Madre Pace: decidano le madri per la guerra

Le madri non ci stanno. Non ci stanno alla capitalizzazione dei loro figli, alla monetizzazione della loro utilità, alla valutazione in termini di profitto, delle loro vite


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Perché.. solo i figli da sempre
se ne debbono andare
da soli a farsi ammazzare ?
Proviamo a mandare
le madri alla guerra,
le madri al posto dei figli..
E sentiremo
la rabbia dal ventre
tremenda salire
vedendo le madri morire..
E non vedremo..
No, non vedremo
i figli in gramaglie
né petti con croci e medaglie,
ma urla da farci tremare !

Vedremo… tremare per fuggire
chi le ha mandate
a morire..

Le madri a morire,
le spose a morire
al posto dei figli a morire..

Le madri a morire,
le spose a morire
al posto dei figli a morire..

Le madri a morire,
le spose a morire
al posto dei figli a morire
(Testo di Dario Fo e Oscar Prudente
Musica di Fiorenzo Carpi)

Sono sempre stata scettica sui giorni dedicati a festeggiare qualche categoria sociale o umana. Di solito si tratta di un gruppo che è stato tormentato o sottovalutato, i cui diritti sono stati riconosciuti tardivamente e in modo imperfetto. Per questo non ho celebrato la festa della mamma, in una società dove le donne, se madri e lavoratrici, sono costrette ancora a sobbarcarsi il doppio ruolo, sempre che possano scegliere di essere entrambe le cose (è di qualche giorno fa la notizia che Amazon rimborserebbe l’aborto alle proprie dipendenti) per non sacrificare una parte di se stesse. Non senza sensi di colpa, qualsiasi decisione si prenda, quasi che madre e colpa siano vissuti sovrapponibili.
La maternità, legalizzata da un contratto dal potere politico e sacralizzata da quello religioso, è stata, nelle comunità patriarcali, la destinazione ultima della donna. In molte società e culture le donne sterili sono ancora oggetto di ripudio o di biasimo sociale; ancora, anche da noi, una donna senza figli deve in qualche modo giustificare la sua condizione, mentre all’uomo questo non accade mai.

La maternità, legata alla Natura, ha fatto della donna, come persona, un essere ibrido, a metà tra istinto e intelligenza, tra Natura e Cultura. Il maternage secondo i più è un istinto, non un sentimento. Le cure materne, se istintive, naturali, non sono ‘valore’ economicamente inteso. In una società che monetizza e contrattualizza ogni cosa, anche le relazioni, la meravigliosa gratuità del materno, esaltata dall’apparato ideologico, non si converte in una crescita di status e di riconoscimento sociale, se non economico. Il tempo (che è vita), le cure, le veglie, i sacrifici, che mettono a dura prova queste madri coraggio (ogni madre lo è), specie se non sostenute, non sorrette né da famiglie estese, né da una rete di alleanze, di solidarietà sociale, rischia di marginalizzare le meno fortunate nella fissità del ruolo. E le donne che si ribellano vengono irrimediabilmente psichiatrizzate. E i padri? Il loro arbitrio resta sovrano: possono essere meravigliosi compagni responsabili o congenitori adeguati e collaborativi, (a volte anche loro genitori soli che sperimentano per un fato avverso, cosa vuol dire crescere un figlio senza alcun aiuto), oppure sparire dalla scena, senza che alcun biasimo sociale li stigmatizzi. Anzi, solo da pochi decenni alle donne è riconosciuto il diritto di lasciare un compagno, magari violento, magari inadatto, e poter ottenere l’affidamento della prole, senza la garanzia di un sostegno almeno materiale. Mentre se è lui a sparire dall’orizzonte affettivo ed economico, la battaglia nei tribunali è infinita, irta di ostacoli, di umiliazioni, di sensi di colpa, e, quando si ottiene un misero sostegno economico (ridotto a poche centinaia di euro, in media circa 300), a quello non si accompagna l’assistenza morale: i compiti di cura, educazione, protezione, assistenza non sono esigibili. Tutto ciò chiaramente si declina in modo più sfumato, se la bilancia del potere economico, e quindi di un’assistenza legale più ingaggiata, pende dalla parte di lei.

Madri sole accanto a figli orfani di padri viventi. Madri torturate dalla colpa, per le colpe dei padri. Padri per scelta, madri per natura.
Abbiamo deificato la Vergine e madre, un ossimoro inconciliabile, ma anche Maria, infine, la più perfetta e tenera delle creature, poco ha a che fare con chi era e divenne il Cristo, figlio di Dio, già perfetto per generazione di quel Padre onnipotente, disposto a sacrificare il parto della donna per la salvezza di tutti. E Lei piange ai piedi della croce. Come solo il pianto resta alle madri dei figli prestati alla guerra, al potere.
Le madri come fattrici di capitale umano, esse stesse capitale umano, forze di riproduzione di esseri, enti, destinati alla subordinazione, al consumo, alla guerra o, per quelli delle elite, al comando. Ebbene le madri non ci stanno. Non ci stanno alla capitalizzazione dei loro figli, alla monetizzazione della loro utilità, alla valutazione in termini di profitto, delle loro vite. Parlo di quelle che non hanno vaccinato i propri figli in nome di un principio di precauzione, corroborato oggi da numerosi studi che riportano i dati sugli effetti avversi e sull’immunità negativa , parlo delle donne che non vogliono prestare i loro figli alla guerra. Perchè c’è una cosa che la ragione liberale e il neoliberismo non è ancora riuscito a massimizzare in termini di utilità e profitto, ed è l’amore delle madri per i propri figli. Forse è riuscito a intaccare la coppia (lo dimostra il gran numero dei divorzi, frutto non solo della liberazione dalle pastoie di un patriarcato in realtà ben vivo, ma anche dell’etica del consumo estesa ai rapporti umani), ma non l’amore di una madre. Una madre lo sa. Una madre non ha patria, la sua patria è il figlio. E non in senso egoistico e individualistico, ma di un cerchio amoroso che si allarga fino a comprendere tutti i figli. I bimbi travolti dalle bombe e quei ragazzi ancora adolescenti che imbracciano i fucili.

Allora pace anche di fronte alla sopraffazione? No, partecipazione ai processi, informazione, democrazia, decisioni condivise dai cittadini informati, educati, acculturati, dotati di strumenti per interpretare il mondo, non per urlare l’ultimo slogan dei guitti dello schermo. Forza del Diritto, non diritto della forza.
Consapevolezza che le mie grida nelle doglie, i miei risvegli notturni, le mie fatiche, il sacrificio delle mie aspirazioni, non le regalo “al re macellaro che sa bene che la guera è un giro de quatrini, che prepara le risorse per i ladri delle borse” (liberamente citato dal poeta Trilussa).
Perchè tutte le madri, di tutte le 40 guerre attuali, dovrebbero, come Cindy Sheehan, madre di un ragazzo morto in Iraq, gridare chi li governa: perchè mio figlio è morto? E sedere senza schiodare di fronte ai loro palazzi, mentre dal rogo delle bandiere che hanno coperto le bare dei loro figli si alza un nembo nero, gravido di tutto il dolore di tutti i morti per le loro guerre, fino ad avvolgere quei palazzi, e condensarsi in un oceano di urla, di domande, di recriminazioni: dov’è la mia vita? Che ne avete fatto, ladri? Chi ha preso la vita che ci diedero, quelle là fuori, che bruciano medaglie e mostrine, che smontano pietra su pietra i monumenti ai caduti?
La Pfizer? Biden? Putin? Draghi?
Con un libro, sotto il braccio, un libro che parli delle loro fatiche, dei loro sacrifici, del loro martirio.
Un libro che le culli nel loro dolore, come quello della psicoterapeuta Chiara Gambino (Ninna nanna, ninna oh, questa mamma a chi la do-Altri Media edizioni) che, come pochi, illustra il vissuto della madre, i suoi equilibrismi impossibili, il dolore delle incomprensioni, la fatica di due compiti, mamma e psicoterapeuta che si sovrappongono, la gioia di un momento strappato per essere sé stessa, donna, un attimo, donna, che solo se tale può declinarsi come madre, professionista, compagna amorevole dell’uomo, del mondo.

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