Perché parlarne?

Voi tenetevi pure le Emme, i Fedez, le Michielin e tutto il resto del carrozzone. Io sono lì, a lato dell’istantanea, a indicare il re che è nudo, e c’ha pure il cazzo piccolo


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Perché parlarne?

È questa la domanda che mi pongono più spesso. Toh, la seconda domanda che mi pongono più spesso dopo “come cazzo ti sei pettinato?”.

Perché parlarne?

È anche una domanda che mi pongo con una grande frequenza, non dico quotidianamente, ma almeno ogni singola volta che apro un file word e mi accingo a scrivere qualcosa.

Perché parlarne?

Domanda che ovviamente è più retorica che concreta.

Vedo i video dell’imbarazzante esibizione di Emma sul palco di Imola dove poco dopo Vasco ha tenuto la terza tappa del suo tour 2022, lei sguaiata come sempre, a urlare laddove dovrebbe cantare, e comunque urlare canzoni che già di loro sarebbero imbarazzanti, l’arroganza di sentirsi una artista lei che è uno dei più inquietanti enigmi del nostro sistema musica, una miracolata che molto deve a Maria De Filippi e che con tempo è riuscita nell’incredibile impresa di andare a erodere un successo che le aveva immeritatamente arriso, la vedo lì, in shorts e reggiseno, lungi da me scivolare nel body shaming, figuriamoci, e mi viene spontaneo dirlo che tutto questo è imbarazzante, e che è ancor più imbarazzante perché fatto in apertura del concerto di Vasco.

Lo scrivo.

E subito arriva la domanda.

Perché parlarne?

Sento la canzone nuova di Fedez, stavolta in compagnia di Tananai, uno che ha fatto della sfrontatezza il suo core business, figo eh, arrivare ultimo a Sanremo e scherzarci su, figo anche star lì a fare il figo perché scherzi su un tuo insuccesso, ma magari ci vorrebbe anche una qualche qualità, perché se no è tutta schiuma, e in compagnia di Mara Sattei, la sorellina di Tha Supreme, altro mistero irrisolto del nostro mercato, bravina, eh, ma di qui a fare la coda per duettarci, dai, non scherziamo, sento la canzone nuova di Fedez, che non fosse perché non c’è Orietta Berti e Achille Lauro sarebbe pure potuta essere la coda della canzone dell’anno scorso, una robaccia anni Sessanta, accompagnata da un look che a sua volta è inguardabile, e se lo dico io che nulla so di look e di eleganza significa che è proprio qualcosa di inguardabile, la sento e mi sento a disagio, perché è una cosa davvero ridicola. Poi leggo il post con cui Fedez l’ha lanciata, lì a giocare sulla sua malattia, lui che impaurito per l’intervento in cui gli è stato asportato il pancreas, la paura legittima della morte, va in studio e scrive e incide questa porcata, così, come a passare una mano di retorica su una cosa imbarazzante, che non è che se passi una mano di vernice su uno stronzo di cane poi lo stronzo di cane diventa un lingotto, eh. Sento e leggo e non riesco a non dire che è un’operazione vergognosa, laddove sarebbe potuta essere solo una canzone orribile.

Lo scrivo.

E subito arriva la domanda.

Perché parlarne?

Leggo la notizia che Francesca Michielin sarà la nuova conduttrice della prossima edizione di X Factor, programma ancora accompagnato da una certa hype nonostante nell’ultimo anno abbia fatto numeri degni di una partita di biliardo a nottefonda su Rai3, e nonstante non azzecchi un vincitore degno di questo nome da anni e anni, il successo dei Maneskin, è chiaro, non è certo merito del programma di casa Sky. Un’edizione, la prossima, tutta targata Fedez, anche lì, lei che con Fedez è andata a Sanremo due anni fa a fare la conduttrice, Fedez e il suo autore di riferimento, Dargen D’Amico, a fare i giudici. Leggo la notizia e non posso non notare che su Francesca Michielin si sta facendo un lavoro incomprensibile, a ogni disco una strada musicale diversa, cantautrice alla Elisa, electropop alla Lorde, e poi indie, e poi feat a non finire e poi a Sanremo come direttrice d’orchestra, prima di conseguire uno straccio di diploma per un corso triennale di canto jazz, tutti a battere le mani, e poi a scrivere un romanzo, a condurre un programma ambientalista su Sky, una attenzione che fatica a trovare una qualche giustificazione nei risultati, inesistenti, e che comunque non fa che confondere le acque, un’idea di artista rinascimentale cui, però, nulla riesce bene, l’ombra lunga della sua manager, Marta Donà, un tempo manager dei Maneskin, ancora oggi dietro Mengoni, Alessandro Cattelan, Dikele, a pesare, nel bene e nel male. Leggo la notizia. Non trovo voci di dissenso, solo i soliti proni applausi della compagnia di giro, anche il suo ufficio stampa è quello dei tanti big, Dalia Gaberscich di Goigest, e non posso non scrivere tutto ciò.

Lo scrivo.

E subito arriva la domanda.

Perché parlarne?

E potrei andare avanti all’infinito.

Potrei dire del disagio provato guardando l’omaggio a Dalla andato in onda in tv, targato non a caso Friends and Partners, una cosa che vedeva uno a fianco all’altro mele e caciotte, senza un senso, come era senza senso la presenza come presentatrice di Fiorella Mannoia, retorica come quando canta, Carlo Conti che ormai non sembra azzeccarne più molte.

Perché parlarne?

Potrei dire dell’imbarazzo serio provato guardando lo speciale che Laura Pausini ha dedicato a se stessa, alla sua carriera e alla sua umiltà, la prova che puoi anche avere successo ma se nasci ovara resti ovara.

Perché parlarne?

Potrei gettare uno sguardo ai tanti articoli che hanno accompagnato la sentenza al processo per diffamazione tra Johnny Depp e la sua ex moglie Amber Heard, a come tutti abbiano rimosso il precedente processo parlando di vittoria di Depp, laddove è una vittoria, parziale, in un processo per diffamazione, non un processo per violenze private e molestie, già fatto e vinto dalla Heard.

Perché parlarne?

Potrei chiedere ai tanti che si sono fatti seghe sull’ultima edizione di Eurovision, lì a dire che la vittoria dell’Ucraina era un grande segno di civiltà, ma che la canzone meritava, potrei chiedere che fine ha fatto quella canzone, perché di colpo nessuno si caga più Eurovision, hype durato meno che la striscia vincente per la nazionale di Mancini.

Perché parlarne?

Potrei, certo, e potrei andare avanti all’infinito, ogni notizia che esce, leggetela e leggete come ne parlano tutti usando tutti le stesse parole, la stessa enfasi, tutto visto da un’unica angolatura, e potrei pure dirmi che in fondo a parlarne perdo solo tempo, perché oggi va di moda stare nella massa, essere parte del coro, dar voce al pensiero unico dominante, altrimenti sei tu stesso parte del problema, alleato di un nemico che è stato prima creato a tavolino e poi dato in pasto alla folla forcaiola. Potrei. Ma non ci riesco. Perché di essere parte del coro non ho mai avuto voglia. E di far mio un pensiero unico neanche. Quindi parlo e parlo di cose che un tempo avrebbero fatto dire agli altri che ero un bastian contrario, oggi di volta in volta un rosicone, un negazionista non so bene di cosa, un nemico pubblico.

Potrei non parlarne, magari andando a presentare quello di buono che c’è, e c’è tanto. Potrei parlarvi di una cantautrice, che in fondo è la mia comfort zone. Potrei parlare di dischi belli che ho sentito, di concerti belli cui ho assistito. Di artisti che altrimenti, in quel coro univoco e omologato, non leggereste e in effetti non leggerete. Lo faccio e lo faccio spesso. Ma ogni tanto è bene anche tirare una picconata al castello di marzapane, per mostrare come non sia poi così solido. Alla terza picconata cade a pezzi, senza lasciare traccia. Quindi sì, potrei non parlarne, ma ne parlo. A costo di perdere consensi, tanto mica mi devo candidare, di non ricevere inviti a conferenze stampa e concerti che comunque diserterei, di beccarmi insulti sui social che sono e restano comunque la schiuma, ma la sostanza.

Voi tenetevi pure le Emme, i Fedez, le Michielin e tutto il resto del carrozzone. Io sono lì, a lato dell’istantanea, a indicare il re che è nudo, e c’ha pure il cazzo piccolo.

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