La favoletta di Mengoni che riempie San Siro, la fantasia al potere

Gli organizzatori sostengono che ci siano stati cinquantacinquemila spettatori. Magari i numeri sono un po’ fantasiosi, come nelle manifestazioni di piazza, e poi erano trentamila


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Dopo due anni e passa trascorsi in stato di semicattività, senza troppe speranze verso il futuro, in quasi totale assenza di possibilità di dar vita a dei progetti, credo che avere buone notizie sia qualcosa di fondamentale, forse anche vitale. Non dico giocarci su tutto, come a suo tempo ha fatto David Byrne, ma quantomeno lasciare che a volte il negativo dal quale siamo costantemente avvolti e avvinti lasci spazio a una buona quantità di positività, letta alla vecchia maniera, quando essere positivi era qualcosa di buono, non certo di essere stati contagiati, infilare le famose lenti rosa e con quelle guardare al mondo, suvvia, la vita è bella. Ecco, la vita è bella, in fondo è un film sull’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, dove la morte è tenuta a distanza dall’amore di un padre, ma pur sempre morte rimane, ma non stiamo qui a sottilizzare troppo.

Le buone notizie sono sempre belle da ricevere, leggerle rasserena, andrebbe dato loro molto più spazio.

Una bella notizia è che Marco Mengoni da Ronciglione, interprete uscito dalla fucina di X Factor, anzi, unico interprete che ha vinto un X Factor che abbia in effetti poi avuto una carriera degna di questo nome fuori da quel programma, è arrivato a riempire San Siro, la Scala del Calcio, il luogo dove solo i più grandi sono in grado di portare il proprio pubblico, fatta eccezione dei Modà.

Se ne è giustamente parlato molto, in diretta, sui social, e anche nelle ore successive, perché è raro che un interprete riesca nell’impresa che fin qui sembrava riuscita solo ai cantautori con anche una carriera piuttosto importante alle spalle, penso a Bennato, che fu il primo, ma soprattutto a Vasco, che detiene record su record a riguardo, a Ligabue, a Cremonini, tornato recentemente sulla scena del crimine, ovviamente alla Pausini, che ci ha anche suonato due sere di fila, unica donna a riuscire nell’impresa, e pochi altri. San Siro è una brutta bestia, si sa, perché se da una parte offre un abbraccio unico nel suo genere, la sua forma è in grado di tenere anche gli spettatori più poveri, quelli coi biglietti a prezzi più bassi, non così lontani come invece succede nelle grandi arene (la parola povero, lo dico per gli analfabeti funzionali in ascolto, è lì carica di sarcasmo, non è una gaffe), dall’altro è anche difficile da riempire, coi suoi quasi ottantamila posti, circa settantaseimila che salgono nei concerti, volendo, visto che si può usare anche una porzione del prato.

Ecco, gli spettatori. L’abbraccio. Ronciglione. Pensate a un artista arrivato da un paese di ottomilaseicento abitanti che si trova proiettato in quello spazio così iconico, in grado di contenerne quasi dieci volte tanto. Un’emozione incredibile, da paralizzare chiunque, o quantomeno da emozionarlo fino alle lacrime. Lacrime che, in effetti, ci sono state, di emozione. Lo dico perché, ahimé, non ci sono stato, fa caldo e ho una certa predilezione a starmene alla larga da luoghi dove viene divulgata musica che non ascolterei neanche steso sul divano con l’aria condizionata a palla, figuriamoci seduti scomodamente su un seggiolino sul quale in genere tiene le chiappe un ultras, tra sudori e zanzare, ma molti hanno parlato dell’evento e ne ho letto, e molti hanno anche fatto una sorta di videocronaca dell’evento sui social, rendendo possibile anche a chi in effetti stava sul divano con l’aria condizionata a palla seguire il tutto. Io, confesso, l’ho fatto in differita, perché mentre il cantante di Ronciglione cantava le sue canzoni a San Siro ero in via Meravigli, al centro di Milano, a assistere a un bellissimo spettacolo per pianoforte intitolato Candlelight, una marea di candele accese a rendere suggestivo il cortile scelto come location dell’evento, le musiche dei film della Disney a dettarne la scaletta, regalo di compleanno di mia figlia, doppiamente gradito anche per avermi offerto una piacevole scusa per stare ulteriormente alla larga dal Meazza. Meazza che, arriviamo al punto, che fa caldo anche oggi e non voglio tediarvi troppo, è stato riempito nel numero di cinquantacinquemila spettatori, tanti ne ha dichiarato l’organizzazione e anche lo stesso Mengoni sul palco.

Ecco, cinquantacinquemila. Facciamo una botta di conti. Sono esattamente venticinquemila meno di quanti se ne sarebbero potuti portare, ricordo che ai primi San Siro di Vasco tanti erano. Uno dice, c’è la legge Gabrielli, c’è stato il Covid, fa caldo, ok, mettiamo che ormai ottantamila non ce li porta più nessuno, ma cinquantacinquemila non sono neanche vagamente ottantamila, converrete. Sono sempre tantissimi, intendiamoci, Ronciglione ha sempre ottomilaseicento abitanti, vale il discorso di prima, ci mancherebbe altro. Ma i tanti video ancora presenti in rete ci mostrano un enorme palco posto sul prato, in verticale, cioè lungo tutta la linea laterale del campo da calcio, occupando quindi una buona metà del prato, certo, e escludendo tra i settori dove si poteva accedere per seguire il concerto metà di entrambe le curve e tutte le gradinate poste alle spalle del palco stesso. Una bella porzione di stadio, non dico metà, ma quasi, esattamente come ci sono entrati lì cinquantacinquemila spettatori? Magari erano tutti piccoletti, tipo bambini o nani (persone di statura sotto la norma, credo, per le nuove regole del politicamente corretto, non ho avuto modo di informarmi, fa caldo). O magari i numeri sono stati un po’ fantasiosi, come nelle manifestazioni di piazza, cinquecentomila in piazza, e poi erano trentamila. La fantasia al potere, si urlava ai bei tempi. Roba così. Lo dico sempre con ammirazione per il cantante di Ronciglione, autore di una bella storia, e anche per chi ha avuto la forza fisica di andare lì, tra sudori, caldo e zanzare a sentire quelle canzoni lì. Del resto, a breve ci andrà anche la Amoroso a San Siro, e immagino che lì i numeri saranno molto più bassi, parlo dei numeri reali, non di quelli dichiarati, organizza Friends and Partners. Per non dire dei biglietti omaggio. Mi sfugge, ma è quasi estate, fa caldo, sarò io a non capire, perché tutti vogliano andare lì, anche se poi non sono in grado di riempirlo, non sarebbe meglio un posto più piccolo con la fila di fuori? Mah, io resto sul divano, l’aria condizionata spenta, perché se no Putin vince, a ascoltare la Rollins Band e i Fugazi, così almeno poi ritroverò la forza per alzarmi e andare a cena.