La P38 Gang frigna e intasca o almeno ci prova

Dopo aver frignato, il regime li riabiliterà spedendoli a qualche talent e di lì a Sanremo e all'Eurovision dove agiteranno la bandierina stellata, ma non più quella a 5 punte: quella di Bruxelles

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La faccenda della band brigatista o filobrigatista P38, in tour nei peggiori covi rivoluzionari, sta rapidamente finendo all’italiana: i quattro coraggiosi sovversivi, Astore, Papà Dimitri, Jimmy Pentothal e Young Stalin, hanno pure dei nomi veri, speriamo un po’ meno idioti, sono stati identificati dalla Digos, che peraltro li conosceva benissimo, e adesso, preoccupati, battono cassa: chiedono soldini per le spese legali e già “la galassia antagonista si mobilita”: del resto, son soldi regolarmente rubati, proventi di attività a vario titolo illegali o, nella migliore delle ipotesi, dalla rigogliosa attività in nero di tutti questi centri sociali che non fatturano mai in segno di rivolta contro il capitalismo infame. Raccolte, per ora, sei, settemila euro, che ovviamente non basteranno: sotto compagni, che resistere al regime costa. Poi, son soldi spesi bene: tramite sito opportuno, che ovviamente non citiamo perché non siamo pubblicitari dei cialtroni, chi sgancia può ricevere imperdibili gadget quali cappellini e magliette con Stalin e Renato Curcio, il fondatore delle BR. Del resto, se Achille Lauro è una creazione di Gucci, se i Maneskin per Gucci addirittura sfilano, perché i P38 non dovrebbero sposare una loro linea modaiola griffata Molotov?
E sì, perché dopo il concerto del primo maggio a Reggio Emilia in un circolo collegato all’Arci dove si è inneggiato alla strage di via Fani, all’omicidio di Moro, alla famigerata R4 rossa e a tutto l’armamentario dell’immaginario terrorista, concerto dopo il quale sono tutti caduti dal pero, da Bonaccini in giù, sono scattate le denunce di alcuni familiari di vittime del terrorismo, comprensibilmente incazzate. Sono pure scattate le immancabili polemiche che hanno un po’ travolto la Gang P38, vistasi costretta a rilasciare un comunicato in cui spiega che tutto verrà dedicato alla difesa in giudizio, “nessuna somma verrà intascata”: e qui la raffinatissima prosa è rivelatrice, è perfino freudiana: quello che vogliono è proprio intascare, secondo il più puro spirito rivoluzionario. I pacifisti di Stalin sono qui per un motivo ed è il solito: il capitalismo fa male finché riguarda gli altri. Con la differenza che il capitalismo, nella sua forma classica, prevede attività creatrice, questi si limitano al fumo goliardico-sovversivo senza parvenza di valore artistico. Non hanno niente e lo sanno, non ci provano nemmeno a sostenere quelli che fanno con argomentazioni critiche, sono dei poveri mentecatti e lo sanno. Non di meglio quello che li invitano, come il responsabile del circolo emiliano che prima ha farneticanti di intrinseco valore culturale, poi, messo di fronte alla pochezza della proposta di quattro pirla che rappano «Zitto zitto pagami il riscatto, zitto zitto sei su una R4», se l’è cavata così: se non vi piace siete fascisti.
Il “collettivo musicale artistico insurrezionale”, come pomposamente si è autonominato, non fa paura a nessuno, non ha sostanza, ricorda quell’altro collettivo, sempre emiliano, bolognese, meteora negli anni novanta della sottoletteratura di genere, Wu Ming si chiamavano, evaporati dopo alcuni mattoni illeggibili, difattii sempre meno letti, e la infelice difesa dell’eroe innocente Cesare Battisti, terrorista reo confesso di 4 omicidi vent’anni dopo. Nel frattempo, trovarono modo di raggranellare qualche soldino grazie all’editore Silvio Berlusconi, che definivano fascista, nemico e dittatore: i fan erano soddisfatti e loro intascavano.
Anche questi bamboccioni in passamontagna, ideali figli putativi, oltre che putiniani, battono cassa e passano all’incasso. Giocheranno al rialzo fino alla fine, intascando quello che possono e tirandosela da martiri spalleggiati dalle “mamme coraggio” e magari anche dal PD, che, come sempre, fa una fatica boia a dissociarsi e sempre tra mille distinguo, cioè le solite supercazzole di sinistra che verso i “compagni che sbagliano”, ma neanche tanto, ha sempre un occhio chiuso e l’altro di riguardo.
Situazione né grave, né seria: so’ ragazzi, aspiranti influencer e si stanno stufando dell’autogestione e, probabilmente, anche del filobrigatismo, che è un modo come un altro per farsi notare ma di corto respiro; rischiano, dicono le cronache, fino a 5 anni di galera ma non faranno un giorno, anzi, in nome della libertà d’espressione e della caratura artistica, li inviteranno in tutti i talk show delle tivù di regime essendo dei fessacchiotti da manuale: magari non gesticolano come qualche sociologo emergente dalla faccina da Tin Tin (il personaggio di Hergè), in compenso rappano, trappano e insomma vanno bene lo stesso. Diranno, questi trappetari, che non volevano offendere nessuno, che sono stati fraintesi, che la colpa è della Nato, dell’America, del generale Custer, che loro sono per un mondo più rosa, più arcobaleno, più buono, più giusto, più ecocompatibile e si ispirano a Greta. Dopo aver frignato, il regime li riabiliterà spedendoli a qualche talent e di lì a Sanremo e all’Eurovision dove agiteranno la bandierina stellata, ma non più quella a 5 punte: quella di Bruxelles.
E allora sì, che cominceranno a “intascare” sul serio.

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