Ditonellapiaga, la mia, la sua

L'artista romana Ditonellapiaga a Sanremo si è mangiata il palco, incantando mentre cantava


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Guardo Ditonellapiaga e mi trovo di fronte a sensazioni contrastanti, in opposizione tra loro. Da una parte c’è grande ammirazione per un progetto musicale maturo, nonostante un’età, venticinque anni, genericamente riconosciuta come decisamente giovane, l’adolescenza che si è mangiata buona parte di quella che un tempo si sarebbe chiamata età adulta, eccoci tutti a passare da giovanissimi a anziani senza neanche rendercene conto. Una scrittura decisa, personale, riconoscibile, per chi ha avuto la fortuna di ascoltarla anche al di fuori della hit sanremese Chimica, perfetta per presentare il tutto a un pubblico mainstream, ma comunque rappresentativa solo di una porzione minima di tutti i colori a disposizione nella tavolozza della cantautrice romana, vero nome Margherita Carducci, come il poeta, giusto un filo più frizzante, una capacità interpretativa piuttosto contemporanea, attuale, e classica, destinata cioè a superare le mode del momento, a rimanere. Su tutto, questo chi ha seguito il Festival di Sanremo edizione 2022 ben lo ha potuto vedere, una presenza scenica importante, rilevantissima. Nel senso, pensate un’artista esordiente, almeno di fronte a un pubblico così ampio, chiunque passi dal Festival per la prima volta a ben vedere è per certi versi esordiente, ma tanto più se la carriera accumulata fin lì è avvenuta in buona parte sotto pandemia, quindi senza grandi possibilità di bagni di folla, anche solo in ambito indie, e pensatela a fianco di un mostro sacro come Donatella Rettore, oggi identificata per sua stessa volontà solo dal cognome. Sulla carta una gara impari, quasi una madre, putativa, che rischia di soffocare la figlia, putativa, in culla. Poi, invece, vedete come la figlia sovrasti la madre, si mangi il palco, le rubi la scena, sia detto senza volontà di creare polemiche o altro, semplicemente come notazione cronachistica, andando a dimostrarsi l’artista in scena alla settantaduesima edizione del Festival della Canzone Italiana più a fuoco, parlo di performance, almeno in ambito pop, Giovanni Truppi era lì a fare un altro tipo di show, quella che più di ogni altro ha lasciato un segno. E dire che c’era una bella concorrenza, quest’anno, e che proprio Chimica, una delle canzoni che più continueremo a ascoltare tra le venticinque in gara, se la doveva vedere con altri potenziali tormentoni, i tre brani più vivi di questa tornata erano appunto anche i più danzabili, mettiamola giù così, oltre Chimica parlo di Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista e Dove si balla di Dargen D’Amico, sempre per la cronaca.

Vederla sul palco, lo confesso, mi ha stupito, e non poco, e vederla su quel palco ancora di più, essere stupiti guardando il Festival, confesso anche questo, è ipotesi talmente rara da sembrare quasi impossibile, come se di colpo, per dire, guardando una puntata di Don Matteo ci trovassimo di fronte a un montaggio schizoide come quello di una serie tv americana, in Rai non sono stati ancora informati dell’avvento di serie come ER Medici in prima linea o Lost, figuriamoci, o una ventata di politicamente scorretto al limite della violenza verbale. Insomma, ci siamo capiti. L’ho vista, l’ho ammirata, ne sono rimasto ammaliato e al tempo stesso intimorito, come un maschio incerto di fronte a una virago, e uso non a caso parole impronunciabili, oggi, sia maschio che virago rientrano per ragioni diverse in questa categoria, chiedendomi e chiedendo in giro se in effetti realmente di new entry si trattasse, perché a vederla cantare con tanta padronanza, sia tecnica che interpretativa, sembrava tutt’altro, una veterana. C’è poi un terzo aspetto, ulteriormente spinosissimo da buttare sul panno verde dove sto provando a giocarmi questa partita, quella della sensualità. Perché Ditonellapiaga anche sotto quel profilo si è mangiata il palco, incantando mentre cantava, Dio mio, che cazzo di giochi di parole. Esibendo abiti di scena eleganti, che rimandano a un mondo colorato, volendo anche rettoriano, parlo di mondo colorato, non di colori degli abiti, attenzione, spesso Ditonellapiaga si è giocata outfit che contrapponevano bianchi a neri, ma la vivacità era comunque a colori, o così io l’ho percepita, nessuna scollatura, nessuno stacco di cosce, niente trasparenze, da quel suo spadroneggiare sul palco, sicura e spavalda, è trapelata una sensualità quasi stordente, a riprova che il fascino non deve necessariamente passare a didascalie e sottolineature. Ma a dirla tutta, e anche volendo citare la hit che su quel palco ha presentato, forse più che di sensualità dovrei parlare di sessualità, di carnalità, di chimica, appunto, questo passava dallo schermo, anche attraverso i suoi colletti di pizzo, le sue giacche bianche. Per tornare però alle sensazioni contrastanti, contrapposte, concetto abbandonato un numero infinito di parole fa, a fronte di tutto questo c’è la sensazione, netta, di aver fallito. Parlo di me, ovviamente, non di lei. La presa di coscienza, dovrei dire, più che sensazione, di aver fallito.

Perché dopo aver dedicato dieci e passa anni della mia vita professionale a mappare tutto il cantautorato femminile, con centinaia e centinaia di articoli, libri, TedX, Festival organizzati, interviste, iniziative atte a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su delle storture, la marginalità del femminile nel sistema musica, le polemiche, tutto il cucuzzaro, ecco che una sorta di presenza definita e precisa si presenta e mi si presenta direttamente dal palco meno atto a scoprire talenti che esista, quello del polveroso e ormai stantio Festival di Sanremo. Non che non avessi apprezzato Morsi, l’EP trainato dal singolo Spreco di potenziale, uscito nel 2021, una ballad malinconica con un flow molto ascrivibile a questi tempi, seppur poggiato su una musicalità che si rifà a altri tempi, almeno nel ritornello, un ottimo flow, seppur di cantante stiamo parlando, una voce che già in quell’occasione sparava cartucce d’argento in grado di perforare i nostri cuori da vampiri. Tutt’altra panoramica rispetto a quella dance, corporea di Morphina, quella sì più rettoriana, almeno negli intenti provocatori, o quelle eccessivi di Repito, un rovesciamento degli archetipi dei tormentoni estivi, reggaeton imploso e risputato sul piatto. Questi ultimi due brani decisamente più in connessione con l’esordio vero e proprio, antecedente all’apocalisse chiamata Covid, Parli, brano dance sparato a ritmi vorticosi, una marea di parole una dietro l’altra, dove il sillabare tipico di questi giorni impatta incredibilmente con una vocalità importante, coretti anni Sessanta, tanta carne al fuoco. Carne, e credo che qui sia la sola giustificazione che posso addurre, non rientra esattamente nel mio menu ideale, più portato per altri ritmi e altri suoni, ma che comunque lasciavano ben intendere di che tipo di talento stessimo parlando, e anche di che tipo di poliedricità e versatilità stessimo parlando. Solo che non ne ho parlato, perché poi è arrivata la fine del mondo, e mi sono distratto a cantarvi di quella, ecco il mio fallimento. Posso dire di aver intercettato, tanto per rimanere a Sanremo, talenti come quello de La Rappresentante di Lista o Margherita Vicario, loro ospite, in tempi non sospetti, entrambe erano parte della prima edizione del mio Festivalino di Anatomia Femminile, sei anni fa, e come loro tante altre artiste, ma Ditonellapiaga l’ho proprio cannata.

Così, quando pochi giorni prima del Festival è uscito Camouflage, album d’esordio della nostra, dodici brani, comprese le tracce che facevano parte di Morsi, tredici nella versione postsanremese che comprende anche Chimica, ho provato una sorta di spaesamento, come uno Stendhal che si trova a ammirare bellezze fuori dal tempo, monumenti e chiese, lasciando che fosse però la presenza di Ditonellapiaga a Sanremo a darmi poi agio di scriverne, dopo, mi ero detto, che avessi meglio assimilato proprio quel lavoro sulla lunga distanza così ricco di sfumature, di colori, sempre quelli, di sonorità che spaziano dalla dance, a tratti vicino all’elctroclash, anche a certo grime, sempre quella cifra che ha mostrato sin da principio, penso a Prozac, a Tutto Ok,  a Vogue, dove la cantautrice dimostra sempre una potenza di scrittura notevolissima, a brani più vintage, si vede che la ragazza ha una certa passione per il passato passato, lenti, a tratti, quasi jazzy, penso a Come fai, a Dalla Terra all’Universo, a Connessioni, la più black della covata. Discorso a parte meriterebbe il lessico che Ditonellapiaga ha deciso di usare, ricercato, letterario senza essere letterario, cioè scevro della tipica pesantezza di chi scrive volendo dimostrare di sapere scrivere, ma che nel non volerlo dimostrare, in realtà, lo dimostra eccome. Perché le melodie che costruisce, Ditonellapiaga, sono sempre funamboliche, e per metterci sopra testi serve sapere scrivere testi pieni di parole, che non perdano di efficacia appoggiate su quelle scansioni sillabiche, provateci voi a dire cose intelligenti andando a tempo e provando a andare a tempo rimanendo contemporaneamente coi piedi per terra e lo sguardo verso l’infinito. Canzoni iperboliche, verrebbe da dire, come iperboliche appariranno indubbiamente queste mie parole, lo vogliono essere, per mimesi, e come iperbolica sembra essere la personalità della giovane artista Ditonellapiaga, vai poi a capire esattamente di che piaga si sta parlando, io una mezza idea ce l’avrei, ma se la dico poi passo i guai, me lo tengo per me.