolo del suo primo romanzo, Vogliamo tutto. Anche questa è storia vecchia, già raccontata. Se scrivo, e visto che mi state leggendo è evidente che scrivo, è per Nanni Balestrini. Per più di un motivo, a dirla tutta. Prima perché è leggendo i suoi libri, proprio a partire da Vogliamo tutto, che mi sono innamorato delle parole scritte e scritte in una determinata maniera. Secondo perché è stato proprio Nanni Balestrini, conosciuto per caso nella mia città natale, a indurmi a provare a scrivere, e poi a permettere che quei miei primi racconti diventassero parte di un libro, accendendo in qualche modo la mia carriera di scrittore. Sempre in via Tadino, per altro, abitavo quando ho pubblicato il mio primo romanzo, Questa volta il fuoco, uscito per la casa editrice di cui Nanni Balestrini era il deus ex machina, seppur io fossi arrivato alla pubblicazione passando da Bologna, grazie a Luigi Bernardi, editor in salsa noir che aveva fortemente voluto che inaugurassi la sua collana Vox Noir, e di proprietà di quel Sergio Bianchi che del romanzo Gli invisibili di Balestrini era il protagonista. Mica è un caso che proprio Questa volta il fuoco sia finito nella mia ultima opera di narrativa, raccolto insieme agli alle altre due parti di una trilogia nell’antologia Avrei voluto tutto, che proprio a quel Vogliamo tutto intendeva rendere omaggio.

Che io poi nel tempo abbia abbandonato quella china, quella della narrativa vera e propria, seppur mescolata con la poesia, e sia passato a altro, è faccenda che nulla toglie alla potenza di quell’epifania, per me molto emozionante.

Via Tadino, la strada nella quale ho in qualche modo iniziato la mia vera e propria vita da adulto e con la mia vita da adulto la mia carriera professionale mi mostrava, il luogo in questione era la galleria d’arte Fondazione Mudima, quelle che erano le mie radici, come a volermi in qualche modo mandare un messaggio che, confesso, non ho del tutto saputo decifrare. Non che io abbia mai del tutto rinunciato a fare letteratura, buona o cattiva letteratura non sta a me dirlo, solo che l’ho scontornata di quelle che genericamente sono le sue caratteristiche più riconoscibili, andando a prendere come fondale per le mie storie il mondo della musica, già abbondantemente presente proprio in quei miei primi libri, e neanche troppo sotto forma di fiction.

A pensarci bene proprio Via Tadino 52, che era il mio indirizzo preciso, con tanto di numero civico, era il titolo che per qualche mese ha accompagnato, o forse dovrei dire ospitato, i capitoli di quello che avrebbe poi rappresentato il mio primo tentativo, assolutamente fallito, di mashuppare un po’ tutti gli elementi del mio immaginario: letteratura, musica, biografie, rockstarritudine, pop, femminile. Fallito, dovrei essere un po’ più preciso, non fosse altro perché la cosa non riguarda solo me, perché a volte le idee corrono più velocemente del tempo nel quale si manifestano, e perché gli eventi tendono a sovrapporsi senza tenere troppo conto di quel che sono i progetti di noi umani. Come dire, rifarei esattamente tutto come ho fatto, solo che mi concentrerei solo su quello, potessi tornare indietro, senza lasciarmi distrarre dalla mia carriera di critico musicale.

Via Tadino 52, comunque, è stato la prima bozza, pubblica, del romanzo Bikinirama, che poi avrebbe visto Berarda Del Vecchio affiancarmi in un controcanto femminile del racconto, spunto fondamentale per dar vita all’omonima band e all’omonimo album, uscito nel gennaio 2016 per Universal e destinato, ahilui, a non lasciare traccia. L’idea di dare alla storia di questa pop band tutta al femminile, inventata di sana pianta, e poi in effetti creata davvero, prodotta e portata alla pubblicazione, seppur chiaramente le Bikinirama ero fondamentalmente io, posso dirlo una volta per tutte, il titolo di Via Tadino 52, cioè l’indirizzo di casa mia, era a sua volta un sentito omaggio a un altro mio mentore, stavolta a sua insaputa. Se Balestrini è infatti stato il primo scrittore a avermi indotto alla scrittura, con i suoi libri e nello specifico con i suoi consigli e le sue parole, Don De Lillo è stato a sua volta una sorta di guida spirituale, con i suoi libri. Non la sola, evidentemente, ho più volte fatto mostra del mio pantheon personale, ma sicuramente tra le più autorevoli lì in mezzo. Via Tadino 52, nella mia testa, era come dire Great Jones Street, e non a caso il protagonista della mia storia, che si chiama come me e che con me condivide un sacco di fatti realmente accadutimi, nei primi capitoli se ne stava rintanato in casa, esattamente come Bucky Wunderlick, rockstar tormentata e vagamente paranoica protagonista del romanzo delilliano. Solo che Via Tadino 52, poi saggiamente diventato Bikinirama, perché risultati o non risultati è evidente che il titolo Bikinirama funzioni meglio del titolo Via Tadino 52, non ci piove, per altro col cazzo che avrei usato quell’indirizzo se ancora fosse casa mia, lo dico nel caso qualcuno si sentisse autorizzato a andare lì davanti a farmi la posta, un Mark Chapman particolarmente affettuoso, o anche qualcuno che vuole portarmi a sentire il suo ultimo imperdibile demo, non era un libro, o non lo era ancora, confesso che pure oggi fatico a trovarne una definizione coerente e precisa. Era un romanzo, certo, ma era soprattutto un mockumentary, cioè un finto documentario, nello specifico, essendo scritto, una finta biografia sulla falsa riga di quelle che da anni vado scrivendo di popstar e rocstar italiane e straniere. Da lì a passare a essere anche un progetto che coinvolgesse non solo altre discipline, il disco pubblicato da Universal, appunto, con gli arrangiamenti di Niccolò Fragile, proprio in questi giorni in studio con Eros Ramazzotti in veste di produttore, gli strumenti suonati dalla band di Laura Pausini, e questo era un tocco di surreale che non guasta mai, ma quando stavamo lavorando al tutto ancora non avevo iniziato a lanciarmi stracci con la Divina sui social, i featuring di artisti di pregio quali Enrico Ruggeri, i Tiromancino, Andrea Mirò, Sara Mazo degli Scisma, Garbo, i KuTso, Romina Falconi e altri, c’è voluto poco, almeno nel boschetto della mia fantasia. In realtà ci sono voluti oltre quattro anni, prima con una serie di ricerche su chi sarebbe poi potuta diventare parte del gruppo, consapevoli che creare una pop band femminile, un gruppo vocale femminile, non è faccenda tipicamente italiana. Un lavoro fatto in un team, vagamente messo su alla Armata Brancaleone, grandi energie e entusiasmo, poca capacità organizzativa, io a occuparmi della parte narrativa e musicale, Riccardo Struchil, recentemente in grande spolvero con Diners Club, su Prime Video, alla regia, le scuole di musica a ospitarci nelle nostre selezioni (una delle prime ragazze assoldate è Marta Marasco, oggi Marte Marasco, incontrata ancora giovanissima alla Mirò Music School e negli ultimi anni vista alle selezioni di Sanremo Giovani e alle auditions di X Factor, scartata ai Bootcamp da Manuel Agnelli, ma di lì sono passate, seppur fugacemente altri nomi, compresa anche Melissa Greta Marchetto, poi diventata popolare volto tv a Quelli che il Calcio e un po’ ovunque, oltre che VV, al secolo Viviana Colombo, finita all’ultimo Concertone del Primo Maggio, in ora antelucana ). Il tutto finché non si è trovata la quadra, ma non voglio mica parlare delle Bikinirama e di come quel progetto sia naufragato, per mia stessa mano, l’ho già fatto, è messo agli atti.

Ancora oggi, giuro è successo dopo un po’ di mesi proprio mentre stavo scrivendo questo testo, forse come nel caso della Fondazione Mudima e Balestrini ci sono connessioni astrali che solo Red Ronnie sarebbe in grado di spiegarmi, magari con l’aiuto di Heather Parisi, quando scrivo di temi particolarmente vividi, quelli che accendono flame, scatenano polemiche anche piuttosto accese, arriva sempre un fenomeno, il web e in special modo i social sono pieni di fenomeni, i cosiddetti leoni da tastiera, che tira fuori le Bikinirama, come a volermi colpire sul vivo, un punto debole lasciato incautamente scoperto. Pensano, credo, fatico sempre a immedesimarmi con gli analfabeti funzionali, anche se sto studiando per farlo, che citare le Bikinirama sia svelare e evidenziare, quindi sputtanare, un mio fallimento come critico musicale, un caso che ai loro occhi ho provato a montare, indicando il “futuro del pop”, rivelatosi poi un perfetto flop. Ignorano, in realtà, e so che scriverlo qui non aiuterà loro a capirci qualcosa di più, che che il “caso Bikinirama”, caso che a parte quel po’ di casino che ai tempi ci ho creato intorno io, le centinaia di migliaia di views dei video delle popstar vere che le presentavano ospitate dal Fatto Quotidiano, da Caparezza a Rancore, ma anche da Mara Maionchi a Max Pezzali, per dire, in tanti si prestarono al gioco, oltre quaranta artisti, tutti complici in questa mia deriva surreale e situazionista, un lancio in effetti degno di un grande progetto mainstream, di “caso” non si è affatto trattato, potrebbe essere usato assai meglio per colpirmi, essendo più un caso di un mio progetto artistico fallito in prima persona, direi qualche gradino più un su nella scala dei fallimenti rispetto aver riposto malamente aspettative sul lavoro di un altro. Nei fatti, son fatto così, e lo sono fatto talmente tanto da essere qui a raccontarlo, magari evidenziandolo per la prima volta agli occhi di molti e andandolo a ricordare agli occhi di chi, con buona probabilità, se lo era dimenticato, come uno che scoreggia in ascensore e lo dichiara a voce alta, “sono stato io a scoreggiare, guardatemi”, credo che nella carriera di un artista, so che Bersani ha contribuito col suo famoso tweet ai tempi del concerto di Salmo a Olbia a radicare in molti l’opinione che autodefinirsi artisti sia cosa sbagliata, arrogante, ma credo che, ogni tanto anche Bersani sbaglia, è umano pure lui, sia una emerita cazzata, chi crea in ambito artistico, e scrivere libri e fare dischi, per rimanere alle Bikinirama, è fare quella cosa lì, resta semmai da capire se era buona o cattiva arte, credo quindi che nella carriera di un artista, specie se ama spaziare tra le arti e giocare la carte delle performance, e il progetto Bikinirama in fondo era esattamente una grande performance mai andata del tutto in scena, l’idea iniziale della campagna elettorale, legata la singolo Vota Bikinirama, con tanto di trenta e passa cover pronte per il lancio, cover fatte da altrettanti artisti indipendenti, da Cassandra Raffaele a Francesco Di Bella dei 24 Grana, per dire, il guerrilla marketing sui manifesti elettorali e tutto, l’idea dei video promozionali nei quali le vere popstar ne parlavano come fossero una vera band, già esistente, con un passato reale, i featuring di nomi importanti, anche il passaggio da una major, tutto era finalizzato a far esplodere la band per poter poi dire qualcosa che avrebbe suonato come “le Bikinirama c’est moi”, roba che manco Rufus Wainwright vestito da Judy Garland, credo che nella carriera di un artista i grandi progetti, ambiziosi, che poi falliscono ci stiano perfettamente, la storia della letteratura, come del cinema o della musica è pieno di grandi insuccessi su cui in molti avrebbero scommesso, almeno i titolari.

Certo, rimane la curiosità di sapere cosa in effetti un ipotetico pubblico avrebbe potuto pensare di quelle canzoni, se mai le avesse ascoltate, cioè se la macchina non si fosse fermata ancora dentro il garage, come in effetti è avvenuto. Seppure il progetto verteva più sull’insieme che sulle singole parti sono tutt’ora convinto fosse un ottimo disco, cantato da ottime cantanti.

E rimane il rimpianto di aver coinvolto alcune persone, sicuramente deludendole, a partire dalle tre cantanti coinvolte come vocalist, le ore passate in studio, i set fotografici, le lezioni di danza, le ore passate a lavorare sull’immaginario come sul repertorio. Con due di loro, una addirittura quando il disco non era neanche uscito, parte del naufragio del progetto, ci siamo persi di vista, l’altra è una mia cara amica, e artista che continuo a seguire con grande interesse, lungi da me tirarla dentro questo momento così intimo e imbarazzante come il racconto di un fallimento. Discorso analogo vale per Berarda Del Vecchio, coautrice del romanzo, uscito in contemporanea col disco, in qualche modo abbandonato a se stesso come tutto il resto di questa faccenda.

Poi, visto mai, c’è il caso che prima  o poi io mi prenda briga di raccontare questa storia per filo e per segno, magari proprio con l’amica artista (con Berarda dubito sia possibile, lei vive a Stoccolma), tra materiale fotografico, video e musicale ne potrebbe venir fuori un grande show, e so perfettamente che tutti i miei detrattori adorerebbero vedermi suonare chitarra e piano, con quei due strumenti ho scritto i pezzi delle Bikinirama (non tutte, alcune per le parti musicali si sono avvalse dell’arte compositoria dello stesso Niccolò Fragile come di Chiara Vidonis). Potrei fare un unplugged, citando i miei amati Tesla, che nulla hanno a che fare con Elon Mask, lo dico per i più giovani, potrei intitolarlo One Man Acoustical Jam, anche se non sarei affatto solo sul palco. Infatti, no. Niente Tesla. Ho già pronto il titolo, perché non sarò in grado di realizzare tutto quel che mi passa per la testa, ma quanto a titoli resto un drago, Bikini-D-rama. Resta solo da trovare la voglia di andare a rimettere mano a un progetto che ormai è da tempo sepolto, magari la notte di Halloween mi torna la voglia.