Di lucciole e zanzare e del perché il femminile fa paura a Musicultura

Cassandra Raffaele, Valeria Sturba, Martina Vinci e Isotta sono splendide esemplari di cantautrici, razza difficile da individuare a occhio nudo, perché la distrazione facilona maschile è più comoda e a portata di mano


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Nella vita di coppia si deve quotidianamente scendere a compromessi, credo. Perché le coppie funzionano laddove le parti hanno una medesima attitudine, ma non sono identiche, onde evitare un continuo sovrapporsi di ruoli. Ying e yang, quella roba lì. Ci si completa, e completandosi si va a formare qualcosa di inesistente, unico. Ma non è di coppie che voglio parlare. Piuttoto di qualcosa che è successo nell’ambito della coppia che mi vedere completarmi con mia moglie Marina, con me da trentaquattro anni e passa. Quando è arrivata la bella stagione, e almeno in apparenza il Covid ha allentato la sua morsa, parlo di apparenza perché continuo a conoscere un sacco di gente che se lo becca, non sempre in forma asintomatica, Marina ha deciso di andare a riprendersi nel giro di poche settimane tutto quello che in questi due anni ci siamo persi. In realtà sto mentendo, sapendo di mentire. Perché questa voglia di vivere intensamente, nel senso di vivere più esperienze possibili, di uscire, incontrare gente, vedere posti, andare a eventi, l’ha sempre avuta, e non solo con l’arrivo dell’estate. Solo che dopo due anni di vita casalinga, la cosa sembra come amplificata, quasi eccessiva. Così ci troviamo a salutare gli amici in vista dell’estate, neanche dovessimo partire per un Grand Tour ottocentesco, e a volte capita che questi saluti, che si tratti di aperitivi, di cene, di andare insieme a qualche evento, si sovrappongano, come in un vero e proprio tour de force. A questo va aggiunta la volontà di andare a vedere cose, come non ci fosse un domani. Il terrazzo del Duomo di Milano, per dire. Abito a Milano da venticinque anni e non ci sono mai stato. Funziona così, per me, sto in un posto, normale rimandare quel che è alla portata di mano, ci sarà prima o poi occasione, del resto è successo anche con la Pinacoteca di Brera, con L’ultima cena di Leonardo da Vinci, capiterà. Bene, ora l’ho visto, perché Marina ha fissato una visita online, di domenica pomeriggio, con trentotto gradi all’ombra, il tutto subito dopo aver avuto a pranzo amici di Ancona di passaggio a Milano, arrivati anche tardi a causa di un incidente incontrato in autostrada. Non bastasse c’è stato anche un problema con la metropolitana, che mostrava un ritardo di ventitré minuti, per cui siamo arrivati lassù, sotto la Madonnina, dopo aver fatto una corsa dal primo parcheggio disponibile andando verso il Duomo, a circa due chilometri da lì, e poi via, di corsa su per le scale. Sopravvivi e sei un supereroe, mi sono ripetuto affannando, cercando di tenere monitorato il battito in vista di un quasi certo infarto, mentre nei fatti sono solo il marito di una ipercinetica, una di quelle persone che non riescono a stare ferme, anche se poi questo coincide spesso con l’arrivo del caldo e quindi del sole, quindi potrei dire di una ipercinetica ma anche di una meteopatica, vallo a sapere. Ho anche appena scoperto, poi torno al discorso principale, che esiste un filone della fantascienza che si chiama Solarpunk, una costola ripulita e ottimista del cyberpunk dove le istanze legate al mondo delle multinazionali e della rete è stato sostituito da tematiche ambientaliste, fatto che mi fa guardare mia moglie come fosse una sorta di reincarnazione di Costanze Mozart con gli occhiali a specchio (questa la capiranno in pochi, amen).

L’infarto non è poi arrivato, e sono infatti qui a scrivere nel pieno delle mie facoltà fisiche e mentali, e anche se quanto sto scrivendo potrebbe suonare come una sorta di denuncia di violenze domestiche, una denuncia sottile, perché le violenze psicologiche subite da un uomo sono un po’ difficili da decifrare, a meno che tu non sia Johnny Depp, in  realtà quello che voglio dirvi è che ho scoperto che le lucciole, checché ne dicesse Pier Paolo Pasolini, ancora esistono, seppur solo in certi luoghi, io le ho viste e ho anche scoperto che quelle che gironzolano per i cespugli e i luoghi umidi a luci intermittenti sono in realtà i maschi, notizia che immagino vi avrà indotto a pronunciare un sentito: sticazzi.

È successo, ovviamente, in un’altra di quelle uscite urgentissime e imperdibili organizzate da mia moglie, sempre lei, stavolta in una cascina dalle parti di Baggio, quartiere un tempo noto per ospitare la Baggina, cioè la casa di ricovero comunale più grande di Milano, quella nella quale durante il primo lock down hanno perso la vita oltre mille persone, e recentemente passato agli annali per essere quello da cui è arrivato Ghali, per una serie di notizie apparse sui giornali, notizie di cronaca nera. Praticamente esattamente dalla parte opposta di dove abitiamo noi, in una periferia fatta di casermoni che si estendono per chilometri e chilometri e che, stando ai media, dovrebbero essere abitati tutti da persone pronte a scendere in strada e spararsi o picchiarsi a bastonate, fatto che ovviamente non risponde al vero. La cascina, per altro, un gioiellino incastonato a pochi passi dal Parco delle Cave, dove la Lucciolata si è svolta, questo il nome scelto per l’occasione, presentava anche una serie di attrattive piuttosto interessanti, non fosse stato per il troppo caldo e per l’aver dovuto guidare per tre quarti d’ora per arrivarci, da una mostra di fotografie di giovanissime comunicande del primo Novecento, del tutto simili a spose, al Piccolo Museo della Fatica, immagino aperto in vista del mio arrivo, passando per tutta una serie di animali più o meno da fattoria visibili ma non accarezzabili. Alla serata, evidentemente la malattia di cui soffre mia moglie è piuttosto diffusa, eravamo in circa duecento persone, quasi tutte adulte, quasi tutte coscienti e libere di scegliere. Per farla breve, quando il sole ha cominciato a scomparire all’orizzonte, immagino, noi eravamo dentro la corte della cascina, di orizzonti non se ne parlava, dico così perché ha cominciato a fare buio, un signore anziano ha iniziato a spiegare come il Parco delle Cave fosse un tempo, appunto, il parco dentro il quale si trovava la principale cava del milanese, quella da cui è partita buona parte del materiale servito per costruire i palazzi del capoluogo lombardo negli anni Sessanta e Settanta. Ha poi detto che si era presa, allora, la brutta abitudine di scaricare nel laghetto del parco i materiali di scarto, andando non solo a inquinarlo, ma praticamente a uccidere tutta la flora e la fauna di quell’ecosistema, trasformando quel bosco e quel parco in una specie di inferno. Non che la periferia fosse di suo un luogo pieno di bellezza e di gioia, ma il disastro ambientale, col fiume che passa nei pressi indicato come il più inquinato d’Europa, è stato una specie di viatico per trasformare quel Parco e quindi quella zona in una specie di refugium peccatorum, la droga a devastare una intera generazione, le famiglie spodestate del solo squarcio di verde che contrastava il cemento. Normale che in quel contesto le lucciole se ne fossero andate. Se ne erano andate anche le rane, gli uccelli, un po’ tutte le razze animali. A quel punto la cittadinanza e anche l’amministrazione comunale ha deciso di provare a fermare la devastazione, chiudendo la cava, inizialmente, bonificando il laghetto e andando a prendere acque pulite da altri corsi d’acqua, e, infine, si fa per dire, andando a presidiare il parco con fiaccolate, ronde e altre attività atte a cacciare gli spacciatori e, possibilmente, salvare il salvabile. Il risultato è che, piano piano, la natura è tornata a essere rigogliosa, il Parco delle Cave è uno dei parchi più belli di Milano e, nelle sere che vanno tra metà maggio e metà giugno, è possibile andare a vedere le lucciole, stando ben attenti a non accendere torce o cellulari, le luci per le lucciole sono dei richiami amorosi, così è come se uno ponesse di fronte ai luccioli delle gigantesche femmine al led, e soprattutto a essere rispettosi dell’ambiente circostante, sia che si sia in gruppo sia che ci si vada da soli. Prima di partire per il giro del parco, poi, il tizio, coi baffi, notazione non marginale, ha anche spiegato come, appunto, le lucciole usino la luce, prodotta per una reazione chimica nel loro addome, nel momento in cui gli insetti in questione fanno entrare dell’aria, di qui l’intermittenza, come un continuo accendi e spegni dettato dal respirare, come comunicazione sessuale, le femmine, in terra, facendosi vedere, e i maschi, in aria, andando a compiere evoluzioni fantasiose allo scopo di farsi scegliere, l’accoppiamento come premio finale.

Questa cosa, il sapere cioè che mentre noi stavamo lì cercando di vedere le lucciole, sia tra i cespugli e i fili d’erba, sia per aria, in realtà c’erano degli insetti infoiati che stavano disperatamente cercando di accoppiarsi, anche al fine di tramandare una specie che in passato ha corso il rischio di estinguersi proprio per colpa dell’uomo, almeno in quel luogo lì, ha dato al tutto una connotazione bizzarra, quasi vouyeristica.

Mentre stavamo girando per quel bosco, una volta tanto tutti e sei i componenti della nostra famiglia, ultimamente nostra figlia più grande, Lucia, non è dei nostri perché deve dare un esame all’università o perché vuole starsene coi suoi coetanei, anche legittimamente, proprio la nostra primogenita mi ha spiegato come le zanzare, sparite dal Parco delle Cave, ci ha detto il tipo coi baffi, a causa del troppo caldo di questo 2022, il tipo ce lo ha detto come beneficio nello spiegarci che probabilmente, sempre per il caldo, avremmo visto poche lucciole, anche se poi di lucciole ne abbiamo viste niente, comunque, la nostra primogenita mi ha spiegato come nel caso delle zanzare siano le femmine quelle che ci girano intorno, tormentandoci, quelle, cioè, che ci succhiano il sangue, e ha anche aggiunto che sono le femmine a farlo perché poi usano il nostro sangue per depositare le loro uova, chiosando con una frase immagino a effetto che suonava tipo: “Quindi quando uccidi una zanzara è un po’ come se uccidessi anche un tuo figlio, pensaci”, fatto che confesso non ho del tutto capito. Una veloce ricerca mi ha fatto poi scoprire che la faccenda è un po’ diversa, non è che il nostro sangue sia una sorta di sacca amniotica dentro la quale le zanzare deposita le uova, è che il sangue umano, e animale, procura alle zanzare femmine, è corretto che solo le femmine ci tormentino, nel senso è una notizia corretta che le zanzare femmine sono quelle che ci tormentano, il sangue umano e animale procura alle zanzare femmine una proteina che serve loro per far sviluppare correttamente le uova, un nutrimento quindi fondamentale per la procreazione. Niente conti Ugolini che uccidono i propri figli, quindi, semmai padri irresponsabili che tolgono il cibo di bocca alla propria progenie, ma se anche voi avete figli adolescenti a casa ben sapete come questa sia impresa impossibile anche solo da pensare.

Ora, proviamo a mettere sul tavolo quanto appreso in una caldissima notte di giugno in quel del Parco delle Cave, mentre al buio ci aggiravamo con tutta la famiglia e circa altre duecento persone, la sola e gigantesca luna rossa a illuminare, poco, il nostro cammino.

In natura ci sono maschi di insetto che, vista una lucetta intermittente a terra, e capito il chiaro messaggio sessuale che quella lucetta trasmette, sono disposti a giocarsi il tutto per tutto facendo evoluzioni degne di un Oler Togni, o visto che siamo in aria e non in strada, di un Joe Temerario, quello cantato una vita fa da Ron, al solo scopo, poi, di avere la titolare di quella lucetta, cosa non si fa per la figa, cantavano negli anni Novanta nella mia città natale i Bali’s Kitchen. Per contro, in natura ci sono femmine di insetto che, per crescere sotto tutti i crismi le proprie uova, sono disposti a romperci i coglioni nottetempo, ronzando e pungendoci, a rischio poi di finire spiaccicate da qualche parte, magari per mezzo di una ciabatta, o bruciate vive in uno di quegli zampironi elettrici. Uno dirà, niente di nuovo, ti sei fatto i trecento scalini delle terrazze del Duomo con quaranta gradi all’ombra, di che ti meravigli?

Non mi meraviglio, in effetti, ma trovo che ancora una volta la natura ci abbia detto qualcosa di importante.

No, non voglio dire che le donne sono fastidiose, e visto che in genere a questo punto sposto il discorso nel mondo della musica, magari provare a avallare la tesi fantasiosa che Francesco Renga ha espresso al DopoFestival di Sanremo quando una maliziosa Marinella Venegoni ha chiesto a Baglioni, direttore artistico di quell’edizione del Festival della Canzone Italiana, ci fossero così poche donne in gara. Ricorderete tutti quella che a tutti gli effetti è diventata una scena iconiche come poche, la Venegoni che fa la sua domanda, facendo per altro sue mie istanze, sono io che da anni martellavo ossessivamente su quel punto, Baglioni che sembra cavarsela con una risposta vagamente democristiana, “Non mi hanno mandato canzoni”, risposta cui in effetti, non essendo a conoscenza di chi abbia provato a accedere al Festival, nulla si sarebbe potuto ribattere, e lui, Renga, che prende la parola, rubando la scena, lasciando interdetti Edoardo Leo, il presentatore, andando a spiegare che le donne in musica sono di meno perché hanno una voce sgradevole all’udito, andando quindi a infilarsi in una specie di inferno in terra, con Edoardo Leo che prova a togliergli la parola, passando a altro, ma lui niente, imperterrito, che aggiunge che è proprio una questione scientifica, di frequenze, quelle delle voci delle donne sono fastidiose, apriti cielo. Una carriera buttata nel cesso in pochi secondi, in piena notte, da parte per altro di un artista con un pubblico esclusivamente femminile. Ecco, io sono anche amico di Francesco, parecchio, ma non è questo che voglio dire, figuriamoci, ho dedicato talmente tante energie a far emergere cantautrici, a combattere con tutte le mie forze le discriminazioni cui le artiste donne sono sottoposte nel sistema musica. No, perché in quel caso Renga sarebbe da accostare a un qualche insetto che si autoinfligge delle pene insopportabile, o forse a un Lemming, lì sul punto di gettarsi a capofitta da una scogliera, inconsapevole della morte certa cui sta per andare incontro. Tutt’altro. Voglio invece sottolineare come spesso, molto spesso, troppo spesso, le donne, nello specifico le cantautrici, è di loro che stavo parlando sin dall’inizio, non so se si era capito, sono lì a fare una fatica del diavolo, muoversi nel buio, guardate con ostilità, tentativi su tentativi di schiacciarle, considerate non solo inutili ma proprio dannose, o quantomeno molto fastidiose, alla Renga, e solo per riuscire a portare a casa il necessario per andare avanti, quel sangue, siamo nel campo delle metafore, attenzione, lungi da me il tirare in ballo altro sangue o altri fluidi, necessari per nutrire (le uova), mentre ai maschietti, effimeri, è consentito di andarsene in giro a piroettare facendo piccoli giochi di luce, superficialità che neanche ambisce a essere altro che superficialità. Del resto, in un mercato così chiuso al femminile, discriminatorio per genetica e sessista per consuetudine, alle donne è sempre chiesto qualcosa di più, di diverso, di particolarmente originale, così come è anche pretesa una attenzione all’estetica che agli uomini non è necessaria, una cura nei dettagli assolutamente maniacale, di là ci sarà sempre un lucciolo pronto a fare le sue evoluzioni, un po’ di aria in corpo e via, qualche lucetta, qualche svolazzo, un goal fatto a porta vuota. Guardiamo all’ultima edizione di Musicultura, per dire, argomento che mi è caro per questioni legate alle mie radici marchigiane, ma anche per quello sfoggio arrogante di due parole così centrali nella mia vita professionale, otto finalisti selezionati da una giuria di qualità. Giuria che non solo ha deciso chi dovesse andare avanti, ma ha anche forzato la scelta dei brani coi quali il percorso sarebbe stato compiuto, andando a selezionare, guarda un po’, i brani più difficili e sperimentali delle quattro finaliste donne, e scegliendo quelli più pop e leggeri dei quattro finalisti uomini (includo nel novero anche le band, tutte composte comunque da maschietti). Risultato quasi scontato, tenendo conto che arrivati in finale sarebbe poi stato il pubblico presente allo Sferisterio di Macerata a scegliere i quattro finalisti che avrebbero avuto accesso alla finalissima e poi anche il vincitore assoluto, che le quattro donne, in gara coi brani più difficili e complessi, en passant anche quelli decisamente più belli e di valore, siano tutte state eliminate. Questo nonostante Cassandra Raffaele sia stata in assoluto la più votata dall’applausometro nei vari passaggi eliminatori, nonché quella indicata da molti come la vincitrice annunciata, e nonostante in gara ci fossero poi cavalli di razza come Valeria Sturba, Martina Vinci e Isotta, fresca vincitrice del Premio Bianca D’Aponte e in cinquina come Miglior disco d’esordio alle Targhe Tenco. Tutte assai più di talento dei maschietti, che non cito per scelta estetica, e tutte più meritevoli di approdare in finale, ma fatte fuori da un pubblico incolto e anzianotto, ammaliato dalla leggiadria delle proposte maschili e in qualche modo infastidito dall’alzare il tiro proposto dalle donne.

Cassandra Raffaele, in gara con La mia anarchia ama te, contenuto nel nuovo album dal titolo Camera Oslo, non è ovviamente una zanzara, come non lo sono Valeria Sturba, in gara con Antiamore, Martina Vinci, con Cielo di Londra, o Isotta,  con Palla avvelenata, sono solo splendide esemplari di cantautrici, razza difficile da individuare a occhio nudo, non perché poco presente in natura, ma semplicemente perché la distrazione facilona delle lucciole, o meglio, dei luccioli, è più comoda e a portata di mano. Diffidate sempre di quello che vi passa troppo sotto il naso, la bellezza va cercata e coltivata, e una volta trovata preservata con cura.