Cazzi e canguri, in realtà un canguro solo

Che uno si tenga un canguro in casa e per di più se lo faccia scappare è davvero qualcosa di sorprendente. È un po’ quello che capita molto spesso a chi, come me, si trova suo malgrado a doversi occupare di musica mainstream italiana


INTERAZIONI: 103

Mi capita spesso di andare al mare a Marcelli, alle pendici del Monte Conero, subito dopo Numana, presso il lido che un tempo si chiamava Libeccio. È un punto di ritrovo per quelli che sono gli amici coi quali sono cresciuto, alcuni dei quali hanno l’ombrellone stagionale lì. Per andarci, di solito, faccio la cameranense, costeggiando per alcuni tratti l’autostrada, e stando ben attento a non superare i limiti di velocità, gli autovelox presenti ogni tot metri, promemoria di come in fondo nella vita chi va sano va piano e va lontano, certo, ma ci mette decisamente più di quanto vorrebbe.

A un certo punto, dopo la salita del Coppo, taglio per Montefreddo, tagliando fuori dal mio tragitto Sirolo e Numana. Lo stesso succede al ritorno, quando, come nel romanzo di Huysmann, rifaccio la medesima strada a ritroso. Anni fa, in genere quando andiamo a Marcelli rimaniamo fino a tardi, tardissimo, perché  il mare, all’ora del tramonto, è qualcosa di spettacolare, e perché, dopo le diciotto, quando i bagnini scendono dai loro trespoli lasciando la spiaggia senza sorveglianza, io e miei amici siamo soliti giocare alla tedesca, lì sul bagnasciuga, anni fa, quindi, siamo ripartiti come sempre quando era l’ora di cena, con due macchine. In una la mia famiglia, siamo sei, abbiamo una monovolume a sette posti, in una mia cognata e mia suocera, con credo anche mia figlia grande a bordo. Siamo partiti e a un certo punto non le ho più viste nello specchietto retrovisore. Succede, di perdersi strada facendo. Magari uno becca un rosso, o si trova davanti un guidatore della domenica, di quelli col cappello in testa e che non superano mai i quaranta all’ora. Di fatto, però, arrivati a casa loro non si vedono, cosa che ci fa allarmare. Li chiamiamo ma, ovviamente, i cellulari sono tutti spenti, le batterie che non durano mai abbastanza. Neanche il tempo di preoccuparsi davvero che però arrivano, e subito ci raccontano di come siano stati testimoni di un incidente, un cerbiatto, infatti, proprio lungo la cameranense, avrebbe colpito in pieno uno scooter, facendolo cadere in terra. Chiaramente l’idea di un cerbiatto che colpisca uno scooter ci è parsa quantomeno fantasioso, stiamo parlando del Conero, non delle Alpi, e abbiamo tutti interpretati quel racconto come una scusa poco credibile per giustificare un andamento non proprio da crociera.

Ogni tanto, nel corso degli anni, quella storiella è tornata fuori, sempre con la precisa divisione in squadre, noi a non credere loro, loro a provare a convincerci in maniera anche concitata.

Poi succede che una sera vengo invitato a cena a casa di amici di amici, persone che conosco solo di nome ma che, generosamente, mi hanno invitato. Si sta lì a chiacchierare non ricordo neanche bene di cosa quando il padrone di casa se ne esce col fatto che è da tempo in disputa con la Provincia e l’Anas perché anni prima un cerbiatto lo ha centrato in pieno mentre tornava dal mare con lo scooter, facendogli decisamente male, oltre che distruggendo la moto. La cosa, sulle prime, mi ha fatto ridere, fatto che suppongo mi abbia fatto passare se non come uno stronzo quantomeno come un insensibile, al punto che ho dovuto raccontare tutta la faccenda di mia suocera per non finire nella lista nera di quelli che, invitati a cena nonostante una conoscenza superficiale, si prendono anche la briga di ridere dei dolori altrui.

Quando non andiamo al mare a Marcelli, ci piace cambiare location, dal momento che il resto dell’anno lo passiamo a Milano, ci piace andare a Portonovo, dalle parti del Molo, lì dove un tempo c’era il chiosco. Certo, si sta stretti, scomodi, l’ombra è presente solo nelle prime ore del giorno, giocando con la tettoia della Cooperativa dei moscioli, ma lo spettacolo vale la partita, non fosse altro perché da qui si vede bene quel gioiello di Mezzavalle. Mezzavalle dove andiamo almeno una volta l’anno, passando non dal sentiero vicino a Portonovo, ma da quello cosiddetto di Manti’. Si passa attraverso il cancello lungo la strada, premurandosi di aver lasciato la macchina nei pochi posti ufficiali, quelli dove la linea è tratteggiata, altrimenti è sicuro che si beccherà la multa per divieto di sosta, e poi si fa quello stradello, pieno di curve, tra cespugli e alberi, poco meno di mezz’ora e si è al mare, dove almeno non c’è mai calca. Tocca avere tutto il giorno a disposizione, certo, perché fare tutta quella fatica per poche ore è cosa da ragazzi e io non sono più un ragazzo, ma questa è la mia idea di paradiso. Da giovani, quando cioè non eravamo ancora genitori, io e Marina, mia moglie, all’epoca la mia ragazza, passavamo qui anche la notte, in compagnia dei nostri amici. Toccava stare solo attenti di non farsi trovare addormentati dai carabinieri che erano soliti arrivare in piena notte con la panda quattro per quattro, o con un motoscafo, ma il mio essere insonne non ha mai fatto correre reali rischi a nessuno. Curioso che per bivacco, quello è proibito essendo Mezzavalle parte del Parco del Conero, si intenda il dormire di notte, perché ovviamente nessuno farebbe la multa a qualcuno che, di giorno, si assopisse sul proprio asciugamano, magari all’ombra di una frasca o di un ombrellone. Svegli invece si può stare, basta non accendere un fuoco.

Proprio un paio di anni fa, prima che l’accesso a Mezzavalle fosse regolato dalle App, il Covid le ha rese necessarie per evitare assembramenti, ci hanno fatto sapere le istituzioni, siamo andati una giornata a Mezzavalle. Arriviamo la mattina presto, per trovare parcheggio, lasciamo la macchina e ci incamminiamo in fila indiana verso il cancello, pronti a affrontare lo stradello, quando ecco che i miei due figli, Tommaso, all’epoca quindici anni, e Francesco, all’epoca otto, tornano indietro di corsa, spaventati. Dicono: “C’è un cinghiale, c’è un cinghiale”. Che il Conero sia diventato territorio molto frequentato da cinghiali è noto, ho amici sotto Massignano che un giorno sono stati chiusi in casa proprio perché una cucciolata di cinghiali era entrato nel loro giardino passando da un foro nella rete, spingendo mamma cinghiale a fare altrettanto, salvo poi non riuscire a passarci per andarsene, da quel foro, ma mai ci è capitato di vederne uno dal vivo. Neanche quella volta, a dire il vero, perché in effetti un cinghiale c’era, anche molto grande, ma era decisamente morto. Era lì, sul fossato a bordo della strada, e proprio a pochi metri si trovava il muso di una macchina giapponese, che evidentemente l’ha centrato nella notte, uccidendolo e andando a fare a sua volta una brutta fine. La sera, dopo una intera giornata al mare, il cinghiale era ancora lì, solo un po’ più putrefatto.

Per combattere i cinghiali, ho letto da qualche parte, sono stati portati sul Conero dei lupi serbi. Non so cosa siano i lupi serbi, nel senso, non sapevo che le razze animali avessero anche sfumature etniche. Nei fatti i lupi sul Conero ci sono davvero, perché in parecchi li hanno avvistati e alcune foto sono anche apparsi su siti locali. Ce n’è una stupenda che mostra cinque lupi, un branco, appunto, che passeggia proprio sopra Mezzavalle. Tempo fa è uscita la notizia che proprio quel branco, o un altro, vallo a sapere, aveva assaltato un tizio che, in pieno inverno, era andato a campeggiare lì sotto, fottendosene del divieto. Il tizio ha raccontato ai soccorritori di essersi salvato tuffandosi in mare, nell’acqua gelata dell’inverno, anche se tracce dei lupi non sono state in effetti trovate. Se in quella storia colpisca più un branco di lupi che si spinge fino al mare, dove in estate capita anche a me di stare con la mia famiglia, o uno che decide di fare camping selvaggio a Mezzavalle ancora non l’ho capito, di fatto nessuno si è fatto male, una multa per bivacco e un grosso spavento, niente più.

Avevo deciso che raccontare di cinghiali e lupi serbi parlando del Conero, invece che, per dire, soffermarmi sulle solite leggende, quelle della Grotta degli Schiavi, della principessa tenuta su uno scoglio, del demonio diviso in due che ha dato vita alle Due Sorelle, in realtà per colpa di una sirena, del Buco del Diavolo, quelle leggende lì, o al limite delle leggende metropolitane che vogliono il Conero punto di avvistamento principe degli UFO, immagino ieri ve ne avrà parlato Giacobbo, UFO che in realtà credo siano mezzi in ricognizione dalla vicina base Nato, i vicini campi dell’osimano pieni di cerchi sul grano una distrazione a beneficio dei soliti boccaloni, avevo deciso che raccontare di cerbiatti, cinghiali e lupi serbi sarebbe stato quantomeno esotico, del resto se proprio volessimo cercare leggende serie, da queste parti, sarebbe il caso più di guardare alla Sibilla, che quantomeno ha avuto un impatto importante nell’immaginario nazionale e internazionale. Poi però l’altro giorno apro il giornale, metaforicamente, da anni leggo i giornali solo online, e leggo la notizia che neanche troppo lontano da qui, vicino a Arezzo, per uno che vive a Milano Arezzo e Ancona non sono poi così distanti, delle auto hanno centrato e ucciso nella notte un canguro. Così, di mattina degli automobilisti passano per la provinciale che congiunge Pergine Valdarno e Civitella, vedono questa carcassa strana sul bordo della strada, si fermano, e scoprono che è un canguro. Un canguro morto investito, in provincia di Arezzo, in una calda notte preestiva. Chiaramente sono subito partite le indagini, e i sospetti, ancora vaghi, sono che si tratti di un esemplare scappato da una proprietà privata, ma è ovvio che un canguro batte cerbiatti, cinghiali e lupi, benché lupi serbi, senza neanche doversela sudare, con tanto di torello a centro campo, come recentemente è capitato all’Argentina contro l’Italia di Gnonto e Mancini.

So che in Italia ci sono allevamenti di canguri, come ci sono di Struzzi e di altri animali che in natura si dovrebbero trovare altrove, e lo so perché mi sembra mi sia capitato di sedermi a tavola in un ristorante rifornito da questi allevamenti, anche se la carne di canguro è dura e quella di struzzo davvero niente di che, ma che uno si tenga un canguro in casa e per di più se lo faccia scappare è davvero qualcosa di sorprendente, più di quelle leggende che vogliono le fogne di New York piene di coccodrilli albini, nati dalle uova gettati nel cesso da qualche irresponsabile o di quelle che ogni tanto ci raccontano di pantere o tigri a zonzo, per altro sempre del centro Italia.

È un po’ quello che capita molto spesso a chi, come me, si trova suo malgrado a doversi occupare di musica mainstream italiana, e lo dico consapevole che stare alla pressa o in miniera sia comunque meno agevole, sei lì che leggi comunicati stampa che ti raccontano quanto talentuoso e geniale sia Tizio, e quanto, quindi la canzone di Tizio sia da considerarsi un capolavoro, poi ti basta prestare l’orecchio a quel che succede, nel mainstream, oltreoceano o anche oltremanica, e di colpo tutto ti sembra in putrefazione, come il corpo del cinghiale che nella notte ha sfondato il muso di una macchina giapponese poche ore prima che io e la mia famiglia decidessimo di andare a Mezzavalle, andandosene poi a morire lì, nel fosso a bordo strada. O meglio ancora, ti basta spostare lo sguardo neanche troppo più in là, magari proprio dietro l’angolo dove abitiamo, e scopriamo che ci sono talenti variegati e interessantissimi, per altro altrettanto esotici dei canguri, degli ornitorinchi, dei quokka, solo, ci auguriamo, lo auguriamo loro, più abili a schivare le auto nella notte.