Capitana, mia capitana

È uscito il nuovo singolo di H.E.R., dal titolo Nel Mio Sogno, una canzone dall’ottimo tiro, che dimostra perché H.E.R. da anni sta già dicendo quel che ha da dire con fermezza e carattere


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È appena uscito su Disney Plus Ms Marvel, quale migliore occasione per parlare quindi Captain Marvel, che in qualche modo ne è sorella maggiore?

Ricordo che quando è uscito il film, anche un po’ prima, quando cioè erano usciti i primi frame video, le prime indiscrezioni, aveva fatto scalpore il fatto che Captain Marvel fosse una donna, Brie Larson. In realtà chi conosce il mondo Marvel avrebbe dovuto saperlo, perché già nei comics Carol Danvers era appunto Carlo Danvers, una donna, e lo era da circa cinquant’anni, donna divenuta Captain Marvell quando Mar-Vell, un soldato Kree mandato sulla Terra per conquistarla e presto disertore, allleato con umani e Avengers, le passerà, senza neanche volerlo, i suoi poteri, trasformandola quindi in Vers, e quindi in Captain Marvel, poco prima di morire.

Certo, in origine, parliamo degli anni trenta, Captain Marvel era un uomo, Billy Batson, e intorno a lui ruotava tutto un microuniverso neanche troppo vagamente supermaniano, il suo grido di battaglia era “Shazam”, tenete a mente questa parola, un microuniverso neanche troppo vagamente supermaniano al punto che ci sarà un clamoroso processo per plagio, processo che porterà alla chiusura della serie, e anche in seguito Marvelman, che di Captain Marvel sarà figlio illegittimo, sarà a sua volta uomo, Michael Moran.

Da questo momento partiranno tutta una serie di beghe legali, legate al nome, alle caratteristiche del personaggio, alla presunta somiglianza o meno con altri personaggi, beghe che vedranno coinvolti autori e editori.

Il protrarsi intorno a questo nome, sotto le sue varie spoglie, di cause e processi, porterà infine la Marvel Comics a commissionare a un giovane Stan Lee un nuovo Captain Marvel, a partire solo dal nome. Stan Lee si metterà al lavoro, uscendo nel 1967 con un supereroe dalla tuta bianca e verde chiamato così, ma uscito sotto il marchio Marvel Super Heroes. Una storia portata a casa in scioltezza, ma senza entusiasmi, al punto che Lee mollerà il tutto al suo vice Roy Thomas già alla seconda puntata, sancendone in qualche modo la morte prematura, o quantomeno l’agonia prolungata. Ci sarà una serie di albi senza infamia e senza lode, poi, arrivato ai disegni Jim Starlin, arriverà una defibrillata, con la nascita del personaggio di Thanos, poi destinato a diventare il villain per antonomasia del mondo Marvel, vedi l’ultimo Avengers: Endgame.

Per altro, dopo aver visto Mar-Vell morire di morte naturale, un cancro, tanto per mantenere in vita il marchio, la Marvel ne tirerà fuori almeno un altro paio di versioni, al femminile, appunto, torniamo all’incipit, prima la afroamericana Monica Rambeau, che in seguito diventerà una degli Avengers come Photom, Pulsar e infine Spectrum, e proprio sul volgere degli anni Settanta, Carol Danvers, già apparsa come umana nel secondo numero della versione Stan Lee e eletto Captain Marvel dopo essere stata Ms Marvel e poi Wardbird, con una parentesi assai contemporanea come Binary (nome che oggi aprirebbe non so quanti universi paralleli).

Nel mentre, altrove, nel 1982, toccherà a un giovanissimo Alan Moore provare a rinverdirne i fasti di Marvelman, prova generale per quello che sarà poi il suo capolavoro Watchmen, la Marvel Comics farà, guarda un po’, causa stavolta facendo notare la troppa somiglianza tra il nome del supereroe e quello della casa editrice, nel mentre divenuta leader di mercato, chiudendo un altro ciclo, e per altro sancendo la fine del rapporto lavorativo, per altro piuttosto agitato, tra Moore e la stessa Skinn. La saga passa alla Pacific Comics e poi alla Eclipse Comics, dove Moore potrà terminare il suo lavoro sul personaggio nel mentre diventato Miracleman, passando poi il testimone a Neil Gaiman, questo finché nel 1993 la Eclipse non fallisce.

Storia tormentata, questa, evidentemente.

Con un ulteriore passaggio in edicola e poi in tribunale, stavolta con la presenza di Todd McFarlane, ideatore di Spawn e titolare della Image. Il nodo sarà sui diritti d’autore, mai depositati da Mike Anglo, ideatore di Marvelman, e quindi liberi. Diversa la faccenda su Miracleman, dove sarà proprio Neil Gaiman, ultimo autore in ordine temporale, a detenerne i diritti. La causa tra Gaiman e McFarlane vedrà il primo vincitore e vedrà nientemeno che la solita Marvel Comics a acquisirne i diritti, come a voler chiudere un cerchio riportando in vita Marvelman.

Il mix di tutte queste linee narrative darà vita alla Captain Marvel donna da cui siamo partiti, quella interpretata da Brie Larson, al cinema nel 2019 e presto per certi versi dentro la serie su Disney Plus dal titolo Ms Marvel, oltre che parte di tutte le altre storie che la Marvel Movie sta portando al cinema, singole o di gruppo.

Piccola curiosità, la DC Comics, che aveva fatto causa al primo Captain Marvel con l’accusa di aver creato un personaggio troppo somigliante a Superman, proverà a fare suo il personaggio, incappando nei medesimi problemi, finendo per aggirare il diritto d’autore col personaggio di Shazam, che altri non sarebbe che il grido di battaglia di Billy Batson, il primo Captain Marvel, approdato al cinema sempre nel 2019, così, per cronaca.

Una storia non poco incasinata.

Come lo è anche la trama di Captain Marvel, neanche troppo fedele all’originale, nel film, per altro, Mar-Vell è scisso in due personaggi differenti, da una parte il cattivo Jude Law alias Yon-Rogg, dall’altro la fricchettona e originale Mar-Vell, Annette Bening, una femmina laddove nell’originale c’era un maschio, di più, una supereroina che ha come mentore una donna e come villain un uomo, rivoluzione in casa Marvel, e, soprattutto, i cattivi Skrull, nemici per antonomasia degli umani nella saga Marvel, mutaverso in grado di soggiogare chi vogliono, sono  in realtà meno cattivi del previsto, succubi a loro volta dei cattivissimi Kree, vedi tu quante libertà ti concede il grande schermo (grande schermo che oggi è quasi sempre un piccolo schermo di casa, a volte addirittura quello piccolissimo di un device portatile).

Ambientato negli anni Novanta, Captain Marvel ha una colonna sonora che da sola basterebbe a giustificarne la visione, oltre all’ottima interpretazione del premio Oscar (non per questo film ma per Room, del 2015) Brie Larson e di uno scatenato Samuel L. Jackson, nei soliti panni marveliani di Nick Fury, qui ovviamente ringiovanito, munito di entrambi gli occhi e sempre a citare se stesso, cioè Samuel L. Jackson, non Nick Fury, con continui rimandi a altri personaggi interpretati in quel decennio, su tutti

Una supereroina singolare, la Captain Marvel di Brie Larson, prima supereroe donna cui la Marvel dedica un intero film, per altro diretto da Anna Boden, a sua volta prima regista donna a averne diretto uno, perché a differenza di tutti gli altri supereroi della casa editrice che fu di Stan Lee, da poco morto al momento delle riprese verrà omaggiato in un singolare cameo digitale che si comporrà a puzzle di tutti i cameo fatti negli altri venti film della Marvel Movie, Captain Marvel non è affatto ironica, mai, e neanche comica. Non è neanche particolarmente sexy, a dirla tutta, a differenza di quanto non traspaia in ogni frame la sua antagonista DC Comics Wonder Woman, interpretata dall’attrice israeliana Gal Gadot, e del resto le due eroine sono quanto di più lontano si possa immaginare, l’una umana e divenuta super per sbaglio, l’altra una dea giunta fino a noi per salvarci, dotata di poteri incredibili. Una supereroina rigorosa e seria, quindi, munita di tuta che ne copre per quel che può le forme e decisa a farsi valere in un mondo di uomini (che siano uomini umani o maschi di razze aliene, a occhio, poco cambia), il che in piena era MeToo sembra quantomeno azzeccato, tanto quanto lo era stato poco prima il Black Panther di Chadwick Boseman, poi prematuramente scomparso, primo supereroe afroamericano, anzi, proprio africano, di casa Marvel.

Insomma, tutto molto in linea coi tempi, bene.

Ma il motivo che mi spinge a scriverne, con il solito ritardo che mi è naturale, nessuno avrà creduto che lo facessi davvero per parlare poi di Ms Marvel, non scherziamo, come scusa per affrontare il tema era attaccata con lo sputo, stiamo comunque parlando di due progetti contigui ma distinti, è la colonna sonora, e l’immaginario che da questo film esce potentissimo.

Un po’ come era già accaduto con I guardiani della Galassia, infatti, in quel caso di James Gunn, anche in Captain Marvel la colonna sonora, piena di rimandi espliciti al rock anni Novanta, dai Nirvana di Come as You Are ai No Doubt, passando per i Garbage o le conclusive Hole, gioca un ruolo centrale anche nella trama del film, contribuendo a rendere la trasposizione nel decennio conclusivo dello scorso millennio l’azione e aiutando a costruire la tridimensionalità di un personaggio solido, duro, fuori dagli schemi. Non è un caso che per diverse scene Carol Danvers, ormai Vers, quindi Captain Marvel, indossi una t-shirt bianca con su il logo dei Nine Inch Nails di Trent Reznor, e non è un caso che quella deflagrante energia che così bene ci è arrivata dalle canzoni della band americana sia l’attitudine fondamentale del personaggio in questione, solido e sferzante, inflessibile nel cercare di salvare il mondo e nell’essere un se stesso migliore, come da mantra passatole dal suo mentore Mar-Vell.

Tutto questo, millecinquecento e passa parole, per dire che Captain Marvel è un film che vale vedere anche solo per la colonna sonora, si fotta la faccenda della prima supereroina donna cui è dedicato un film. Ma siccome il film in questione è del 2019 e ci sono buone probabilità che lo abbiate già visto, o che se non lo avete visto e non siete come me, sempre in ritardo sul pezzo, non lo avete visto perché non vi interessa vederlo, ne approfitto per lanciarvi lì, sul tavolo, una proposta alternativa, che con quanto detto fin qui ha a che fare almeno a livello di intenzioni.

È uscito il nuovo singolo di H.E.R., dal titolo Nel mio sogno, progetto che vede la violinista e cantante collaborare con Lele Spedicato dei Negramaro, Dio mio quanto pesa il suo suono in quello della band salentina, si evince da questa canzone, e di Giorgio Baldi, la produzione è di Giovanni La Tosa per Joseba Publishing di Gianni Testa, maestro delle macchine di chiara matrice kraftwerkiana, brano che in qualche modo rivendica il diritto a riconoscersi per quel che si è, a partire dalla libertà che, almeno nei sogni, è concessa a chiunque. Una canzone dall’ottimo tiro, che dimostra, ma non ce ne sarebbe stato bisogno, perché H.E.R. da anni sta già dicendo quel che ha da dire con fermezza e carattere, dimostra quanto nel sottobosco dell’underground ci sia vita, e che vita. Come la bambina protagonista del video di accompagnamento del brano, H.E.R. affronta i mostri che animano questo nostro mondo, solo in apparenza accogliente e benevolo. Che H.E.R. sia a suo modo una supereroina piuttosto originale nel nostro asfittico panorama musicale lo sapevamo già, specie chi ha avuto il piacere di vederla calcare un palco, a me è successo un paio di anni fa alle finali di Musicultura, e che il suo essere unica la faccia stagliare nel grigio che a circonda pure, questa canzone, e qui finiamo nel campo degli auspici, potrebbe farlo scoprire anche a chi, distratto, ascolta solo quel che passa il convento, perché potenzialmente ha tutte le carte giuste per funzionare in radio come fuori dall’alveo dell’underground. L’ho presa da lontano, ma alla fine ci sono arrivato, no?

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