Eurovision, aveva ragione Frank Zappa

Come diceva l'artista di Baltimora, la politica è il ramo intrattenimento dell'industria. Non si è mai visto così chiaro come all'Eurovision

Turin, Italy, January 2022: The flag of the Eurovision Song Contest 2022 logo waving in the wind. The 2022 edition will take place in Turin, Italy from 10 to 14 May


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Magari scomodare Adorno e la Scuola di Francoforte è azzardato, ma non c’è dubbio che tra musica e politica il legame è forte e che l’estetica è politica. O, se vogliamo tirare in ballo Frank Zappa, la politica è il ramo intrattenimento dell’industria. Non si è mai visto così chiaro come all’EuroVisionSongContest Vien Dal Mare. Un messaggio continuo nel segno dell’agenda globalista che dall’America è stata importata, in versione post Giochi Senza Frontiere, dall’Unione Europea che è solo un comitato di affari di stampo politico. Quella melassa di suoni indistinguibili nell’apparente diversità, dolciastri, innocui, che si capisce subito essere stati assemblati con gli stessi computer manovrati dagli stessi due o tre smanettoni in ruolo di produttori. Produttori di che? Non ci sarà un solo brano destinato a passare nella memoria collettiva per la semplicissima ragione che non di brani si trattava ma di patina, eurobrezza di sottofondo. Ha vinto la insulsa Stefania dell’Ucraina perché doveva vincere, perché era l’Ucraina, col leader che subito dopo parte per la resistenza armata e il boss del Paese invaso che dice: l’anno prossimo a Mariupol. Così vincono ancora loro? Putin è un invasore seriale, ma questo Zelensky è un irresponsabile, più o meno manovrato, sicuramente esaltato in modo preoccupante.
Ha vinto la insulsa Stefania ucraina, ma se vinceva qualcun altro era diverso? Ce ne saremmo accorti? In quel baraccone di fumi, di botti della grancassa europolitica, tutto un messaggio ipergender, fino al parossismo carnascialesco, con Malgioglio che è ormai è una figura oltre il patetismo: nei primi anni Settanta, e anche dopo, mostrarsi come un ibrido, un personaggio ambiguo, incatalogabile poteva avere, aveva un senso, dirompente, necessario, fosse la ridiga Inghilterra di David Bowie, il glam morboso, la furbesca proposta senza confini di Amanda Lear o, a maggior ragione, l’Italia bigotta e vaticana di Renato Zero. Ma adesso? Dove sta adesso se non in una operazione di importazione mentale, più che ideologica, l’urgenza di conciarsi come squilibrati che hanno saccheggiato il magazzino dei ricordi, dai conduttori con tutine psichedeliche che evidenziano il pacco (pacchetto, pacchettino), da nani perversi di Biancaneve, al duo Blanco e Mahmood che ha confermato due cose: la potenza di uno show business che traccia il suo filo rosso da Sanremo all’Eurovision, ormai indistinguibili, e la pochezza di una proposta artistica (chi sostiene il contrario o è sordo o è pagato) che sotto le mises da cretinetti ha poco e niente.
Ed è tutto così. Dalle cosiddette canzoni ai costumi allo stile televisivo, rutilante, da luce blu che è quella adatta alla ripresa in video, fino ai conduttori che non si capisce più che siano. C’era la Pausini a un certo punto che pareva invecchiata di centocinquant’anni, conciata e truccata come una strega gender di Biancaneve, macabra e crudele, ma perché, Dio mio, perché? Il baraccone “inclusivo” ingurgitava tutto e rivomitava tutto, la politica delle minoranze che minoranze non sono più, il pacifismo verbale che rifiuta ogni realtà, la retorica multiculturale che azzera le culture, le schiaccia nell’eurofrullatore conformista, il politicamente corretto che ormai ha rotto i coglioni in America dove Netflix, il cavallo di Troia costruito ad hoc, è in caduta libera al punto da cominciare a dissociarsi: “se questi contenuti li trovate scorretti, questo non è il posto per voi”. Fino a due mesi fa avrebbero detto: ci impegneremo a crearli ancora più ortodossi, oltre le colonne d’Ercole dell’idiozia e dell’ipocrisia. Ma si spiega proprio con l’aforisma di Zappa: la politica è il ramo intrattenimento dell’industria e quando la politica con le sue sottoideologie finisce per saturare un pubblico, la politica, temendo di non essere più votata, non ha scrupoli a rivoltare i suoi costrutti etici. Perché non venire più votati significa restare privi di sovvenzioni, niente è per denaro: tutto è per denaro. Euro Contest, alla lettera.
In Europa e in Italia ci arriveremo, ma non prima di qualche anno. Ammesso che saremo ancora qui. Di certo dovranno cambiare, e più alla svelta, le pagliacciate come il post EuroFestival, oggi imposto perfino nei telegiornali: all’edizione della notte le breaking news lanciavano la vittoria dell’Ucraina a questa sagra dei luoghi comuni del libro globalista e non c’era altra ragione che il sussunto moralistico-politico. Stante l’operazione, con i suoi canoni precisi, non poteva mancare il grottesco, rappresentato dalla 74enne Gigliola Cinquetti che dopo 58 anni ancora canta “Non ho l’età”: il lamento di dolore di una sedicenne che, diciamola come va detta, non aveva l’età per scopare ma non vedeva l’ora. Miagolare questo a 74 anni ha del demenziale ma l’hanno salutata, ancora un riflesso condizionato della stupidità giornalistica da politicamente corretto, come la lezione di una eterna giovane. Come a dire che i giovani in gara erano tutti scartine, apprendisti vestiti da pagliacci. Come ad ammettere che questi mala tempora, con le loro baracconate e i loro personaggetti di cartongesso, di artistico non hanno niente. Le varie proposte dell’Est Europeo o del pop frigido del nord Europa non rilevano; noi avevamo da occuparci dei Maneskin, punta avanzata del business che si ostinano a chiamare rock ma tutti sanno essere un feroce riciclaggio di epoche e di stilemi, e questo Achille Lauro in fama di artista trasgressivo, che cavalcava un toro meccanico. Però griffato Gucci, lui anche quando è seduto sulla tazza è griffato, griffato dentro, griffato nell’anima. Non ci hanno fatto una gran figura i nostri fuoriclasse che ingroppano tori da luna park o straziano in pigiama, ma l’importante era esserci. Da stupenda promessa a delusione imbarazzante è una stagione, ma prima o poi rivalutano tutto e tutti e la logica del cantante influencer non è quanto è bravo ma quanto giro ha sui social e su Spotify, cioè soldi tanti, maledetti e subito.