A Davos va in scena il mea culpa sulla globalizzazione: tardivo e falso

Anche a Davos, al di là delle prediche inutili, si sprecano privilegi, orge tossiche, giri di malaffare. I soliti privilegi del potere che più è al tramonto e più si incanaglisce


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Ci vuole la faccia di quelli riuniti a Davos, il circolo dei ricchi e potenti sempre più ricchi ma sempre meno influenti o almeno attendibili, per recitare il mea culpa alla maniera dei regimi sovietici: dove avete sbagliato, compagni? Ci vuole la faccia di questo Stoltenberg, segretario generale Nato, ex premier norvegese, per dire che “qualcosa non ha funzionato”. Qualcosa? Qualcosa ha forse funzionato negli ultimi venti, trent’anni di delirio ultraliberista? “Abbiamo lavorato per una economia globalizzata. Ci ha portato prosperità e ricchezza ma una parte di questo commercio mina la nostra sicurezza”. E lo dicono adesso che Putin ha invaso l’Ucraina e opera la stretta su gas e cereali. Il superliberismo finanziario non era granché, e si univa, per quei paradossi che nessuno vuol vedere, a un dirigismo che ne era l’altra faccia: piena libertà di commercio a fronte di un dirigismo sempre più isterico sui diritti individuali, secondo ricetta euroglobalista. Come a dire: potete arricchirvi come vi pare, se ci riuscite, e tutti i mezzi sono leciti ma a patto di ostentare pieno rispetto delle regole sui comportamenti di facciata. Ladri, criminali, ma virtuosi. Poi si poteva abusare, come gli Epstein, gli Weinstein che foraggiavano amici di destra e di sinistra, dai Clinton a Trump, con annessa claque intellettuale e circense. Gente alla lunga travolta non per quello che faceva, ma semplicemente per essersi fatta beccare.


Anche a Davos, al di là delle prediche inutili, si sprecano privilegi, orge tossiche, giri di malaffare. I soliti privilegi del potere che più è al tramonto e più si incanaglisce. Qualcosa non ha funzionato? No, non ha funzionato niente. Questa accozzaglia di farabutti che facevano riferimento ai circoli euroatlantici si è cullata nel solito sogno da masnadieri, arraffa i soldi e scappa, pagando i media che ripetevano come la globalizzazione fosse la fine delle guerre e dei conflitti sociali. Invece è bastata una invasione e ci si è resi conto che il sogno di un mondo tenuto insieme solo dai commerci e dai guadagni era un incubo, che se blocchi una sola economia si ferma tutto il pianeta. Putin ricatta mezzo mondo con l’energia e il grano e l’Europa in tre mesi ha saputo solo balbettare di sanzioni che incidono solo sui poveri ma non sulla Russia. Altra faccia incredibile, ignobile quella della Von der Leyen, questa inetta che prende l’aereo anche per spostarsi dal letto al cesso e spinge sulla grande transizione ecologica e dice: Putin dovrà perdere, come in una partita di calcio. Ma a perdere attualmente è il mondo. Tranne la Cina di Xi, il Grande Dittatore, che nessuno disturba e nessuno ha la forza di criticare. La Cina entra nel WTO, il sistema di commercio mondiale, nel 2001 e in breve ne prende il controllo; oggi gli Stati Uniti si accorgono di non avere più la presa di prima sul resto dell’Occidente e reagiscono armando l’Ucraina, che sarà pure una opzione strategicamente comprensibile, dal loro punto di vista, ma tutto meno che umanitaria, disinteressata. Ma per trent’anni i vari Clinton, Obama, Blair, i francesi, i nostri “supertecnici” all’amatriciana da Monti a Draghi, tutti a ripetere un solo messaggio: quel che si deve fare ebbene che si faccia, questa è la strada giusta e comunque l’unica. Trump aveva colto il vicolo cieco, ritirando l’America dal ruolo di grande regolatore mondiale. Lo hanno fatto fuori e al suo posto hanno messo uno che non sa neppure a chi sta stringendo la mano. Intanto, come previsto, l’invasione dell’Ucraina prelude a una invasione di Taiwan, con il che, sempre in ossequio all’economia globalizzata, si rischia il blocco totale dei dispositivi elettronici da cui dipendono le vite di 8 miliardi sul pianeta. Perché lì si produce il 90% dei chip che li fanno funzionare e se la Cina ci mette le mani, è virtualmente finita.


Qualcosa è andato storto? No, tutto è andato storto. È andato storto che se un sistema, diciamo pure una ideologia economica non è in grado di prevedere le crisi sistemiche, poi un paio di pandemie, poi una guerra, allora quella ideologia era fumo, non aveva alcun fondamento. “La libertà è più importante del commercio” dice oggi Soltenberg con la faccia da culo. Oggi lo dicono, dopo avere abituato il mondo a fare a meno della libertà col pretesto della sicurezza sanitaria. Ha scritto Luigi Chiarello su Italia Oggi: “La globalizzazione (che ha moltiplicato i fatturati, reso la Cina superpotenza mondiale e fatto della Russia il benzinaio d’Europa) si è tradotta in un imbuto”. Per dire un sistema in cui certe economie sono schiave di altre e questo non sarebbe potuto avvenire senza precise coperture politiche; questi avalli, questi sostegni oggi si rivelano impossibili da rimuovere, almeno nei tempi brevi che richiederebbero le conseguenze della situazione in Ucraina. Da cui nessuna via d’uscita, secondo costume dell’Unione Europea che non ha mai risolto un singolo problema da quando fu escogitata, originandone un mare. Ma quello era precisamente lo scopo.
Non è che non si produca abbastanza: è dove va a finire la produzione, o, come amano dire i tecnici, dove viene allocata. E dove viene allocata crea dipendenza sino alla fame là dove non arriva. Secondo un report Eurasia Group appena presentato a New York, entro l’anno in corso 243 milioni di persone in più patiranno la carenza di generi alimentari, per un totale di 2 miliardi di affamati globali. I Paesi più aggrediti stanno in nord Africa e Medio Oriente, ma, su base Occidentale, il più a rischio è l’Italia dove si ancora discute se far tenere la mascherina a scuola ai bambini a una settimana dalla fine dell’anno scolastico. A fronte di una tale emergenza, l’Unione delle Von Der Leyen e delle altre facce da Castello degli orrori hanno trovato la soluzione: facciamo viaggiare i cereali su rotaia. Ma che vuoi far viaggiare se Putin li blocca. Poi ci si mette pure la disinformazione puerile da social: “Ah, in Ucraina comandano le multinazionali Monsanto, Cargill, Archer Daniels ed altre che speculano sui prezzi del grano”. Senza specificare che la stessa Cina ha investito pesantemente sui terreni ucraini e nella prima metà del 2022 ha rastrellato metà del grano sul mercato mondiale. Così funziona la globalizzazione, ma gli sciocchi ragionano a compartimenti stagni. Succede che il Modello ricardiano è stato completamente travolto dalla globalizzazione onirica: imporre importazioni da Paesi considerati poveri, impoverendo i produttori locali. Finché si immiseriscono tutti e quelli di Davos dicono: mah, qualcosa è andato storto, quindi spingiamo sempre più sulla stessa ricetta. Tutti a predicare la grande ridefinizione energetica e tutti arrivati con gli aerei, gli elicotteri personali e scarrozzati da suv energivori. È qualunquismo dirlo? Sarà, ma come non notarlo? Tra gli apostoli della globalizzazione che si batte il petto battendo quello degli impoveriti, Bill Gates che dopo avere saturato il pianeta di dispositivi elettronici è passato a riempirlo di vaccini e dice: io sono un ottimista. Lo era anche quando frequentava le feste del mostro Epstein confidando che non sarebbe mai stato scoperto.


Il mondo non sa più dove andare, sembra rassegnato. Come mai la smentita alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione arriva dopo 30 anni di peana informativo? Perché l’informazione è stata sostituita dalla comunicazione che sarebbe mera pubblicità, i giornalisti, non solo economici, sono pagati per dire che tutto va bene, madama la marchesa. Poi quando tutto salta, si riconvertono: l’avevamo detto, noi. Ma non avevano detto un bel niente. L’altra domanda è la seguente: come mai si è imposto un modello fallimentare per cui l’invasione di uno stato tutto sommato irrilevante condiziona il mondo intero? Non c’erano gli economisti e gli analisti contrari a denunciare i rischi? C’erano, ma, disgraziatamente, proponevano soluzioni anche più improponibili, dalla decrescita felice di stampo grillesco al ritorno all’economia socialista di piano. Nessuno ha saputo o voluto proporre una soluzione mediana, ragionata: o tutto o niente, o l’iperliberismo bisonte o la soluzione cubana. Anche i nostalgici del socialismo irreale dovrebbero battersi il petto.
C’è stata in questi trent’anni una sinistra liberista, blairiana, obamiana, clintoniana che ha svenduto ogni idea, ogni prospettiva al soldo per il soldo, contrastata da una ultrasinistra antistorica dai furori eversivi; e c’è stata una destra demenziale, per niente liberale, cui non è parso vero di adottare il comandamento del guadagno a tout prix, contrastata dalle frange esoteriche, spiritualistiche, di sapore magico-medievale che degeneravano nell’odio occidentale al punto da adottare i culti islamici radicali. Nessuno ha ragionato. Oggi si comincia a profetizzare il ritorno alle economie locali, agli stati nazione, al ragionamento in luogo del fanatismo fideistico. Quanto a dire a una idea di globalizzazione evoluta, di post globalizzazione temperata. Ma sarebbe prima da capire se resti qualcosa su cui basarsi, su cui ragionare al di là delle ricette gretine e delle escandescenze gender che della globalizzazione ludica ma perdente sono la punta avanzata. In un mondo dove non si è più sicuri di niente, dove ti dicono una cosa per l’altra. Dove ci si ostina a considerare dittatori come Xi e Putin quali baluardi contro la globalizzazione anziché i suoi prodotti più perversi e più spietati.