A Napoli con il suo teatro-verità Ramzi Choukair, autore e regista siriano, porta in scena “Palmyre, Les Bourreaux”

Non lontano dalle nostre vite c'è una drammaturgia che acquista significato di Teatro-verità ma anche di impegno civile che ci pone di fronte ai quei regimi repressivi e non democratici che impediscono la circolazione delle idee e delle libertà personali


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Ancora un ritorno a Napoli per Ramzi Choukair, autore e regista di “Palmyre, Les Bourreaux” che ha debuttato in prima assoluta al Teatro Politeama, nell’ambito della sezione Internazionale del Campania Teatro Festival diretta da Ruggero Cappuccio.

Con il suo teatro-verità Ramzi Choukair, regista siriano rifugiato in Francia, ha rappresentato l’ultima parte di una trilogia amara che si fonda sulle testimonianze di ex prigionieri del regime siriano.

I protagonisti sono Riad Avlar, Fadwa Mahmoud, Jamal Chkair, Samar Kokash e Saleh Katbeh, i quali raccontano, in arabo con sovratitoli in italiano,  le loro storie di opposizione al regime siriano e la durissima detenzione nonché le torture a cui sono stati sottoposti dai loro carcerieri.

Si tratta di una narrazione che si fonde drammaticamente con il racconto dei diversi testimoni, cinque attori in scena, sopravvissuti alla spietata legge del carcere che fa leva sulla paura e sull’angoscia nel vedersi privati degli affetti familiari e di ogni rapporto con l’esterno.

In questo spettacolo, prodotto da waliss/CIE, i cinque sopravvissuti alla prigione sono in scena, si alternano nella narrazione e si interrogano sulla relazione con i loro torturatori per esplorare in modo incalzante i concetti di perdono e di giustizia.

Il racconto di Ramzi Choukair trascende la mera testimonianza e porta alla luce, rivolgendosi al pubblico quasi a volerlo rendere testimone, la voce degli oppressi e i meccanismi del sistema repressivo siriano retto da Assad padre e figlio. Nelle storie dei sopravvissuti si sottolineano le forti relazioni con i familiari, fratelli che diventano “boia” del sistema che non indugiano mai sulla illegittima detenzione a cui viene sottoposto un parente, sia esso sorella o fratello, dal regime. E qui i sentimenti, il senso di appartenenza diventano altro, forma irrilevante sul dolore fisico e mentale che si sta vivendo in quel carcere dove i diritti sono carta straccia. Siano 15 o 20 anni e più di detenzione cosa importa, il tempo non ti deve appartenere, la punizione deve essere esemplare e alla libertà non devi più pensare!

Non lontano dalle nostre vite e dai nostri luoghi, c’è una drammaturgia che acquista significato di Teatro-verità ma anche di impegno civile che ci pone di fronte ai regimi repressivi, a quei regimi non democratici che impediscono la circolazione delle idee e le libertà personali. Quello siriano non è il solo, purtroppo. La trilogia racconta storie e testimonianze drammatiche di torture, di soprusi, di orrori su prigionieri messe in atto da pregiudizi, fanatismo religioso e corruzione. È una lezione per tutti. Quei soprusi e la cancellazione dello stato di diritto ci ammoniscono: teniamoci stretti la nostra democrazia. Come diceva Churchill è un sistema imperfetto ma è meglio di tutti gli altri.