Marta Tenaglia o della spudoratezza

Guarda dove vai di Marta Tenaglia è un mezzo miracolo. E se dico mezzo è solo perché l’altra metà è frutto di mestiere, i miracoli può farli solo il talento, è noto sin dai tempi di Cristo

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Confondere malinconia e tristezza è un errore in cui si può incorrere facilmente, come per i pantoni, è questione di sfumature, e non sempre quello che succede all’interno del nostro essere ci appare in maniera così definita come potrebbe capitare di fronte a un foglio bianco su cui qualcuno ha appunto passato un colore.

Anche confondere intimità con egoriferimento, del resto. Guardare al mondo attraverso una lente di ingrandimento che ha la nostra faccia e i nostri lineamenti non equivale necessariamente a fermare lo sguardo sulla lente stessa, come se un mirino non servisse per centrare meglio un bersaglio ma per inquadrare il mirino stesso, come in quelle vignette di Jacovitti nel quale il fucile faceva giri ellittici finendo per colpire il cacciatore.

Il fatto è che Guarda dove vai di Marta Tenaglia è un mezzo miracolo. E se dico mezzo, sia messo agli atti, è solo perché l’altra metà della Luna, nel caso specifico, è frutto di mestiere, i miracoli può farli solo il talento, è noto sin dai tempi di Cristo.

Un manipolo di canzoni, nove, alcune già uscite nel tempo come singoli, che ci mostrano una autrice di grandissima levatura, una delle nostre migliori, che decide di giocare la carta della contemporaneità, quindi prende quelle istanze di malinconia e di intimità che così tanto sembrano attraversare i brani degli autori delle nuove generazioni, chiunque abbia dato uno sguardo all’ultimo Concertone del Primo Maggio di Roma avrà fatto un bagno in quel disagio e quella sofferenza anche abbastanza immotivata, e, appunto, togliendo le sovrastrutture di tristezza e egoriferimento, spogliandosi di ogni sovrastruttura, anche come voce e corpo, ci pone di fronte una sincerità spiazzante, quasi disturbante, ma fascinosa come raramente ci è capitato di ascoltare ultimamente. Giochi armonici lievi solo per quell’apparenza sussurrata che è un po’ una delle caratteristiche primarie della cantautrice milanese, su cui vengono sciorinate centinaia di parole, tutte scelte con perizia e talento, quelle giuste, attuali per tematiche, la noia, lo spaesamento, la difficoltà di relazionarsi con l’esterno, anche in virtù di un interno in overdrive, un vocabolario ricco, letterario e familiare, una voce che aderisce perfettamente all’opera, sensuale e conturbante nel suo porci costantemente di fronte a una finestra affacciata dentro una stanza che in apparenza dovrebbe essere protetta da tende anche piuttosto pesanti. Per essere una che canta che se proprio dovesse essere acqua vorrebbe essere pozzanghera per la volontà di essere nascosta, così canta, parafraso, in Osmanto, e questo sarà il solo riferimento a un titolo che farò in questo mio scrivere, perché le nove canzoni di Guarda dove vai sono tutte di pari livello, altissimo, e scegliere di parlare di una invece che un’altra sarebbe un po’ innaturale, oltre che forzato, per essere  una che canta che se proprio dovesse essere acqua vorrebbe essere pozzanghera per la volontà di essere nascosta Marta Tenaglia ci si mostra davvero senza veli, nuda e a mani alzate. Di più, ci mostra le proprie lastre, i Raggi X che evidenziano microfratture impercettibili a occhio nudo, una sincerità che lascia quasi turbati, perché il pudore è parte del nostro pacchetto, insieme a tutte quelle caratteristiche che in genere ci aiutano a riconoscerci se siamo in terra ostile. Mettiamola così, fossimo stati tra gli autori di Eurovision, invece che calcare così tanto la mano sul gesticolare, roba che davvero sta all’originalità quanto l’immagine di un inglese che se ne sta imperturbabile in metropolitana con la bombetta incastrata nella porta del treno, avremmo sottolineato questo nostro non riuscire a tenere a debita distanza il pudore, non scambiate certi eccessi formali, leggi alla voce ostentazione, come altro che modi banalotti per mettersi in evidenza, prova del nove di come appunto il pudore regni sempre sovrano. Ovunque tranne che dentro le nove tracce di Guarda dove vai, impossibile per altro etichettarlo musicalmente, questo lavoro, electropop?, indie?, itpop?, cantautorato al femminile? Ecco, sì, sicuramente Marta Tenaglia, credo più per via naturale che conscientemente, approfitta del suo essere una cantautrice, quindi un elemento alieno, almeno in partenza, al sistema musica, marginalizzato in quanto donna da un sistema che guarda solo al maschile, più per consuetudine che per cattiveria, per lavorare in estrema libertà, inseguendo sempre e soltanto la propria natura e quindi la propria naturale scrittura, originale e modernissima, sussurrata ma incisiva, come di chi sa che non c’è altro modo per costringere chi gli sta di fronte che parlare sottovoce, costringendolo a avvicinarsi, a fare silenzio, prestare attenzione. Un plauso a Costello’s Records per aver lasciato tempo e spazio al talento di Marta Tenaglia per poter gemmare e fiorire, un plauso quindi a Federico Carillo per aver fatto da ostetrica e lasciare che queste nove canzoni venissero al mondo così come sono, ma soprattutto un enorme plauso a Marta Tenaglia, una Alice nel paese non esattamente delle meraviglie, lì a muoversi senza pudori dentro queste tracce, mai termine più appropriato, tracce capaci di infliggere cicatrici, e di lasciare tracce.

Ne tengano conto i soloni delle major, i direttori artistici dei festival, i tanti che quando fai presente che le cantautrici non trovano mai lo spazio che meriterebbero un po’ ovunque ti rispondono che di cantautrici non ce ne sono, Marta Tenaglia c’è, eccome, e ha un repertorio, per ora quello contenuto in questo primo album, prezioso, che può competere anche con i prodotti mainstream, e chiedo perdono per aver associato arte alla parola prodotto, basta solo prestarci ascolto per capirlo. Guarda dove vai si candida sin da ora a essere tra i dischi, uso una parola d’altri tempi, perché come un disco d’altri tempi è stato lavorato, prendendosi cura di ogni dettaglio, Guarda dove vai si candida sin da ora a essere tra i dischi più belli di questo 2022, e non solo. Viva la spudoratezza, oggi e sempre.

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