Anna Soares e la sua Hypnodoll, e se avessimo anche noi la nostra Rosalia

Vi riporto anche il video di Hypnodoll in anteprima nazionale, e l’ascolto del brano in questione vi apparirà ancora più conturbante di quanto già non faccia di suo


INTERAZIONI: 101

A volte mi sembra di vivere in un mondo a parte. Parlo dell’Italia, ovviamente, e parlo dell’Italia relativamente alla musica, lungi da me star qui a fare discorsi troppo profondi sul resto (politica, sociale, affini). A volte mi sembra di vivere in un mondo a parte in realtà anche guardando al resto, la musica ha la capacità, nel bene o nel male, di diventare cristallizzazione di quel che succede intorno, non credo di aver scoperto l’acqua calda. Il fatto è che succede che nel resto del mondo, da tempo, il pop, parliamo di pop, per ora, si è fatto strumento per veicolare messaggi piuttosto importanti e radicali per quel che concerne il sesso, la corporeità, più in generale il confrontarsi con una qualsiasi idea di diversità e quindi di inclusività. Discorso già affrontato più e più volte, anche qui niente di nuovo, il pop è diventato suo malgrado, nel senso nonostante l’allure di leggerezza e quindi di superficialità cui spesso è ricondotto, uno dei principali strumenti per disinnescare, far implodere, distruggere gli stereotipi di genere come quelli inerenti a un’idea canonizzata e calcificata di bellezza, a volte le rivoluzioni prendono davvero le strade meno prevedibili. Ora, lasciando da parte discorsi ormai storicizzati, come l’influenza del rock ‘r roll su quella che è stata identificata sotto il generico nome di “rivoluzione sessuale”, o quello di personaggi quali Madonna, prima, Lady Gaga o Beyonché, poi, rispetto a quello che quella rivoluzione si sarebbe poi dovuta trovare a affrontare, in termini di pregiudizi, penso all’AIDS, o proprio di inclusività, penso ai Little Monsters, e sto andando giù davvero con l’accetta, mi rendo conto, ma è innegabile come il sesso sia diventata col tempo argomento centrale del pop internazionale, specie di quello a uso di artiste donne. Non è un caso che una dei massimi nomi al momento in auge, la spagnola Rosalia, sia finita neanche troppo tempo fa al centro di ridicole polemiche proprio per aver contaminato, questa l’accusa, un’arte antica come il Flamenco, dal quale aveva mosso i primi passi, proprio con una pruriginosià a alto tasso erotico, il suo ultimo lavoro Motomami al centro del dibattito. In modo particolare, ma dentro un disco-mondo come quello, vero coacervo di suoni e generi, di intuizioni e di sviluppi è davvero decidere scegliere, oltre l’immaginario estetico utilizzato dalla nostra per promuovere il tutto, dal booklet del supporto fisico ai video che hanno accompagnato le uscite dei singoli, che la vedono spesso nuda, un gran bel vedere, per altro, e ammiccante, spavaldamente provocante, come una popstar dovrebbe sempre essere, al centro delle polemiche alcuni testi, in particolar modo quello di Hentai. Già il titolo del brano aveva fatto storcere il naso, essendo l’hentai un sottogenere dei manga a carattere porno, fatto che magari ai più era sfuggito ma che è giustamente stato evidenziato a livello di promozione, ma del resto l’album si intitola Motomami, sorta di crasi tra la moto, identificata come feticcio di una vita libera e selvaggia e mami, con riferimento a una femminilità antica e tradizionale, le motomami sarebbero le centauro donne, come la stessa Rosalia e prima di lei sua mamma e sua nonna. Ma è soprattutto la costruzione del brano e il testo a aver mandato fuori di testa i puristi del flamenco, che già la avevano accusato di appropriazione culturale ai suoi esordi, non essendo Rosalia andalusa, accusa caduta nel vuoto, dal momento che i maggiori artisti di flamenco non erano a loro volta di origine andalusa. Hentai, infatti, è una delicatissima ballad che si sviluppa su una melodia che proprio nel flamenco attinge, per voce e pianoforte. Una canzone lieve, non fosse che il tema che affronta è in sostanza una specie di inno al membro maschile, non inteso come parte di un insieme di sesso maschile, ma inteso proprio come cazzo, e al piacere che averci a che fare provoca nella cantante. Fatto che ben si evince anche dal video che accompagna la canzone, con Rosalia discinta che si dimena su un letto al centro di una pista per cavalli, vai a capire perché, o in sella a un toro meccanico, forse non tirare in ballo un immaginario da corrida le pareva brutto, lei costantemente a mostrare il culo con generosità mentre ci canta di pistole e piacere. Una canzone e un video, questo il primo pensiero ascoltandola e vedendolo, e considerate che ritengo Motomami un vero gioiello, forse uno dei migliori album pop usciti dall’Europa in questo decennio, e togliete pure il forse, una canzone e un video, questo il primo pensiero ascoltandola e vedendolo, che da noi non sarebbe mai potuto uscire, almeno non con questa personalità e da questo punto di vista, abbiamo rari casi di sessualizzazione in ambito pop, ma spesso che ripropone stilemi maschili, senza apportare sviluppi significativi. Non fidatevi di quegli articoli acchiappaclick come quello apparso recentemente su L’Espresso a firma del pur rispettabile Gino Castaldo, nel quale provava a dire che ormai le artiste donne parlano tranquillamente di sesso nelle canzoni, citando Elodie e Madame. Tutte cazzate. Confondere la pruriginosità con la profondità è errore imperdonabile, specie se fatto da un senatore della critica musicale, lì non si parla di sesso, lo si usa come specchietto per le allodole, fatto ben diverso dal provare a andare sottopelle, un sentirsi sceriffo solo perché si esibisce una stella comprata al negozio di giocattoli sotto casa, non scherziamo. Da noi siamo davvero decenni indietro, mi son detto pensando a Rosalia, di questo stavo parlando.

Poi però ci ho pensato bene e credo che il mio primo pensiero sia sbagliato, o che almeno lo sia sul fronte meramente teorico, e di teoria stavo in effetti parlando. Perché noi abbiamo, fuori dal mercato mainstream, e quindi padrone di muoversi in completa libertà, senza sottostare al gioco dei canoni imposti dai media tradizionali, penso al minutaggio delle canzoni a beneficio di Spotify o della struttura delle canzoni a beneficio di Tik Tok, ritornello entro i venti secondi, e anche senza dover necessariamente fare i conti con la censura e quindi un pensiero unico che nel tempo si è letteralmente calcificato, artiste capaci di abbattere letteralmente e letterariamente stereotipi a colpi di brani che affrontino, esattamente come fa Rosalia, ma anche come fanno gli altri nomi su citati, tematiche inerenti al campo del sesso, dell’eros, e quindi del corpo e quindi del rapporto tra i generi, della diversità.

Una in particolare, mica stiam qui sempre a teorizzare, è da poco uscita con un nuovo singolo, Hypnodoll, singolo che si iscrive perfettamente in un percorso intrapreso da tempo e che nei mesi e gli anni precedenti l’ha già vista approdare sul mercato, specie in quello specialistico del pop di matrice elettronica, con l’album Sacred Erotic, titolo che già evoca la sacralità della sfera sessuale e erotica. L’artista in questione si chiama Anna Soares, e non solo si scrive le canzoni, aspettate prima di inarcare le sopracciglia e alzare il ditino, ma si produce anche da sé i brani, se li suona e se li mixa anche, affermazioni tutte queste atte a stigmatizzare quanti pensano che una donna non possa o non sappia farlo, non certo a indurre alla meraviglia chi legge, ovvio che una artista, uomo o donna che sia, può saper fare tutto questo, Anna Soares lo sa fare e lo fa alla grande. Il suo immaginario, quello che è finito nelle tratte electropop, prendete questo termine in maniera laica, quindi senza avere necessariamente in mente Michele Iorfida Canova, Dio me ne scampi, è strettamente legato al mondo BDSM, fatto che influisce ovviamente non solo nei testi, dionisiaci e evocativi, ma anche nelle sonorità, penso a un Burial e a certo trip-hop delle origini, con una voce che gioca una parte fondante nei brani, sensuale e scura, a tratti quasi intimorente. Con Hypnodoll, dove entra in campo, almeno a livello di immaginario e quindi testuale, anche l’ipnosi, in una costante ricerca su tutte le dinamiche che la nostra mente può intraprendere, specie se l’ipnosi, e quindi una condizione di controllo mentale da parte di altri rispetto a noi, può implicare, Anna Soares fa implicitamente riferimento alla pratica della cosiddetta “dollyfication”, il diventare quasi delle bambole in mano a chi ci ipnotizza, a fini erotici, senza che questo abbia solo un riferimento al corpo ma anche alla mente, un diventare appunto bambole nelle mani di chi controlla, la cantante campana da tempo di stanza a Milano prova però un passo ulteriore, cioè continuando a spingere sull’acceleratore sul fronte dei contenuti e dei testi prova a traslare il tutto su una struttura più classica, quasi canonica, con strofe e ritornello più riconoscibili, identificabili per l’ascoltatore, quasi a voler contrappuntare il turbamento dovuto al messaggio dentro una contenitore invece familiare. Il risultato è notevole, un electropop che è a suo modo anche solo pop, con un solo piccolo difetto, si legga questa ultima frase con lo stesso sarcasmo con cui si chiedeva di leggere, sopra, il passaggio sulla fattibilità per una artista donna di fare tutto da sé anche a livello produttivo, un brano come Hypnodoll non avrà mai l’occasione di una Hentai. O almeno non lo avrà finché il paese in cui viviamo resterà quello da cui queste mie parole sono partite, l’altro mondo. Non solo o non tanto perché Anna Soares non è Rosalia, anche, certo, ma la crescita anche di popolarità di una artista passa pure dalle opportunità che un sistema prevede o mette a disposizione, e, ripeto, da noi una Rosalia non avrebbe proprio avuto spazi, si pensi a Paola e Chiara che hanno visto la loro carriera schiantarsi causa Moige sulle scene erotiche del video di Kamasutra, quanto perché la censura o l’autocensura che i media si impongono anche solo per non aver rotture di coglioni è un muro troppo alto da scavalcare, anche per chi ha gambe lunghe e tanta voglia di farlo. Anna Soares è, insieme a un manipolo di artiste di cui nel tempo vi ho parlato e vi sto parlando, una grande opportunità per il futuro della musica italiana, anche quella meramente pop, con ambizione al mero intrattenimento, e non è il suo caso specifico, sarebbe bello anche solo pensare che una Rosalia la intercetti e provi a spostare su di lei un po’ della sua legittima popolarità e attenzione, sognare a occhi aperti è da ingenui ma è gratis, farlo non costa letteralmente niente. Del resto, proprio Rosalia lo sta dimostrando, scontrandosi con preconcetti e pregiudizi senza per questo perdere un briciolo di credibilità, anzi, acquistandone ulteriormente, niente è più figlio del patriarcato che voler ingabbiare il girl enpoweerment dentro la nostra idea stereotipata e quindi patriarcale di femminile, senza cioè prevedere anche un legittimo fuoriuscire dagli schemi, out of the box. Qui trovate il video di Hypnodoll in anteprima nazionale, e l’ascolto del brano in questione vi apparirà ancora più conturbante di quanto già non faccia di suo, perché anche l’occhio vuole la sua parte e perché il lavoro che Anna Soares fa sull’estetica è pari a quello che sta facendo sull’elettronica, cioè all’altezza a questo che pratica sull’immaginario e la poetica dei suoi testi, vedere e ascoltare per credere

Continua a leggere su Optimagazine.com