Tutta l’enfasi che Gianni Togni merita

Penso che il suo concerto sia stato davvero un concerto stellato, scaletta di ferro, un successo dietro l’altro, con qualche chicca in mezzo

Photo by Facebook - Gianni Togni Official


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Con l’enfasi funziona così. Chi la pratica, è il mio caso, spesso, anche se spesso è praticata anche nel suo negativo, non fa che giocare sull’eccesso, si tratti di evidenziare il bello come di sottolineare le brutture, non fa che eccedere in entusiasmo, al limite del paradosso, accentuare dettagli, giocare di grandeur, eccedere sempre e comunque. Mica è un caso che se dici che qualcuno o qualcosa è enfatico sottintendi che non sia esattamente equilibrato o obiettivo. Ma se nel farlo, nel praticare l’enfasi, esibisci il tutto dichiaratamente, come dire, da qui in poi si volerà altissimo, chi prende parte a questa pratica, sia attivamente che passivamente, sì, sto parlando di voi che leggete, non credo ci sia nulla da eccepire, le regole di ingaggio sono chiare, basta saperlo e mettersi comodi.

Per cui capita che, dopo due anni di divano e ciabatte io, nel giro di sei giorni, vada a tre concerti. Una cosa che un tempo sarebbe rientrata, per me, nella norma, andare ai concerti è parte del mio lavoro, ma che oggi mi appare di suo una enormità, degna di essere raccontata con enfasi. Anche perché, enfasi nell’enfasi, i tre concerti sono tre signori concerti, sulla carta, Alessandro Mannarino, Margherita Vicario, entrambi al Fabrique, quindi in un contesto per me vagamente ostile, in piedi, in mezzo a una calca non munita di mascherine, molto più giovani di me, e a chiudere, last but not least, Gianni Togni, al Teayro Repower, ex Teatro della Luna, a fianco del Forum di Assago che, in contemporanea, vedi tu la faccenda del negativo, ospita i Modà.

Tre signori concerti sulla carta che, non credo di rovinarvi la sorpresa, si dimostreranno, uso il futuro per una faccenda di storytellig, in realtà parlo di eventi già accaduti, tutti ben sopra le mie aspettative. No. Non è vero. Le mie aspettative erano alte e sono state assecondate dai fatti. Ma dire che una cosa è sopra le tue aspettative, credo, è praticare enfasi, di questo si parlava qui sopra. Dire che una cosa è sorprendente, anche se in realtà non ti sorprende perché ti aspetti che sarà appunto sorprendente, è praticare enfasi, cioè mentire a fin di bene. Ecco, i tre concerti sono stati spettacolari, e anche qui, sticazzi, mica sono andato a vedere i Modà, appunto, ma tre artisti che stimo, che sapevo non avrebbero tradito le mie aspettative e che, in effetti, non lo hanno fatto.

Ma veniamo al concerto di ieri, è di quello che voglio parlarvi. Sono nato nel 1969. Ciò attesta che, negli anni Ottanta, specie nei primi anni Ottanta, mi stavo formando come essere sociale, cioè stavo provando, cautamente e senza fretta, a ritagliarmi il mio posto nel mondo, staccandomi dall’alveo della famiglia di origine, non che ambissi già a andarmene di casa, non scherziamo, facevo le medie, ma è evidente che è in quegli anni che uno si forma la propria personalità dentro una società che non sia quella strettamente ristretta del nucleo familiare, e è altrettanto ovvio che nel formare la propria personalità la musica, parlo per me, ha avuto un peso fondamentale. Normale, quindi, che io all’epoca mi sia follemente innamorato della penna e della voce di un artista che ai tempi, appunto, ha tirato fuori una serie di album e di canzoni sorprendenti e spettacolari, rieccoci, capaci di vendere milioni di copie, così girava allora, ma al tempo stesso di mettere d’accordo molto, sia gli amanti del pop in quanto pop, sia coloro che nella musica cercano qualità, le due cose, converrete, non sempre combaciano, e soprattutto negli anni Ottanta combaciavano poco spesso. Nei fatti ho sempre trovato la penna e la voce di Gianni Togni, intendendo con questo la sua capacità di scrivere e anche di interpretare, qualcosa di eccelso, superiore abbondantemente alla media nazionale, non a caso di artista che ha sconfinato con successo di tratta, e anche per questo destinata a superare l’incedere del tempo, faccenda che all’epoca ovviamente ignoravo ma che oggi, tanto più oggi oggi, cioè dopo averlo visto ieri in concerto, posso affermare con sicurezza e fermezza. Gianni Togni è una eccellenza del nostro pop. Ha un repertorio che ha scollinato in parte i quarant’anni, il concerto di ieri sarebbe dovuto andare di scena nel 2020, per i quarant’anni di Luna, appunto, forse la sua hit più famosa (ma parliamo di vittoria al photofinish, perché direi che Semplice, Per noi innamorati, Giulia e tante altre se la giocano a armi pari con Luna), e che regge perfettamente anche in questi tempi malsani che stiamo vivendo, e non sto certo parlando di pandemia o di guerra. Con una band di primissimo livello, Gianni ha presentato le sue canzoni, andando anche a pescare nell’ultimo lavoro, quel Futuro improvviso che è uscito nel 2019 e voleva essere una esclamazione di speranza,  riarrangiate e riarrangiate non solo per suonare bene dal vivo, fatto in sé normale, ma per dimostrare come il pop, spesso vessato, sia un genere inclusivo, che permette la serena convivenza di suoni provenienti da tutti i generi, ci sono stati momenti world, altri rock, altri, ancora, jazzati, al pari di tematiche che sconfinano dal novero delle canzoni d’amore, su questo Gianni ha scherzato, spesso bollato come cantore romantico, ma in realtà frequentatore di ambientalismo in tempi assolutamente non sospetti, e sempre e comunque attento all’attualità e alla contemporaneità.

No, mi fermo.

Sembra che io stia qui a dirvi che Gianni Togni è un grande artista.

Lo sapete già, e se non lo sapete già,, che dire?, è un problema vostro e della vostra ignoranza, non certo mio. Gianni Togni è uno dei più grandi artisti pop che l’Italia abbia mai avuto, è un fatto, e il dettaglio che fossero quindici anni che non portasse in giro le sue canzoni è appunto un dettaglio, figlio del suo essersi nel tempo dedicato con successo a altro, i musical, e comunque non rilevante nel raccontare la sua grandezza. Quel che invece è fondamentale, almeno per questo mio scritto, è sottolineare come il suo concerto sia stato davvero un concerto stellato, scaletta di ferro, un successo dietro l’altro, con qualche chicca in mezzo, penso a Hey vita, ma comunque sempre a livelli di coinvolgimento del pubblico numeroso presente in sala. Certo, la sua narrazione, perché Gianni ha praticamente introdotto tutte le sue canzoni raccontando aneddoti sulla scrittura, sull’impatto sulla sua vita e su quella del pubblico, la sua narrazione, appunto, è partita intimidita, come a dover o voler riprendere confidenza col palco e col pubblico, aspetto che ha sortito un effetto ulteriormente empatico, il pubblico automaticamente ingaggiato a sostenerlo, come di chi ha bisogno di incoraggiamento anche se è riconosciuto da tutti come un fuoriclasse. Prova ne è stata la voce, incredibilmente identica a se stessa, parlo della voce del Gianni Togni che ho conosciuto allora, potente e vellutata al tempo stesso, come ben ha dimostrato soprattutto in un medley intimo, voce e pianoforte, che ha tirato fuori gioielli dal suo primo album, iniziando con Maggie, contenuta nel suo secondo album, quello di Luna, quello col titolo “e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento…”, dopo uno dice il genio, e finendo con Ma perdio, tutte canzoni scritte quando il nostro aveva meno di venticinque anni, canzoni che hanno retto questi quarant’anni alla grande, pensateci quando giustificate le cagate che fanno certi ragazzi oggi, “eh, sono giovani”. Messo da parte un incedere timido, quindi, amplificato anche dal suo autodefinirsi pop, come a giustificare un successo e un’attitudine che in effetti nulla di cui giustificarsi richiede, Gianni si è letteralmente mangiato il palco, complice una band davvero stellare, Massimiliano Rosati e Giovanni Di Caprio alle chitarre, Marco Siniscalco al basso, Luca Trolli alla batteria e Aidan Zammit alle tastiere, con Gianni che oltre che cantare si è alternato anche alla chitarra acustica e al piano, e complice un repertorio ineccepibile, una sorta di prontuario di come si dovrebbero scrivere canzoni che ambiscano a superare il tempo che passa, avvinghiate al cuore di chi le ha ascoltate e continua a ascoltarle. Confesso, ma qui entriamo davvero nel personale, cioè non in quella sfera postmodernista che fa sì che sembri io stia sempre a parlare di me, mentre nei fatti vi sto semplicemente facendo accompagnare nei miei racconti da un avatar che ha il mio nome e le mie sembianze,  confesso che non aver sentito dal vivo quelle che sono le mie due canzoni preferite del suo repertorio, Io e te, che credo metterei nella Top 5 delle più belle canzoni pop di tutti i tempi, e non solo italiane, per la costruzione della canzone, a livello di arrangiamento e anche di testo, Non devi dire mai più, una ballad che suppongo dal vivo avrebbe commosso a ragione tutti i tanti presenti, mi ha lasciato spiazzato, come di chi fatto trenta vorrebbe fare il classico trentuno, ma sono dettagli irrilevanti, perché qui il trentuno lo ha comunque fatto un artista che si merita tutta l’enfasi del caso, la mia, la vostra e quella di chiunque abbia a cuore la bella musica, pop o non pop. Speriamo solo di non dover aspettare altri quindici anni per vederlo in tour, così, tanto per cominciare a mettere le mani avanti.