Diamo a Max quel che è di Max, la corona del pop italiano

Sono felice per te, Max, e mi raccomando, non farmi aspettare troppo per altre repliche

max pezzali

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Se c’è una cosa che mi ha sempre fatto incazzare, è l’ipocrisia. 

In realtà di cose che mi fanno incazzare ce ne sono tante, troppe, e iniziare un pezzo come questo parlando di incazzature è una di quelle cose che, a pensarci bene, mi fanno incazzare, perché è quantomeno incoerente.

Il fatto è che in questi giorni, e quando dico in questi giorni non intendo un generico di questi tempi, intendo proprio in questi giorni qui, a Milano, la città che venticinque anni fa ho scelto, più o meno volontariamente, come la mia città, si sta verificando una rara congiuntura astrale, di quelle che in realtà spereremmo accadessero sempre, come a da seguito a un senso di giustizia scritto da qualche parte sulla pietra, ma che nei fatti non capita poi con questa grande frequenza, fatto che ti fa quindi dire: forse è il caso di sottolinearlo. Anche perché, di qui l’incazzatura, è una congiuntura astrale di quelle che ti lasciano a bocca aperta, ammantata di bellezza, e vorresti che tutti la sottolineassero, o meglio, tutti quelli che si sono dati nella vita lo scopo di raccontare la bellezza, dove c’è bellezza, invece ti capita di vedere che a parlarne sono anche quelli che in genere sono più che altro inginocchiati a leccare le mani del padrone, gli Amici a quattro zampe, dando in realtà più un seguito a una incoerenza che a altro. Intendiamoci, la coerenza in sé non è un valore, ci sono esemplarissimi esempi di gente incoerente che ha fortunatamente fatto cose lodevoli, o quantomeno strepitose, ma pensare che chi si è sempre guardata bene dal sottolineare il bello, adesso, sia lì a dare da intendere di farlo da sempre, e io, invece, che quel bello ho sottolineato da sempre, no, lo confesso, mi fa incazzare. E torniamo al fatto che, incoerente, parlare di incazzatura in esergo di un pezzo che deve celebrare una festa è un po’ da stronzi, perché invece dovrei solo star qui a applaudire e gioire, perché la festa in questione è la festa di un artista che stimo profondamente, per quello che da trent’anni fa e per quello che da oltre cinquanta è, e perché nella sua festa c’è anche un’altra festa di un’altra artista, stavolta donna, gli apostrofi non è che li butto lì a caso, che a sua volta stimo profondamente come artista e come persona, entrambi, diciamo così poi non mi cagate il cazzo che parlo sempre bene dei miei amici, miei amici, ma miei amici per la stima che nutro per loro, non siamo cresciuti insieme, non andavamo al mare nello stesso posto, ci siamo conosciuti da adulti e scelti, proprio per chi siamo e cosa facciamo, insomma, festa nella festa. E che festa. Parlo, i titoli pure non è che stiano lì a caso, di Max Pezzali che ha letteralmente conquistato San Siro, e non per modo di dire, come ultimamente è capitato di vedere nel caso di molti suoi colleghi, decisamente più accompagnati da blasone ma meno da numeri reali, ma proprio letteralmente e letterariamente. Sessantamila persone, prima di due date, che hanno cantato e danzato e si sono commossi e sono state parte di un tutto, come del resto accade ormai ininterrottamente da trent’anni a questa parte, anche di più. Perché, questo mi è capitato di dirlo più e più volte, in tempi non sospetti, Max Pezzali è uno dei rari cantautori italiani in grado di cogliere il cuore della gente, e di dare a quel cuore le parole, e quindi le emozioni, non solo quelle romantiche, anche quelle divertenti, attraversando le generazioni, fatto davvero raro. Un vero artista che ha scelto il pop come campo di gioco e in quel campo ha fatto numeri, non parlo di numeri nel senso di dischi venduti, anche ne ha venduti come pochi altri in Italia, è un fatto, ma di numeri come quelli che un Maradona faceva con la palla al piede, andando a incantare chi lo ascoltava, facendo del pop qualcosa che solitamente non è, un’arte nobile, dove uno che canta diventa uno che fa cantare milioni di persone. Anche in quel modo lì, così ci siamo conosciuti, perché a suo tempo ebbi a scriverne, con quegli accenti spostati che ai tempi hanno fatto storcere il naso a tanti puristi, alcuni dei quali oggi si ricredono, senza ammettere di avere qualcosa di cui ricredersi, incoerenti senza talento, arte sopraffina talmente riconoscibile da essere un marchio di fabbrica, come lo erano le sillabe stoppate a un passo dalla fine di Fossati o le rime interne di Paolo Conte, questo ho scritto e questo mi sento di riscrivere oggi, con i due San Siro traboccanti di gente che canta, inutili orpelli, le mie parole, a un successo di pubblico senza precedenti. Sono molto felice per Max, che è artista sensibile, di talento immenso, e meritevole di tutto questo, e sono anche felice per Paola Iezzi, altra artista la cui stima è da parte mia da sempre dichiarata, capace di far muovere il culo anche a chi, come me, ha solitamente il culo di marmo, creatrice con sua sorella, prima, e in proprio, poi, di un pop internazionale che oggi, diciamolo a gran voce, viene celebrato quando a cantarlo sono artisti internazionali, penso a Dua Lipa, o nazionali, penso a Elodie che ha clonato Paola e sua sorella Chiara facendo di Tribale una sorta di cover non dichiarata di Festival, venti anni dopo e senza quella sensualità che Festival indubbiamente aveva, in quanto vera, una artista, Paola Iezzi, che un mondo discografico dotato di un minimo di sale in zucca terrebbe su un palmo di mano, ma che invece si è nel tempo resa indipendente, del resto Paola e Chiara da sempre sono state indipendenti e autarchiche, da sole a scrivere, da sole a prodursi, a curare tutti gli aspetti della loro arte, finalmente tornate insieme proprio per salire sul palco con quel Max che trent’anni fa le ha lanciate (a un certo punto c’era sul palco anche Mauro Repetto, ma diciamolo, gli 883 erano e sono solo Max), e quindi, mi auguro, pronte a tornare sul mercato, acclamate da quel pubblico e da tanto altro pubblico sui social. Certo, avendo ascoltato il nuovo lavoro solista di Paola, ancora inedito, mi auguro che il duo conduca vita parallela alla carriera solista della sola Paola, perché, fidatevi, è una bomba degna di una platea non solo italiana, ma già saperle di nuovo sulla piazza, titolari di un pop d’autore di classe mi riconcilia con quanto di brutto invece si sente in giro. 

Ma l’incazzatura cui facevo riferimento prima, nei fatti, è altra, e non dovrebbe essere esibita, perché vicende mie private, di cui ovviamente non parlo, mi tengono in questi giorni lontano da Milano, e questo ha fatto sì che, io che celebro Max da sempre, io che celebro il talento di Paola e Chiara con voce ferma da sempre, mi sono perso questa grande festa, questo meritato bagno di folla, Max Pezzali che si fa due San Siro di fila, altro che i numeri gonfiati dei colleghi che la macchina muove con una solerzia del tutto malriposta. Gioire da lontano, diciamolo, è altra cosa, ma tant’è, non c’ero e solo la certezza che questa è stata una prima e seconda volta cui seguiranno altre volte, mi rasserena. Resta che Max Pezzali, qui lo dico, come forse il solo Vasco e Jovanotti è davvero in grado di mettere insieme un pubblico transgenerazionale vero, ha giustamente dimostrato quel che a mio vedere non serviva affatto fosse dimostrato, un re è re anche prima che gli appoggino ufficialmente la corona in testa, e il suo essere un gigante del nostro pop, oltre che una delle persone più a modo di questo ambiente altrimenti così di merda, lo sappiamo tutti da tempo, magari semplicemente qualcuno distratto non se ne era accorto abbastanza o aveva la faccia infilata nel culo di qualcuno per parlarne quanto sarebbe stato necessario. 

Sono felice per te, Max, e sono felice per te, Paola, e mi raccomando, non fatemi aspettare troppo per altre repliche, una volta che sarò tornato a Milano, mica vorrete che continui a parlare di incazzature laddove dovrei star qui a parlare della meritata gioia di questo vostro momento?