Jovanotti, le renne e i caribu, o degli effetti collaterali del mangiare fiori di glicine

Fiori di glicine o foglie di alloro ingerite a stomaco vuoto devono avere indubbiamente effetti psichedelici fuori dal comune, roba che li prendi e ti senti particolarmente rilassato e tendi a mandare a puttane un successo finalmente ritrovato

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C’è un romanzo che credo meriterebbe di essere riscoperto, da tempo fuori catalogo in Italia e quasi mai citato in quei rari articoli che provano a raccontarci quella che è stata la fantascienza nel finale dello scorso millennio. Parlo de Le piume di Vurt di Jeff Noon, autore britannico, classe 1957, con all’attivo alcuni titoli notevolissimi, come Polline e Alice nel paese dei numeri. Un autore ai tempi anche riconosciuto come importante, proprio con Le piume di Vurt è andato a vincere, a metà degli anni Novanta, sia l’Arthur C. Clark Award che il John Wood Campbell Award. Autore iscritto d’ufficio, all’epoca, nell’infornata dei cyberpunk, seppur uscisse con qualche anno di ritardo rispetto all’infornata dei vari Gibson, Sterling e compagnia bella, vuoi per le tematiche tra il distopico e il cupo tecnologico, vuoi perché il suo immaginario bladerunneriano, quella è stata in qualche modo una caratteristica comune a un po’ tutto quel genere, è sempre stato presente, come anche un certo amore per Lewis Carroll, vuoi, a cesello del tutto, per il suo essere a sua volta cantante in una band punk, come John Shirley e altri di quella strampalata accolita.

Nel romanzo in questione, comunque, per evadere da una realtà decisamente disdicevole era sufficiente, non che fosse poi così semplice reperirle, infilare in bocca una determinata genia di piume, i cui colori determinavano gli effetti e gli scenari psichedelici a disposizione, il Vurt pronti a accogliere tutti a braccia maleficamente aperte.  Manchester, una Manchester apocalittica e malandata assai più dell’originale, anche all’epoca, quindi prima della bonifica postindustriale, a fare da sfondo. Piume come droghe capaci di farci sfuggire da un mondo brutto, sporco e cattivo, quindi, il pericolo di non tornare indietro, come capita con le droghe, lì, dietro l’angolo.

Piume che aprono le coscienze a viaggi psichedelici, quindi.

È noto che esistono, in natura, animali e piante che posso indurre nell’uomo e negli altri animali effetti paragonabili a quelli delle droghe più comunemente conosciute. Droghe che, in molti casi, sono comunque di origine naturale, non è delle droghe in quanto tali che mi interessa parlare. Per dire, è noto che i rospi, animali di loro piuttosto pigri e dall’apparenza non sveglissima e pacifica, sono soliti difendersi dai predatori secernendo un veleno che si trova sulla loro pelle in grado di uccidere animali anche di grande taglia, uomini compresi. Non parlo di tutti i rospi, sia chiaro, ma ce ne sono di così. Per questo, vuole leggenda, è baciando un rospo che la principessa o chicchessia si trovava di fronte un principe azzurro, allucinazioni psicotrope, viaggi psichedelici, quella roba lì. Non a caso ci sono giovani, in alcune lande del pianeta, che cercano proprio quei rospi per leccarli, come fossero al cospetto di LSD.

Del resto che l’uomo, sin dall’origine dei tempi, abbia guardato al mondo animale per capire gli effetti di certe piante, funghi e affini, evitando di mangiare qualcosa che potesse risultare fatale, ma, in alcuni casi, scoprendo effetti collaterali interessanti, è fatto più che noto, certificato dagli antropologi. Tutti i riti sciamanici, in ogni angolo del pianeta, partono dal bere o mangiare qualcosa in grado di alterare le percezioni, di aprire le famose porte descritte da Aldous Huxley e poi prese in prestito da Jim Morrison e soci, radici, funghi, bacche lì a disposizione per alterare il modo in cui si guarda al mondo.

Funziona così, l’uomo osserva, studia, poi decide se evitare e meno determinati comportamenti.

Ci sono, poi, casi curiosi, come quelli di quel particolare tipo di renne che prospera in Siberia, sostanzialmente dei fattoni sotto dipendenza da un determinato fungo chiamato Amanita muscaria. Fungo dagli effetti inebrianti e psichedelici di cui le renne vanno matte, al punto da dipenderne con effetti dovuti all’astinenza non troppo diversi da quelli dei comuni umani tossicodipendenti. Le popolazioni locali, che non disdegnano l’utilizzo del medesimo fungo, esattamente per la medesima finalità di sballo, sono soliti lasciare fuori dalle loro tende blocchi delle loro urine ghiacciate, che diventano a loro volta dei concentrati tossici per le renne, lì a rota  elemosinare sballi in tempi in cui in natura quei funghi non si trovano (in inverno le renne si nutrono di licheni, non avendo modo di reperire altro). Anche i Caribu, del resto, sono soliti sballarsi con i funghi, roba che Castaneda ci avrebbe potuto mettere su una collana a parte dei suoi scritti. Del resto le capre che in Centro America mangiano mescalina, finendo per  cadere in stato di semiincoscienza, salvo poi tornare a mangiarne o sono attratte proprio dalle proprietà allucinogene della medesima o si candidano a prossima razza in via di estinzione, incapaci di evitare qualcosa che sia per loro pericolosa.

Comunque, che le droghe, chiamiamole genericamente così, abbiano affetti anche nel mondo animale è risaputo, al punto che si è anche studiato gli effetti diretti di certe sostanze su insetti e animali, in laboratorio. A ragni del genere Zigiella e Araneus cui sono stati somministrati LSD, per dire, hanno prodotto ragnatele particolarmente elaborate e piene di arabeschi, mentre quelle prodotte sotto effetto di hashish apparivano parzialmente finite e sotto effetto della caffeina erano piene di spazi vuoti, inutili al loro scopo. Ma studi del genere sono avvenuti ormai sin dai tempi di Paolo Mantegazza, nel diciannovesimo secolo, quando sin dall’antichità si guarda, più o meno lucidamente, a quelli che sono gli effetti in natura di ciò che sembra poter alterare la nostra coscienza, a volte anche fatalmente.

Come del resto succede ai personaggi del romanzo di Noon, dove le piume che aprono le porte di Vurt, nonluogo paradisiaco che vorrebbe annullare l’ipotesi di un ritorno alla realtà, sono sintetiche e pretendono un accompagnatore, come nei riti sciamanici, lì a fianco a chi compie il rito proprio allo scopo di farlo tornare indietro. Mica è un caso che nella psichedelia si parli di viaggi, le parole sono scelte con cura, anche se si parla di fricchettoni, non esattamente personaggi che richiamano alla mente l’idea di precisione e ordine.

Faccio una piccola deviazione a lato, solo in apparenza attaccata qui con lo sputo. Parlando di Noon ho citato, e non poteva che essere così, il cyberpunk, genere letterario che, nell’ultimo quarto del Novecento si è preso incarico, compiutamente, di salvare la fantascienza da una brutta fine. Abbandonando in parte l’idea dei viaggi stellari, delle astronavi e anche dei marziani, del resto molta fantascienza era ambientata proprio in quella porzione di storia, e nessuno nell’ultimo quarto del Novecento, come ora, vede marziani pronti a invadere il mondo o viaggia in giro per lo spazio a bordo di astronavi usate come fossero auto, a eccezione, nel primo caso, di Red Ronnie e alcuni suoi amici, nel secondo di multimiliardari come Richard Benson, Jeff Bezos e Elon Musk, abbandonata quell’idea lì di fantascienza, gli scrittori cyberpunk, capitatani dal matematico Rudy Rucker, dal William Gibson di Neuromante e dall’ideologo del gruppo, Bruce Sterilg, hanno provato a spostare il discorso altrove, e l’altrove in cui lo hanno spostato si è in effetti rivelato assai profetico, la rete e il cosiddetto metaverso. Se in effetti la fantascienza si è spesso presa briga di provare a ipotizzare futuri che a volte si sono anche realizzati, mai come con i romanzi e i racconti cyberpunk ipotesi e realtà sono finiti sovrapposte, il cyberspazio, così lo chiamavano e così si è poi andato a chiamare, vero terreno futuribile in quella porzione di Storia, internet divenuta centrale per l’evoluzione della razza umana.

Sulle prime non ce ne siamo neanche accorti, forse l’abitudine di bollare la fantascienza come qualcosa di bizzarro, oggetto di culto per nerd e gente eccentrica, ma è proprio dalla fervida immaginazione degli scrittori cyberpunk che sono partiti molti spunti che, nel tempo, si sono rivelati veritieri, anche in maniera inquietante, l’idea di un mondo nuovo in cui ci si tiene in contatto con gli altri solo attraverso i device, qualcosa di non troppo diverso dai social, la globalizzazione resa possibile proprio dall’utilizzo della rete, il metaverso come mondo alternativo cui accedere grazie alle nuove tecnologie sempre più alla portata di chiunque. Se in alcuni casi, penso alla trilogia, ora tetralogia, di Matrix, la visione degli autori era più filosofica che concreta, e comunque non troppo avanti nel tempo, in altri, penso proprio a alcuni racconti dell’antologia Mirroshades, quella con Mozart con gli occhiali a specchio in copertina, curata da Gibson e Sterling, le intuizioni appaiono quasi agghiaccianti.

Passo a parlare dell’oggi, provando a tirare i fili di questi discorsi che, vedrete a breve, in realtà non erano così strampalati e distanti tra loro.

Viviamo in un’epoca in cui essere fuori dai social è diventata non più una scelta naif, ma più una scelta suicida. Non siamo, magari, ai livelli dell’episodio Caduta libera di Black Mirror 3, nel quale assistiamo appunto al declino mortale di una tipa che pur di guadagnare Like è capace di fare di tutto, finendo per mettersi alla berlina e morirne, ma è evidente che stare fuori da quella che un tempo chiamavamo realtà virtuale e che oggi è semplicemente una parte della realtà, non alternativa a quella fisica, ma semplicemente collaterale, è diventato quasi impossibile. È dai social che passa buona parte dell’informazione, con tutti i problemi che l’assenza di un reale controllo e, perché no, di editori comporta, è sui social che si tende a comunicare buona parte delle iniziative che si intendono portare avanti, è sui social che, oggi, ci si tiene in contatto, anche con chi, magari, vorremmo assolutamente evitare di avere tra i piedi se i piedi non fossero infilate dentro un paio di ciabatte mentre ci connettiamo. Nel mondo dello spettacolo, della musica nello specifico, essere fuori dai social è praticamente impensabile. Recente il caso di Halsey, artista al numero quaranta della classifica di stream al mondo, con non so neanche quanti miliardi di ascolti, lì a lamentarsi di essere costretta dalla propria casa discografica a fare video scemi su Tik Tok, pena la non uscita di nuove canzoni. Del resto, la favoletta dei Maneskin assurti all’Empireo discografico grazie alla vittoria del Festival di Sanremo e di Eurovision è in realtà, molto meno favolisticamente, la storia di una band di ragazzini che grazie a Tik Tok e quindi a un pubblico giovanissimo, sono diventati virali, finendo per conquistare letteralmente il sistema musica, questo sì aspetto da studiare con attenzione. Del resto oggi la musica sembra vivere solo in rete, perché mai non si dovrebbero anche sfruttare le possibilità che la rete, tramite i social, mette a disposizione di artisti o sedicenti tali?

Chiaramente, almeno in apparenza, questo aspetto del Nuovo Ordine Musicale, parrebbe svantaggiare quelli che, sempre sui social, i giovanissimi chiamano Boomer, facendo riferimento a una surrettizia divisione generazionale che vuole  i nati dal dopo guerra ai primi anni Sessanta come parte della Generazione del Baby Boom, di qui Boomer, categoria che in realtà si allarga anche oltre, chi scrive è del 1969, quindi di fatto parte della Generazione X raccontata da Douglas Coupland nel suo capolavoro narrativo, ma sempre un boomer rimane. Chi è nativo digitale ha ovviamente più dimestichezza a muoversi in rete di chi ci si è dovuto abituare, andando anche a forzare magari una propria ritrosia verso le nuove tecnologie.

Chi però non si è mai tirato indietro rispetto alle novità, la sua storia parla per lui, è Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, classe 1966 che, l’anagrafe non sempre conta, ha scelto un nome d’arte che con la giovinezza evidente vuole legarlo a doppio filo. Lo abbiamo visto attivo sui social sin dal loro arrivo in Italia, e lo abbiamo sempre visto pronto a confrontarsi con le novità, anche in campo musicale, pronto a mettere il suo marchio di fabbrica su quel che di volta in volta passava il convento, forte di una personalità assai definita e di una poetica, ambientalista, curiosa, multietnica, globalizzata, anche in tempi non sospetti. Certo, col tempo i suoi numeri, almeno stando alla discografia o a quel che oggi della discografia resta, sono andati assottigliandosi, fatto che lo ha giustamente spinto a guardare ai live come vera forma più compiuta di realizzazione artistica, certo non lesinando nuove uscite e, ultimamente, anche nuove uscite che assecondino la contemporaneità, l’idea di album spillatati in EP e con singoli a cadenza quasi mensile lì a seguire alla lettera le indicazioni di Daniel Ek, padre padrone di Spotify mondo.

Vederlo sui social, Jovanotti, con i suoi balletti vagamente da punkabbestia, i piedi nudi, pieni di terra, i gatti che chiama per non far passare loro la notte fuori, i cappelli da corsari, i dj set fatti non si sa bene per chi, i discorsi fatti col naso a pochi centimetri dalla videocamera, spesso a proporre discorsi in apparenza sconclusionati, è uno spettacolo  nello spettacolo, perché si capisce che Jovanotti è lì a studiarsi Tik Tok e cercare un suo modo per esserci senza snaturarsi troppo, l’idea di promuovere i suoi Jova Beach Party, uno degli eventi indiscussi di questa estate 2022 decisamente in overdrive, sempre ben fissa in mente. Ultimamente, dopo averlo visto per anni assaporare il mate, bevanda naturale tipica dei paesi della parte settentrionale del Sud America, Argentina e Uruguay in testa, lo abbiamo visto confrontarsi con altre astrusità vagamente green, lui a mangiare fiori di glicine o foglie di alloro. Roba che, confessiamolo, non faremmo neanche sotto la minaccia di una pistola puntata alla tempia, ma che fatta da lui sembra quantomai normale, quasi ovvia. Solo che in genere i fiori di glicine non si mangiano, e l’alloro lo si usa per insaporire l’arrosto, ma cotto, non certo crudo, al punto che alcuni medici hanno lanciato l’allarme, come una sorta di alert messo lì allo scopo di indurre i suoi followers a non imitarlo, almeno senza aver prima studiato bene la faccenda.

Ora, dopo anni in cui a Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, discograficamente le cose non andavano esattamente alla grandissima, perché nel mentre erano usciti tutti i vari Rkomi, Ernia, Rhove, Paky, Irama, Bresh e tutta gente con nomi che a un boomer come me fanno pensare a qualche sfogo della pelle, gente capace di fare milioni di stream a ogni singolo, alla faccia del successo planetario dei Maneksin che da noi funzionano decisamente meno, mentre lui era in grado di portare decine di migliaia di persone a un concerto o un party in spiaggia, ma di stream ne ha sempre fatti meno, si veda il flop clamoroso dell’operazione L’Allegria, tormentone non tormentone dell’estate 2021, ecco che di colpo avviene il miracolo,I Love You, Baby , singolo uscito in primavera 2022 e indicato come apripista del nuovo EP Mediterraneo, pronto a guidare le danze fino a Jova Beach Party 2022 è finito secondo in classifica. Un successo impensabile, considerando che L’Allegria non era mai entrato neanche nei primi cento. Un successo ancora più incredibile visto il fottio di brani usciti in questo periodo così anomalo, tutti fuori con nuove canzoni, tutti in tour, venti date al giorno ovunque. A agevolare il miracolo, perché di miracolo si parla, due operazioni, evidentemente azzeccate. Prima il passaggio sanremese con Gianni Morandi, la sua Apri tutte le porte, scritta da Jovanotti, è in effetti riuscita dove L’Allegria aveva fallito, e il duetto fuori canone tra i due, nella sera delle cover, anche lì, cover un cazzo, hanno fatto canzoni del loro repertorio, si dice duetto improvvisato dopo che Jova ha visto l’ospitata di Cremonini la sera precedente, ha sortito effetti notevoli, rivitalizzando una collaborazione che sembrava destinata a non lasciare traccia. Poi la cura di tale 6PM al brano jovanottiano, intuizione, dicono voci di corridoio, di Daniele Menci, da poco arrivato in Universal. Di fatto ecco che Jovanotti sale la china e si piazza lì, sotto Elodie, in vetta a suon di botte di culo, e non si sta certo parlando di fortuna. Tutto bello, specie per chi, come chi scrive, è nato nello stesso decennio, gli anni Sessanta. Come dire, qualcosa, forse, è ancora salvabile. A questo punto, vedendolo masticare foglie di alloro su Tik Tok, uno pensa, starà lì a preparare il tour, vestito in modo discutibile, certo, ma si vorrà pur godere un ritrovato successo. E invece no. Eccolo sfornare un nuovo singolo, Alla salute, prodotto da Shantel, classe 1968. Singolo che magari potrà anche scalare a sua volta le classifiche, del resto anche Elodie, in vetta con Bagno a mezzanotte (quella di “1,2,3 resta”) è fuori con Tribale, si vede che quest’anno oltre che i colori accesi va di moda far fuori i propri successi mettendoli in competizione con altri brani propri.

A questo punto, immagino, ci si potrebbe chiedere perché io sia partito parlando di Le piume di Vurt, quindi citando gli scrittori cyberpunk che hanno profetizzato un futuro di connessioni virtuali e digitali, per poi passare a parlare di animali che si drogano usando funghi e tornare infine a parlare di musica con Jovanotti che prova a scalzare la sua I Love You Baby con la sua Alla salute. Bene, non so come la vedete voi, ma se l’uomo da sempre osserva quel che avviene in natura, per poi decidere se seguire o meno certi comportamenti, si veda l’effetto allucinogeno dell’Amanita muscaria sulle renne e sull’uomo, a me appare chiaro che, nonostante ci abbia da sempre detto che “tutta la droga del mondo non vale un grammo della mia adrenalina”, cazzo, lo cantava nel 1991 in Una tribù che balla, come stiamo invecchiando, mio Dio, fiori di glicine o foglie di alloro ingerite a stomaco vuoto devono avere indubbiamente effetti psichedelici fuori dal comune, roba che li prendi e di colpo vedi il mondo a colori sgargianti, ti senti particolarmente rilassato e tendi a mandare a puttane un successo finalmente ritrovato. Altre spiegazioni, io, non me le saprei dare.

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