Costanza Savarese, storie di sirene con le gambe

Ho parlato con Costanza e mi ha raccontato di un suo progetto che parte dal mito di Partenope


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Ho visto Super Nature, il nuovo special targato Netflix di Ricky Gervais. Come sempre, e quando dico sempre intendo proprio sempre, l’ho trovato davvero geniale per quel suo modo unico di metterci di fronte alle nostre ipocrisie e incongruenze, dove per nostre, è evidente, intendo più le vostre che le mie, la penso molto spesso come lui, uso una generica prima persona plurale per generosità nei confronti di chi mi legge. Il suo show parla non tanto e non solo di soprannaturale, una porzione è ovviamente dedicata alla religione, che è un po’ una sua passione, quanto alla natura, a suo dire, già piuttosto interessante di suo da non rendere affatto necessario pensare costantemente a qualcosa di sovrannaturale. Nel farlo, e la cosa gli è venuta particolarmente bene, poi giuro che non spoliererò alcuna altra battuta, perché voi tutti dovrete assolutamente andarvelo a vedere, cita l’ornitorinco, presumibilmente uno degli animali più strani del mondo. Dice qualcosa tipo “fa le uova ma produce latte, in pratica volendo potrebbe fare crema pasticcera da solo…”, una battuta anche scema, ma che mi ha fatto molto ridere e soprattutto posso riportare senza paura di urtare la sensibilità di qualcuno, a meno che tra i lettori non ci sia un ornitorinco.

In realtà, poi lascio da parte Gervais. In Super Nature di animali si parla poco, giusto qualche accenno ai cani e ai gatti, perché lo sguardo è ovviamente tutto concentrato sull’uomo. Io invece voglio parlare di animali. E voglio parlarvene esattamente per i medesimi motivi per cui Ricky Gervais dichiara di voler guardare alla natura, lì c’è praticamente tutto il necessario per dire quel che si vuole dire, come nel suo caso, temo, finirò poi per parlare d’altro. Lui, so che sto contravvenendo a quel che avevo dichiarato di non voler fare, cioè spoilerare uno show televisivo, seppur uno show televisivo di grandissimo successo, lui proprio perché non crede nel sovrannaturale, che si parli di fantasmi come di un qualsiasi dio, non intende certo parlare di esseri che nel sovrannaturale abitano, cita gli unicorni e i draghi, finendo quindi per parlare di cani e gatti, animali che per loro natura sono quelli più vicini a noi, abitano dentro le nostre stesse case.

Ecco, gli unicorni.

Non bastandoci evidentemente i tanti, tantissimi animali presenti in natura, l’uomo da sempre se ne è inventati di ancora più bizzarri, spesso incaricando queste stranezze di rappresentare qualcosa di altro, metaforico o immaginifico, dando quindi a quelle caratteristiche fisiche che solitamente sono frutto dell’evoluzione naturale modo di parlarci come quasi mai la natura è intenzionata a fare. Che si tratti di parlare di Chimera, Fenice, Fauni, Centauri, Goblin, Draghi o Minotauri tutte le mitologie a noi conosciute sono animate da affascinantissimi animali non presenti in natura, spesso veri e propri mash-up di animali esistenti, ognuno dei quali è dotato di poteri speciali e foriero di aspetti leggendari. Alcuni di questi animali mitologici, poi, sono presenti in mitologie di popoli differenti, magari con alcune variazioni sul tema, a dimostrazione che seppur stili di vita e anche linguaggi differiscano molto da luogo in luogo, di epoca in epoca, certi aspetti finiscono per essere onnipresenti, come se la fantasia fosse a volte capace di superare le barriere culturali e i confini per infondere nella natura quel che la natura di suo distrattamente non aveva pensato di creare.

Di tutti questi animali mitologici, quello che ha sempre colpito la mia fantasia, so di essere piuttosto scontato, è la sirena. Avete presente tutti l’essere metà donna e metà animale, presente in alcune tradizioni sotto forma di uccello e in altre sotto forma di pesce. Per me, immagino per il mio essere nato e cresciuto in un posto di mare, e averne quindi viste alcune come rostri dei velieri della Marina Militare che ogni tanto erano ormeggiati al porto, o per aver studiato con passione, da piccolo, l’Odissea, la sirena è sempre stata mezza donna e mezzo pesce, capace di ammaliare l’uomo con il suo canto irresistibile, quello che da sempre fa impazzire i marinai di mezzo mondo, costretti a legarsi agli alberi della nave per non gettarsi in mare, divorati dai flutti.

L’immagine della sirena, tutti ne abbiamo viste chissà quante, nei tatuaggi degli ex carcerati, nell’iconografia delle pin-up, nei manga come al cinema, dalla strepitosa Darryl Hannah di Splash, una sirena a Manhattan al film della Disney, la storia di Ariel a scendere di forza dallo scoglio di Copenaghen che ospita la nota statua, omaggio a Hans Christian Andersen, che scrisse la nota favola che porta per titolo proprio La sirenetta, l’immagine della sirena è qualcosa che mi ha sempre colpito, suppongo per quel mostrare in tempi in cui di corpi nudi se ne vedevano pochini, quei seni scoperti, così, spudoratamente, o forse per quelle storie di canti in grado di far perdere il senno alle persone, credo più per la prima motivazione che per la seconda, a essere onesti. Di fatto, però, la sirena incarna sì una fascinazione piuttosto terrena, il mostrare i seni scoperti, non fidatevi della Darryl Hannah di cui sopra, quello era un film per famiglie e ovviamente nulla si doveva vedere, il mostrare i seni scoperti è un ammiccare diretto, preciso, un esibire sessualità per attrarre, senza alcuna ambiguità, e al tempo stesso illogica, straniante, innaturale. Il suo avere la parte inferiore del corpo sotto forma di pesce, infatti, la priva, almeno in apparenza, degli organi genitali, quindi anche della possibilità di essere compiutamente donna, e so quanto questo discorso oggi, in tempo di gendrismo possa suonare scivolosa, qui non parlo certo di autopercezione, ma di anatomia. Impossibile per una sirena, credo, non sono ferratissimo in materia, accoppiarsi con un uomo, di qui, suppongo, il suo dover ricorrere al canto, ammaliante e irresistibile, la carnale sensualità concentrata sui seni scoperti, in alcune mitologie anche il viso è mostruosamente disumano. L’animale, quindi, più sensuale in natura, sempre che si possa ascrivere alla natura anche un animale chiaramente inventato dall’uomo, ben più sensuale e affascinante di altri ibridi donna animale, penso alle arpie, alle sfingi, è nei fatti privato proprio del sesso, seppur alcune rappresentazione pittoriche di periodo tardo-medievale mostrino un apparato genitale proprio sopra l’attaccatura della parte animale e il kama sutra indichi il nome “sirena” in ben due posizioni, aprendo quindi ipotesi a noi sconosciute a riguardo. Resta comunque curioso che la sirena sia a lungo stata un potentissimo archetipo del femminile, irraggiungibile, visibile solo all’occhio di un maschio, al tempo stesso assolutamente conturbanti ma anche pericolosissime, mortali, così come in grado di placare le tempeste e i venti col loro solo cantare, un potentissimo archetipo femminile nel quale la sessualità femminile era del tutto negata.

Tempo fa mi sono trovato a parlare di sirene con una artista, Costanza Savarese, che con la sirena ha più che qualche punto in comune. Il suo modo di cantare, cinque ottave di estensione e un piglio sperimentale assolutamente unico nel nostro panorama musicale, radicale e fisico al tempo stesso, è di quelli che, in effetti, conturba l’ascoltatore, costretto all’ascolto anche laddove le dinamiche della sua voce possono suonare indecifrabili a un orecchio non troppo educato, la sua fisicità assolutamente affascinante esibita con distacco quasi inumano, anche qui un’alterigia regale che ci tiene in allerta, Ho parlato con Costanza Savarese di sirene perché, per quelle strane dinamiche si creano quando pur facendo cose apparentemente lontane e diverse ci si ritrova in campi di interessi comuni, mi ha raccontato di un suo progetto che parte dal mito di Partenope, mito del quale, confesso, nulla sapevo. In sostanza, questo vuole la tradizione, tradizione che poi si troverà nel tempo a essere di volta in volta rivisitata da altre penne, una delle ultime Matilde Serrao, vuole che Partenope fosse una bellissima e fascinosissima sirena, di cui si innamorò perdutamente il centauro Vulcano. A facilitare la cosa un dardo scoccato da Eros, dio dell’Amore. Come però spesso capitava nell’antichità, a innamorarsi di Partenope sarà anche Zeus, instancabile capo degli dei, respinto dalla sirena e per questo pronto a scatenare la sua ira. Ira che si manifesterà con Vulcano trasformato da centauro in vulcano, lì, in terra campana. Per il dolore dovuto a questa perdita Partenome non potrà far altro che uccidersi, poi trasportata dai flutti in quella che oggi è Napoli.

Una ulteriore leggenda, invece, vuole che Partenope fosse una ninfea, terza di tre sorelle. Figlie di Acheleoo, la prima era Leucosia, dalle candide membra, la seconda Lighea, la melodiosa, la terza Partenope, con il corpo di vergine. Le tre ninfee erano compagne di giochi di Persefone, figlia di Demetra. Un giorno Ade, dio degli Inferi, rapì Persefone. Demetra impazzì di dolore, e decise di punire le tre ninfee per non aver difeso Persefone, trasformandole in sirene e costringendole quindi a vivere nella zona dei tre scogli, la Sireneuse. Leucosia e Partenope si disperarono, uccidendosi. Lighea, a sua volta, senza le sorelle decise di gettarsi nei fluttui del mare. Leucosia venne trasportata dalle onde in quella che poi diventerà Pestum, Partenome in quella che è oggi Napoli, il corpo rivolto lì dove è Capodimonte, la coda a creare il promontorio di Posillipo. Lighea arrivò fino in Calabria, nel Golfo di Sant’Eufemia, seppellita da pescatori che ne trovarono il corpo. Due leggende, queste, che portano Partenope alla base della fondazione di Napoli, storie di innamoramenti impossibili, di dolore, di morte. Eros e Thanatos che si incontrano in un corpo femminile, per metà donna e per metà pesce, una voce capace di placare le tempeste come di far impazzire che l’ascolta.

Quella chiacchierata, tenutasi prima di una conoscenza di persona, avvenuta durante le giornate dell’evento/performance Rock Down- Altri cento di questi giorni, ha contribuito a cementare in me la convinzione, nata prima da una intuizione e poi da un approfondimento, che Costanza Savarese sia un’artista notevolissima, inquieta nel suo portare sempre più al limite la sua sperimentazione, quella tecnica rispetto all’uso della voce, certo, lei che arriva dalla chitarra classica, come quella su poetica e immaginario, un costante girovagare nei linguaggi che passa dalla musica contemporanea al pop senza soluzioni di continuità, flaneurismo artistico cui in Italia siamo poco abituati. Un mettersi alla prova, il suo, che gemma e frutta un mettere alla prova chi si pone, più o meno consapevolmente, di fronte a lei, ignaro che le sirene, come Medusa, non si dovrebbero mai fissare negli occhi, pena la follia. Credo che ne sappia qualcosa Luca De Lorenzo, che con lei sta realizzando questo nuovo progetto, all’interno del progetto collettivo internazionale Hybrid Wave per la prima NFT Biennale. La mostra si strutturerà in padiglioni fisici, situati a Istanbul, Smirne, Londra, New York, Ichinomya, Bombau e Bogotà, e esposizione digitale nel Metaverso. I due realizzeranno insieme anche l’allestimento del Pierrot Lunaire che debutterà a Capri, per poi spostarsi sempre a Napoli.Ora tocca solo aspettare di vederla e sentirla portare in scena, una scena suppongo virtuale, video, la figura di Partenope, possibilmente legati a alfierianamente a una sedia o all’albero maestro di una nave. Ditemi voi, poi, se una storia del genere sarebbe mai potuta passare da un animale reale, di quelli che banalmente la Natura ci ha messo a disposizione.