Il Paese del Festival

È proprio così, la vita è tutta un festival: Mattarella sempre al Colle, Amato alla Consulta e Zanicchi, Ranieri e Morandi a Sanremo


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Pare che in piena elezione farsa di Mattarella bis un parlamentare se ne sia uscito: sbrighiamoci, facciamola breve, che martedì comincia Sanremo e due festival insieme il Paese non li può reggere. Frase all’apparenza pazzesca e invece verace come nessuna. È proprio così, la vita è tutta un festival, un format in cui riemergono sempre i galleggianti, i rieccoli, preferibilmente ottuagenari o giù di lì. Mattarella sempre al Colle, Amato alla Consulta, Zanicchi – Ranieri – Morandi a Sanremo. Tre ugole stanche, musicalmente già superate mezzo secolo fa. Non è prima repubblica, è l’eterno ritorno dell’uguale, è una maledizione infinita, un incantesimo da cui non si esce. La trafila per confermare il Capo dello Stato, uscente-rientrante, è stata probabilmente la pagina più grottesca nella storia repubblicana, uno scenario inverecondo da cui tutti escono mortificati: Draghi per primo, che il Quirinale lo voleva, lo pretendeva e ha preso una facciata terrificante sotto gli occhi del mondo. Quelli che la sanno lunga, che vedono il grande reset dietro qualsiasi cosa, erano sicuri che il Britannia, i circoli esoterici, i mercati, la Finanza, gli gnomi avessero già deciso tutto: sono bastati un migliaio di scappati di casa, a guisa di parlamentari, a scassinare ogni previsione, ogni scenario e adesso quelli che la sanno lunga si arrampicano sui vetri: eh, ma era chiaro, era tutto stabilito, così ha voluto il grande reset, noi ve lo dicevamo. I cosiddetti leader di tutti i partiti, nessuno escluso, escono con la faccia pesta, la loro inconsistenza non potrà più essere mascherata. Salvini è pronto per il banchetto della Nutella, la Meloni non ha toccato palla, Berlusconi insomma riposi in pace che ormai è ora, Conte può andare a Ballando con le stelle e Letta può trastullarsi con la matita usata per rieleggere Mattarella, conservata come uno dei ricordi più cari, il che, oltre a feticismo da strapazzo, sostiene, se il leaderino piddino dice il vero, un abuso, minimo ma immorale: la matitina non è sua, è delle istituzioni.
Dicono che Mattarella inchiavardato convenisse a tutti: a Grillo per i rovesci giudiziari, a Draghi per tamponare la figuraccia epocale, ai partiti che non sanno dove andare, ai peones che pensano alla pensione, insomma la logica del meno peggio. Di certo giova ai Goebbels dell’emergenza perenne, agli aspiranti dittatori che vogliono distruggere la vita ai novax; non al Paese, che ha assistito incredulo, sgomento, infine nauseato, a una farsa che non lascia innocenti. Lo stesso Mattarella, protettore degli Speranza e delle Lamorgese che manda a pestare gli studenti se protestano contro la morte di un loro compagno lavoratore, a questo punto avrà da spiegare la sua ostinazione nel blindare certi figuri e con loro un intero sistema di potere corroso. Una cosa è sicura, lo stato concentrazionario non potrà continuare nello stesso modo.
Da un museo delle cere a un altro, senza soluzione di continuità. Da oggi non si parlerà che di un festival inesistente, con le mummie canterine in primo piano e gli altri, i trappettari, i neomelodici a scadenza, solo comprimari. Da oggi saremo invasi dei drammi senili, le tinture, le smanie sessuali a 80 anni della Zanicchi, le esegesi su canzoncine patetiche o idiote, escogiteranno qualche scandaletto all’acqua pazza, patiremo i dolori del non più giovane Fiorello, ci vado?, non ci vado?, i telegiornali apriranno e chiuderanno su questa deprimente rassegna del vuoto, pandemie fantasma e politica malvivente resteranno di sfondo, tutto potrà aspettare, anche la terza mondiale. Poi, con la settimana entrante, si tornerà alla mesta routine, aspetta primavera, Bandini.
E ci renderemo conto che il Paese non esiste più. È stato risucchiato dai suoi reality, Sanremo, Quirinale, in una perenne finzione, un gioco dei soliti, che in sessanta milioni sono costretti a seguire: già tanto che un decreto ministeriale non abbia previsto l’obbligatorietà di Festival, pena la polizia che ti entra in casa. Greenpass e Sanremo, nei secoli dei secoli, amen. Ma forse non ce n’è bisogno, il regime sa che alla fine Sanremo lo guardano in quei dieci, dodici milioni che bastano, che assicurano il mantenimento del potere. E se calassero, ci sono sempre i dati grezzi, i numeri coi quali mentire. Ovazione a Mattarella, che oggi vogliono tutti, che è stato accolto nel salotto televisivo della direttora del tg1 Maggioni come, testuale, “un messia, un martire, una figura mitica, uno che si è piegato a far politica dopo la sanguinosa vicenda familiare” (il fratello Piersanti ammazzato dalla mafia nel lontano 1980, il che suona quasi offensivo, manco le istituzioni fossero una sorta di risarcimento). Da domani gli stessi toni parossistici verranno riservati a Zanicchi, Morandi, Ranieri, con la loro energia, la loro saggezza, la loro maestria che non invecchia. Ma cosa c’è di più decrepito di un Paese così?