Mille, i gatti neri e i bei pensieri

Mille lascia il segno, strega ammaliatrice, sì, ma una strega che pratica la magia bianca, non certo quella nera, o meglio, una magia rossa, di quelle che richiamano il sole, la gioia, la spensieratezza

Photo by Facebook


INTERAZIONI: 87

Siamo persone che hanno studiato. Comunque persone che tendono a non riconoscersi in un modo di guardare al mondo che sia figlio di retaggi culturali troppo ancorati al passato, vedi alla voce credenze, bigottismo, una visione del mondo reazionaria o comunque antiilluminista. Siamo sufficientemente preparati riguardo tutto quello che riguarda inclusività, globalizzazione, multiculturalismo, mediamente preparati sulle cose del mondo, anche quelle che per nostra natura intima, leggi alla voce istinto, ci fa accapponare la pelle. Sappiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato, dando alla morale un valore assoluto, a volte scivolando nella retorica più pelosa, è vero, ma sempre e comunque in buona fede.

Figuriamoci se, dovesse capitare che un gatto nero ci tagliasse la strada, ci potremmo mai trovare a accostare l’auto a pochi centimetri dal percorso felino, attendendo che un altro automunito passi prima di noi, andando in qualche modo a farsi recettore di quella atavica sfiga che, si dice, e lo si dice da tempi immemori, il gatto nero porti con sé come un leggero bagaglio a mano, un’eredità genetica che ha superato le ere geologiche, sopravvivendo, magari, a altre modifiche strutturali. Men che meno porteremmo la mano all’inguine, stringendole a coppa sulle palle, gesto altrettanto legato a una tradizione forse ancora più becera, quel toccare lì a contrastare l’inesorabile, l’imponderabile, un gesto irrazionale che si oppone a un fatto irrazionale.

Non ci comporteremmo mai così, e se mai lo facessimo, è evidente, sarebbe per ridere, senza prestarci troppa attenzione, quasi a volerci ridere su, sai le risate.

Il fatto è che ci sono animali che, sin dalla notte dei tempi, espressione tirata fuori dal cilindro mica per caso, vengono associati al male, anzi, al Male. Sono animali che la tradizione cattolica riconduce direttamente alla figura di Lucifero, di Satana, insomma, del diavolo, e di conseguenza sono portatori sani di sfumature maligne e esoteriche.

Lo sono talmente tanto che, nel tempo, è quasi diventato normale associarle a qualcosa di negativo, contravvenendo a qualsiasi raziocinio.

Pensiamoci, l’idea del Peccato Originale, quello che è in qualche modo il momento in cui, nella Bibbia, l’uomo è passato dalla condizione di amato eletto del Creato, destinato a godere dei benefici del Paradiso Terrestre, l’Eden, all’essere l’uomo per come lo conosciamo anche adesso, costretto, per dirla sempre con le parole della Bibbia, a lavorare, sudare, partorire nel dolore, quello che è in qualche modo il momento in cui l’uomo ha perso tutto, passando dallo stare a non fare una fava lì, mezzo nudo con Eva a fianco, a dover passare le giornate in lavoro, incolonnato in auto per ore e ore ogni settimana, il tutto per finire a passare poi ore e ore incolonnato in auto per andare in posti di villeggiatura assai poco allettanti, tutt’altro che Paradisi Terrestri, quel momento lì ha per protagonista un animale, il serpente, il tentatore, il Diavolo incarnato in un rettile velenoso, il Male, appunto. È bastato mettere il veleno del dubbio, dell’invidia, tra Adamo e Dio e il gioco era fatto, complice, ovviamente, la figura del femminile, a lungo a sua volta associata al male, la strega, l’imperfezione. Il serpente è l’animale che accompagna iconograficamente Lilith, mica per caso sarà lui a dividere Adamo, suo primo marito, da Eva.

Ovvio che da sempre, la Bibbia risale al tempo dei tempi, il serpente venga guardato con ostilità, incarnazione del Male e tanto scivoloso e ambiguo da risultare addirittura peggio di quanto non dovrebbe. Capace col suo veleno di uccidere, infatti, il serpente ha anche, da sempre, doni benefici, il medesimo veleno, ben dosato, vero e proprio farmaco miracoloso. Del resto essere ambigui, doppi, è proprio una caratteristica che si rimprovera al serpente, e a tutti quegli animali che, per religione o più spesso tradizione vengono ricondotti al diavolo o comunque al maligno.

È il caso, per dire, dei gatti neri, associati proprio alle streghe e scaramanticamente indicati come portatori di sfortuna. A sancire il loro destino, ovviamente, il colore del loro pelo, il medesimo della magia nera, e di tutto quello che, notturno, viene considerato come di difficile comprensione, oltre che spaventoso e associabile all’idea di morte.  Considerato il famiglio delle streghe per antonomasia, questo nonostante la parola strega derivi dalla parola latina Strix, che sta a indicare certi uccelli notturni, come i gufi o le civette, il gatto nero è stato a lungo paragonato al diavolo, veloce nel accalappiare le anime, per la facilità con la quale riesce a cacciare i topi, giocandoci e torturandoli prima di mangiarli, naturale che sia un gatto a accompagnare una strega, da sempre indicata come la moglie del diavolo.

Altri animali riconducibili all’oscuro, quindi al Diavolo e le streghe, sono i già citati gufi e civette, uccelli notturni che, a differenza dei pipistrelli, a loro volta indicati come animali malefici, non vivono di notte perché soffrono la luce del giorno, ma per mero opportunismo, non hanno problemi a vedere nel buio, capacità soggetta a non troppo articolate metafore, e possono quindi andare serenamente a caccia di animali, cogliendoli nel sonno.

Anche se, nell’iconografia cattolica, il Diavolo è spesso rappresentato con un caprone, le corna curve che si fanno diritte per inserirsi alla perfezione nel pentacolo rovesciato, il sesso turgido, essendo la capra uno degli animali sessualmente più attivi, il demone Baphonet, rappresentato appunto da una capra, a incarnare la lascivia e la lussuria, oltre che la fertilità, vero terrore per i Cavaliere dell’Ordine dei Templari.

Animali che quindi diventano loro malgrado ostili all’uomo, in quanto indicati come malefici, guardati con timore, esattamente come le streghe.

Del resto la caccia alle streghe è stata una pagina tra le più buie della nostra storia, e non sarei neanche così convinto che sia del tutto finita. Anche questa cosa ce la ripetiamo come un mantra, anche un po’ per rassicurare e rafforzare in noi l’autoconsapevolezza di essere esseri evoluti, a noi le streghe, quelle coi capelli rossi, donne emancipati e comunque anomale, fuori da canoni, ci sono sempre state simpatiche, anche prima che avessero le fattezze sexy di Rose McGowan.

A questo punto iniziare a parlare di streghe mi verrebbe anche troppo facile, ho alzato la palla, mi sono avvicinato alla rete, fatto un bel salto in alto e anche inarcato la schiena alzando la mano, ma linearità e stregoneria, converrete, vanno poco d’accordo, al punto che spesso sono state accusate di essere streghe proprio quelle donne che evitavano caparbiamente di aderire ai canoni, agli stereotipi, libertà e femminile hanno sempre fatto paura. Andrò quindi a prendere una delle caratteristiche peculiari della donna strega, caratteristica estetica non troppo diversa dal pelo nero dei gatti, o dai loro occhi giallo luna, i capelli rossi. Non credo serva star qui a fare un excursus di come i capelli rossi siano una caratteristica costante dell’iconografia delle streghe, al punto che il solo fatto di avere capelli rossi, in passato, era sufficiente per essere additata come tale. Così come non credo serva indicare come il colore rosso di capelli, non dimentichiamo la valenza passionale di questo colore, dall’Ofelia a Lady Godiva a Giovanna D’Arco una porzione importante di “eroine” avevano questa caratteristica peculiare. Capelli rossi, come un segno che la natura ha voluto imprimere, un segno di riconoscimento.

C’è una artista che in questi tempi così malandati si sta giustamente facendo notare, e non solo o non tanto per la sua capigliatura fulva. Ha un nome d’arte che sottintende un’attitudine decisamente poco incline all’ordine, perché il suo nome d’arte, Mille, richiama i Mille di Garibaldi in quanto in casa la chiamavano “la garibaldina” per il suo essere sempre confusionaria, vitale, pimpante, e un look di quelli che, vedere per credere, bucano lo schermo già al primo sguardo, charmant, carismatica, dotata di una fascino vintage da pin-up del Summer Jamboree, l’ironia a fare da cornice al tutto, anche in questo garibaldina, nel prendere la vita con allegra leggerezza. Ma è quando canta che Mille lascia il segno, strega ammaliatrice, sì, ma una strega che pratica la magia bianca, non certo quella nera, o meglio, una magia rossa, di quelle che richiamano il sole, la gioia, la spensieratezza. Ultima canzone, vincitrice del Contest del Primo Maggio, Sì, signorina, canzone che ti si inchioda alle pareti del cervello costringendoti a muovere il piede a tempo, un sorriso semiebete stampato in faccia, in un mondo giusto, ma anche solo in un mondo decente, sarebbe il tormentone dell’estate, lei, Mille, in trend topic tutti i giorni, ha stile, tatuaggi (un Frida Kalho fa bella mostra di sé su un braccio), repertorio, già ci aveva deliziati con gli altri suoi singoli Animali, I pazzi, La vita le cose, La Radio, con la quale è stata vincitrice di Musicultura un anno fa, lei che ha esordito allo Zecchino d’Oro (andatevi a vedere il video di “Luccioletta, dove sei?”, canzone che con il suo nome all’anagrafe, Elisa Pucci, ha presentato in quel contesto nel 1992) e che poi si era già messa in evidenza a X Factor coi suoi Moseek, fascino a palate, dovrebbe guardarci dalle copertine dei magazine, lei, così vintage, li chiamerebbe rotocalchi, immagino. Una boccata d’ossigeno in mezzo all’asfissia che ci circonda, un oceano di talento dai capelli rossi, una artista che potrebbe e dovrebbe far saltare le palizzate che difendono il fortino del mainstream, perché la classe è classe e ci sono rari casi in cui valore e successo possono anche convivere pacificamente. Mille non ha nulla di diabolico, né di malefico, anzi, è l’incarnazione di quanto di più solare la musica possa farci percepire, potrebbe però essere un gatto, la matita nera a sottolinearne gli occhi, andatevi a vedere come usa i social, con che gusto estetico, l’aria di chi, in fondo, sa assolutamente cosa vuole fare nella vita e lo fa, i gatti, anche quelli neri, li associano ai cattivi pensieri solo quelli che i cattivi pensieri ce li hanno nella testa.