The Velvet Underground & Nico viene stampato in poche centinaia di copie, poi più niente per un bel po’ di tempo. Si dice, piuttosto, che chi ha acquistato quelle poche centinaia di copie del disco sia oggi un affermato critico musicale, un musicista talentuoso, un erudito come pochi altri al mondo. Sono dichiarazioni attribuite a Brian Eno, non proprio un incapace. Pochi altri al mondo, come questo disco.
Lou Reed il poeta, John Cale l’alchimista, Sterling Morrison che è Sterling Morrison, Maureen Tucker che è tutto il resto e lei, Nico, che scolpisce il disco rendendo sinuose tutte le forme nonostante i 3 “semplici” interventi. Ah, e poi Andy Warhol, senza il quale non avremmo nemmeno l’iconica copertina. Ciò che dobbiamo metterci in testa è che fino al 12 marzo 1967 abbiamo ascoltato musica cementificata, ma non per questo indegna di rispetto.
Sono gli Stati Uniti in cui ancora insistono gli strascichi della Beatlemania arrivata dal Regno Unito. Tanti bravi ragazzi che fanno ottima musica stanno infestando il mondo, ma con Reed e Cale le cose vanno diversamente. Ciò che i Velvet Underground sanno fare benissimo è mettere sul piatto la libertà espressiva, e lo dimostrano in questa babele di sadomaso con la color correction di David Lynch (Venus In Furs), nenie inquietanti da hangover (Sunday Morning), tentativi garage rock (Run Run Run) e rampe di lancio verso l’infinito (Heroin).
Ci sono ancora tante cose da dire, come il ruolo di Andy Warhol anche come produttore – ma ci sono buchi narrativi in cui mancherebbero altri nomi – e quella banana della copertina che, se sbucciata, diventa rosa come un pene. Eppure, con appena 30mila copie vendute alla prima botta, The Velvet Underground & Nico è il disco che ci ha dato il punk, il noise, l’indie, l’alt rock, che ha preso a calci il rockabilly e la convenzione, che ha raccontato le perversioni fino a quel momento nascoste nei glitter e nei sorrisi ammiccanti delle foto di copertina.