Big Bug, su Netflix la distopia in salsa (annacquata) di commedia del film di Jean-Pierre Jeunet

Il regista del “Favoloso Mondo di Amélie” torna con un racconto fantascientifico sul mondo dominato dall’intelligenza artificiale. Lo sguardo però è rivolto al passato, con un immaginario rétro e vintage visivamente bizzarro, ma sterile

Big Bug

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Erano quasi dieci anni che Jean-Pierre Jeunet era lontano dal cinema, l’ultimo suo film era stato il favolistico Lo Straordinario Viaggio Di T.S. Spivet (2013). Il suo ritorno avviene, direttamente su Netflix dall’11 febbraio, con un racconto di fantascienza distopica, Big Bug (2002). Che però non ha la confezione cupa e severa tipica del genere, ma invece punta su di una commedia, nella quale la fantasmagoria visiva multicolore è quella tipica del regista di Delicatessen e del proverbiale Il Favoloso Mondo Di Amélie, un film la cui iconicità ha finito per trasformarsi in una gabbia stilistica dalla quale Jeunet pare non riuscire più a uscire.

Ed è una gabbia anche quella in cui sono costretti i protagonisti di Big Bug. I quali, nel prossimo futuro ipertecnologizzato in cui ogni cosa è controllata dai robot e dall’intelligenza artificiale, si trovano prigionieri nella casa di Alice (Elsa Zylberstein), per colpa di un bug della rete che rileva imprecisati rischi all’esterno impedendo l’apertura delle porte.

Big Bug è strutturato come una pièce teatrale, che si svolge nell’unità di tempo e luogo di un appartamento iperconfortevole, palcoscenico sul quale si consumano incontri scontri conflitti di un variopinto insieme di protagonisti. Che accanto agli umani – Alice, l’ex marito con la nuova compagna, uno spasimante attempato, due ragazzi e una vicina di casa – comprende da un lato i robot domestici che nella vicinanza con gli umani hanno sviluppato una enorme propensione verso tutte le caratteristiche – sentimenti, passioni, umorismo – di cui loro sono sprovvisti; e dall’altro invece gli Yonyx, androidi umanoidi freddi e raziocinanti che per il bug di cui sopra hanno innescato una rivolta contro gli esseri umani, per diventare i soli padroni del mondo.

Jeunet però, anche autore della sceneggiatura insieme a Guillaume Laurant, costruisce un racconto che vuole mantenere una cadenza leggera e spiritosa. L’insistita ricerca delle situazioni comiche e paradossali legate alle schermaglie tra i tanti personaggi fa pensare quasi a una sit-com d’altri tempi. E la tavolozza di colori soffici e sgargianti propende apertamente verso il fumetto, cadenzata da un immaginario retrofuturista – che non guarda all’avvenire possibile ma alle forme in cui la fantascienza del secolo scorso si rappresentava il prossimo futuro – rimanda, per esempio, a un delizioso cartone animato degli anni Sessanta come I Pronipoti.

Più che alle ansie dei tempi che ci attendono, Big Bug ha uno sguardo nostalgico dal gusto vintage, che ama ripescare dal passato i modelli cui ispirarsi. C’è un robot chiamato Einstein che si muove su delle zampette da granchio e ha un volto da quadro di Arcimboldo; altri assistenti meccanici rimandano a certi film anni Ottanta come Corto Circuito o direttamente il primo Guerre Stellari – che già di suo aveva una propensione per il modernariato tecnologico –, i minacciosi Yonyx ricordano i cyborg alla Robocop, l’onnipresenza dei video pubblicitari viene da Blade Runner, mentre i programmi trasmessi in tv – che danno corpo a un mondo da incubo in cui gli uomini sono diventati schiavi delle macchine – fanno pensare al classico Il Mondo dei Robot di Michael Crichton.

Insomma è un po’ tutto già visto in Big Bug, che di suo aggiunge solo la ripetitiva messinscena croccante di Jeunet, tanto caramellosa nei cromatismi quanto anacronistica, e soprattutto incapace di condurre in porto una riflessione sintonizzata sull’urgenza dei tempi che pure il film vorrebbe raccontare. Ma le soluzioni non vanno oltre la scontata riproposizione di un umanesimo di maniera, secondo il quale sono l’imprevedibilità, i sentimenti, i difetti – insieme a quel mistero che è il sesso – le caratteristiche che rendono unici gli esseri umani. Di contro gli Yonyx posseggono solo la ferocia della loro intelligenza astratta e artificiale, che naturalmente li spinge a odiare quel simbolo culturale che sono i libri, bruciati con un brivido febbrile da Fahrenheit 451.

Ormai prossimo ai settant’anni, è nato nel 1953, Jean-Pierre Jeunet si muove nella cornice confortevole di uno stile rétro, appesantito da una scrittura che non trova quasi mai né l’efficacia della gag né il graffio satirico verace. Solo i personaggi dei robot che desiderano essere come gli umani posseggono qualche lampo di ambiguità: la luce negli occhi della domestica tuttofare, il gigolo meccanico che l’attempata vicina di casa utilizza per avere ancora un succedaneo di vita affettiva, che nella sua singolare commistione di circuiti integrati ed emozioni è paradossalmente il personaggio che mostra gli unici sentimenti che vibrano dell’autenticità e del senso di angoscia che per il resto Big Bug non riesce mai a cogliere.