Scenari impossibili, o sul perché in Italia nessun mondo è visibile

Artisti italiani, imparate a guardarvi un po’ intorno per prendere spunto. Ad esempio guardate

Dismaland by Byrion Smith from UK - Banksy's Dismaland, CC BY 2.0, - wikimedia.org


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In genere non prestiamo troppa attenzione al mondo che ci circonda. No, non voglio affrontare il tema attualissimo e sacrosanto dei cambiamenti climatici, anche se a causa della pandemia, o della guerra Russo-Ucraina o di qualsiasi altro argomento occupi l’attualità potrebbe non sembrare così, ma i cambiamenti climatici sono davvero il tema di questi tempi, i Friday for Future presto torneranno centrali, è chiaro, ma non è di questo che voglio parlare. In questo momento sono più un Overcraft che un aereo, plano a pochi centimetri da terra, sfioro la superficie, per altro senza pretendere di toccare nessun tipo di profondità. Parlo proprio del piccolo mondo che ci circonda, senza neanche scomodare Gozzano. Certo, potrei buttare lì il fatto che finiamo spesso per darlo per scontato, tornando quindi al tema di come noi si stia da tempo abusando del nostro trovarci da razza in qualche modo dominante sul Pianeta Terra, ma questo dar per scontato il mondo che ci circonda, nello specifico, mi porta più a dire che, come tutto quello che diamo per scontato, finiamo per non accorgerci più di tanto di come sia fatto, delle sue caratteristiche peculiari, certo, e anche dei tratti somatici più evidenti, quelli davvero sotto gli occhi di tutti. Non dico la nostra casa, perché il principio di proprietà privata, sia essa reale o momentanea, con l’affitto, implica una attenzione altrimenti impensabile, parlo magari delle città, dei territori. Ci viviamo, li attraversiamo, finiamo per passarci buona parte delle nostre giornate, e delle nostre vite, ma spesso lo facciamo distrattamente, senza soffermarci mai troppo a guardare, imparare, conoscere.

Ce ne siamo un po’, ma giusto un po’, resi conto durante questi ultimi due anni, specie nei mesi devastanti del primo lock down, tra marzo e giugno del 2020. Di colpo le città si sono spopolate di auto, parlo di città perché in città abito, questo discorso magari non è valido per chi vive in un paese, o in campagna, o in montagna, vallo a sapere. Si sono spopolate anche di persone, a dirla tutta, le strade erano deserte, fatta eccezione per ambulanze e, almeno qui su al nord, di carri da morto, i marciapiedi semideserti, giusto qualche runner, qualche anziano che pietiva compagnia a rischio della propria stessa vita, i tutori della legge a fare la guardia. Gli alberi si sono animati di una vita che pensavamo fosse loro negata per sempre, scoiattoli, uccelli di ogni tipo, davanti casa mia anche pappagalli, manco fossimo in una scena di Io sono leggenda, il film con Will Smith, l’aria si è fatta più pulita, tersa, i fiumi, dove ci sono i fiumi, penso al Lambro, di colpo cristallini. Di colpo, quindi, uno scenario apparentemente impensabile ci si è parato davanti agli occhi, pretendendo la nostra attenzione, occupando militarmente il nostro sguardo. Tutto ci è parso bello, o più bello, o insolitamente bello, magari anche per quella fragilità che di colpo ci ha avvolto come un velo, sfiancandoci, minando le nostre già barcollanti certezze.

È durate un niente, lo so. Il tempo di cominciare a mettere in discussione le nostre vite precedenti, incautamente inconsapevoli che la normalità non sarebbe poi tornata così presto, che almeno questo ce lo siamo visti sfilare da sotto il naso, il cielo è tornato grigio, la polvere si è posata nuovamente sui nostri balconi, gli stessi balconi dai quali avevamo cantato in coro le canzoni di Rino Gaetano, gli scoiattoli sono scomparsi all’orizzonte, come un miraggio nel deserto.

Di colpo, ma è durato poco, seppur lontani dalla normalità siamo stati veloci a rimanere sotto alla pressione dei giorni che seguono ai giorni, gli scenari sono tornati a fare da sfondo, il mondo che ci circonda è tornato interesse di pochi.

Dico questo, oggi, perché mi sono reso conto di come in Italia praticamente quasi nessuno tra gli artisti che popolano il mondo della musica leggera, a parte rare eccezioni, difficili anche da trovare, si è preso la briga di costruire uno scenario intorno al proprio personaggio, o, a voler essere meno cinici e un po’ più poetici, della serie crediamo fino in fondo che tutto quel che vediamo e sentiamo sia solo frutto dell’ispirazione e ruoti intorno all’arte, nessuno è riuscito a renderlo concretamente visibile quell’ipotetico scenario, non sto parlando di tridimensionalità, figuriamoci, parlo solo di un qualche cenno sporadico.

Non che mi aspettassi di vedere all’orizzonte un qualche artista come Lady Gaga, con la Haus of Gaga al suo fianco a lavorare proprio a immaginari e scenari di fondo, ogni singola uscita, foto, video, canzone parte di un disegno molto preciso e fitto di dettagli e citazioni, dal robotico mostro degli esordi, con quel passaggio fugace chez Bowie alla pop art di Koons e della Abramovic, altro che Achille Lauro, che non troverà asilo in queste righe perché qui parliamo di musica, non di moda, fino al mondo dello swing e quello vagamente alla John Cougar Mellencamp di Joanne, e via, di nuovo verso un mondo alieno e futuristico con Chromatica, ma almeno qualcosa di più di Miss Keta, una mascherina sugli occhi, spruzzate di trash a piene mani e poco più.

E dire che, Lady Gaga e la sua gang lo ha fatto senza neanche provare a tenerlo nascosto, basterebbe guardare a quegli ambiti nei quali creare mondi è parte fondante della partita, solo le parole a suggestionare il lettore, senza l’ausilio della colonna sonora o delle immagini ferme e in movimento. Parlo, non è difficile capirlo, della letteratura, e nello specifico della letteratura di fantascienza, quella che più di ogni altra si è presa l’impegno di inventare mondi che non c’erano o che non erano ancora visibili ai nostri occhi.

Se tirare in ballo Philip K. Dick e i suoi multiuniversi malati sarebbe oggi forse un fare i conti con un passato che tale ci appare, tanto la sua letteratura è stata saccheggiata da Hollywood a essere divenuta per certi versi innocua, familiare, dentro quei ranghi che mai l’hanno accolta mentre Dick era in vita, tante sono le alternative anche marchiane possibili. Dal cyberpunk, che del resto da un genere musicale prendeva il nome, mica a caso, figlia diretta di Dick, certo, ma decisamente evoluta e capace di indicare strade che in effetti noi umani abbiamo deciso di seguire, vai a capire se bene o male, internet e i social su tutto, allo steampunk, dove la rete e le città del futuro, caotiche, sporche e piene di videowall sono sostituite da un passato vittoriano rivisto e corretto, in questo molto si deve a Alan Moore e non solo a lui, fino al New Weird, il Michael Moorcock di Madre Londra, il Neal Stephenson del ciclo barocco e il China Miéville e la saga Bas-Lag i nomi e i titoli da tenere a mente, anche se Stephenson viene genericamente incluso nel sottogenere Postcyberpunk, con il loro mescolare ulteriormente le carte dei generi già citati con abbondanti dosi di fantasy, tradizionale e urban, e anche di horror. Autori che si sono tutti imbarcati in imprese titaniche, armati della loro fantasia e del loro talento, certo, ma anche di una volontà ferrea nello studiare, si tratti della storia, della matematica o della stessa letteratura, di genere e non, e comunque incaparbiti nel delineare sfondi imponenti per le loro imponenti trame, credibili seppur nell’incredibilità della finzione dichiarata e inseguita. I Daft Punk, per dire, si sono abbondantemente abbeverati a queste fonti, come del resto la stessa Lady Gaga, mica solo David Cronemberg e le sorelle Lily e Lana Wachowski. E dire che siamo stati la patria di Leonardo da Vinci, uno che di mondi se ne è immaginati tanti, e a tanti ha poi dato letteralmente vita, come quella di Collodi o di un gigante come Emilio Salgari, riconosciuto maestro di mondi inventati, leggetevi le pagine dedicate a Mompracem, isola mai esistita in Malesia, vagamente ispirata all’isolotto di Kuraman, di fronte a Labuan, nei fatti un triste porto commerciali, isolotto dove chi scrive è in effetti stato, uno dei due soli italiani a farlo, complice l’Ente del Turismo Malese, a differenza dello stesso Salgari, per credere, non abbiamo neanche la scusante dell’essere provincia o periferia dell’impero dietro la quale nasconderci.

Chiudo questa mia vana, forse anche vaga, spero di no, dissertazione sugli scenari e gli immaginari citandone uno di un artista contemporaneo che sembra uscito di sana pianta dalle pagine di un racconto del giovane William Gibson, poi no, perché sarebbe stato un cameo, Banksy, un artista non a caso ciclicamente indicato come Robert “3D” Del Naja, come Banksy di Bristol e evidentemente divertito da tanta ambiguità. Non parlo di una delle sue famosissime opere, stencil che hanno dato vita alla più mainstream e al tempo stesso punk guerrilla art, bensì di una sua opera assai più impegnativa, il parco di divertimento, in realtà istallazione artistica andata in scena per trentasei giorni tra il 21 agosto e il 27 settembre del 2015 presso il lido Tropicana a Weston-super-mare, dal nome Dismaland. Un’opera, chiamiamola così, clamorosa, imponente, terrorifica, che inscenava e rovesciava tutti gli stereotipi di progresso e inclusività mettendo in realtà in evidenza tutte le storture del sistema capitalistico occidentale. Addetti all’accoglienza tristi o scazzati, autoscontri dominati dalla Morte, una piscina su chi si muovono barconi pieni di immigrati radiocomandati, statue sfigurate di personaggi Disney, una ruota panoramica che cade a pezzi, come del resto buona parte del sito, e un castello lasciato incompleto dentro il quale si vedono paparazzi fotografare una principessa morta in un incidente con la carrozza, come Lady D nella galleria dell’Alma, a Parigi. Un parco distopico, disturbante, talmente pieno di idee da essere anche troppo ricco di riferimenti per poterli cogliere tutti sul momento.

Artisti italiani, davvero, se anche non aveste idee originali tutte farina del vostro sacco, di sacchi dai quali attingere è davvero pieno il mondo della cultura e dell’arte, imparate a guardarvi un po’ intorno, male non può sicuramente farvi.

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