Il seme del dubbio e gli effetti di un decennio di propaganda russa online

L'operazione è iniziata all'inizio dello scorso decennio e ha raggiunto il massimo dei suoi effetti con il massacro di Bucha. Una parte dell'opinione pubblica non crede nemmeno ai morti per strada così come è successo per il Covid

propaganda russa online

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Hanno cominciato a piantarlo più meno una decina di anni fa. È cresciuto anno dopo anno e solo adesso fa vedere i suoi effetti. Nel momento decisivo, quando serve per davvero. È il seme del dubbio e a piantarlo è stato il governo Putin che ha alimentato la più grande operazione di propaganda russa online sfruttando i social network e internet in generale. Un’operazione iniziata più o meno all’inizio dello scorso decennio e che durante l’invasione in Ucraina sta sortendo i suoi effetti più devastanti.

Questa mattina Repubblica ha pubblicato il risultato di un sondaggio effettuato dall’istituto Demos. Un italiano su quattro crede che le notizie che provengono dall’Ucraina siano il frutto della propaganda di Zelensky. Uno su due ritiene che in generale non siano attendibili le notizie sulla guerra pubblicate sui mezzi d’informazione. Un sondaggio che se fosse ripetuto in tutta Europa probabilmente darebbe risultati simili. Prima l’elezione di Donald Trump poi la Brexit, e la crescita dei partiti sovranisti in mezza Europa. Fino ad arrivare al Covid e ai vaccini e alla guerra. Molto più recentemente al massacro di Bucha a cui una parte d’opinione pubblica non crede.

Forse proprio il 25%. Missione compiuta. Seminare il seme del dubbio. Non è necessario dimostrare che qualcosa sia falso. L’importante è insinuare il dubbio che possa esserlo. Farlo circolare ossessivamente sui social, alimentare commentatori “amici”. Finanziare la propaganda dei politici sovranisti. E il gioco è fatto. Il risultato, ad anni di distanza dall’inizio di questo martellamento, è che gli italiani, una parte ma comunque rilevante, non crede più ai mezzi d’informazione. Crede invece ai video che girano sui social, nei gruppi tipo “non celo dicono” e altre amenità sgrammaticate.

Come funziona la propaganda russa online e il complottismo

O peggio nei gruppi Telegram alimentati ad arte dalla propaganda russa. Mezze verità o mezze bugie, il resto è martellamento ossessivo garantito dai bot o dalle sponsorizzate dei politici vicini. La verità non conta, l’importante è seminare il dubbio. Funziona come per gli avvocati penalisti. Un buon penalista non è colui che riesce a provare l’innocenza del proprio cliente. Un buon penalista è colui che riesce a seminare il dubbio nella mente del giudice. Non dimostra che una cosa non è vera. Fa venire quel dubbio esiziale. “E se non fosse la verità?”.

Il cervello si chiude. Possono arrivare tutte le prove a sostegno, c’è sempre quella vocina che ti sussurra: “E se non fosse vero?”. Ecco così è funzionata per anni la propaganda russa online e adesso sta sortendo i suoi effetti. Una partita a scacchi giocata per, mossa dopo mossa, video di Rt dopo video di Rt. “Non vi dicono la verità”, e il cervello entra in modalità dubitativa. Ci si sente più intelligenti a pensarla diversamente dagli altri, dalle pecore. Si pensa che sono gli altri a non aver capito. Che si è un po’ speciali se si è visto qualcosa che gli altri non vogliono vedere. Per una volta, si pensa di essere stati meglio degli altri. Che si sono sempre sbagliati.

È così che funziona il complottismo e la propaganda russa l’ha favorito per anni. Adesso raccoglie i risultati e noi non crediamo nemmeno più ai morti per strada. È successo col Covid e sta succedendo ancora con la guerra. “È tutta una messa in scena” ripetuto migliaia e migliaia di volte da migliaia e migliaia di account tra Telegram e Facebook. Fino a quando non arriva quella frase sussurrata al nostro cervello: “E se non fosse vero”. Il risultato è raggiunto e la Russia ha già vinto la sua guerra solo che noi non l’abbiamo ancora capito.