Fedez, Dikele e il re che è nudo ma col cazzo piccolo

Vedere un’intervista nella quale ci sono posizioni anche distanti messe in campo, non prone da parte dell’intervistatore, è comunque rassicurante

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Ho visto l’intervista che Antonio Dikele Di Stefano ha fatto a Fedez, intervista di cui si è a lungo parlato sui social, anche per la polemica che intorno ci ha scatenato credo legittimamente Fedez. Un’intervista pubblica, andata in scena a teatro, per Esse Magazine, rivista specializzata nel mondo che ruota intorno al rap, nata per volontà di Ghali e da tempo in capo a Dikele.

Sulla carta la cosa non mi avrebbe dovuto interessare, non sono un grande estimatore di Dikele, che è un modo carino per dire che non mi interessa praticamente nulla di quello che fa, e lo stesso suppongo si possa applicare alla musica di Fedez. Il quale in un passaggio dell’intervista ci tiene a far sapere agli ascoltatori di non aver nessun interesse a sapere cosa i critici pensino delle sue opere, arrivando a sintetizzare il suo pensiero nell’inciso “mai fidarsi di un lavoro che è identificato con un aggettivo, critico”, immagino giocando sul fingere di non sapere che nello specifico si tratta di un verbo, ma va bene lo stesso, la reciprocità credo sia alla base del vivere civile. Solo che l’intervista, nonostante la partigianeria dell’intervistatore, palesemente intento a voler mettere in difficoltà l’intervistato, col quale in passato ha avuto scazzi, atteggiamento assai diverso a una certa forma di leccaculismo che esterna solitamente nei confronti di quasi tutti gli altri artisti che incontra, e nonostante un costante essere sulle difensive da parte di Fedez, oltre che il suo continuo prendere le distanze dalla scena rap salvo poi tornare a parlare di rapper e di rap, ha tirato fuori alcuni spunti davvero interessanti, e come ha avuto modo di sottolineare altrove Damir Ivic, che invece si schiera abbastanza chiaramente dalla parte di Dikele, vedere un’intervista nella quale ci sono posizioni anche distanti messe in campo, non prone da parte dell’intervistatore, è comunque rassicurante, troppo spesso i giornalisti, indeboliti dalla contingenza data dall’accesso diretto degli artisti a un rapporto diretto col proprio pubblico, grazie ai social, tendono a fare da passacarte più che il loro mestiere.

Però, messa da parte tutta la faccenda legata alla musica e al vociare riguardo appunto la scena rap, che ai miei occhi ha lo stesso interesse che potrebbe avere il sapere cosa avviene nello studio del Grande Fratello Vip, forse appena un po’ meno, credo che tutti i passaggi in cui Dikele ha pungolato Fedez sul suo rapporto col marketing, pungolato perché ai suoi occhi quello è evidentemente il tallone d’Achille del nostro, dimostrando di non aver capito una fava di colui con cui si stava appunto confrontando, e tutte le risposte che appunto Fedez gli ha fatto, andando grossolanamente a intessere un arazzo che mette sullo stesso piano lui stesso, Andy Warhol, citato a più riprese, Malcolm McLaren e anche Salvador Dalì, mi è parso decisamente interessante, quasi avvincente. Per capirsi, e credo di non aver mai speso una parola di elogio per Fedez in vita mia, vuoi anche per qualche trascorso personale, lui che quando con J Ax ha fatto il Direttore per un giorno in redazione al Fattoquotidiano.it, quando io ero il critico musicale del quotidiano diretto da Gomez, ha prima chiesto che io non fossi presente, e poi mi ha perculato e attaccato, ovviamente senza contraddittorio da parte mia, assente, né da parte dei miei colleghi, inginocchiati, vuoi per i suoi attacchi durante una conferenza stampa di lancio di una delle edizioni di X Factor, anche in quel caso in mia assenza, a Fedez non piace il confronto diretto, a occhio, vuoi per certi scambi sui social, certo che il mio chiamarlo “Stocazzetto” in tutte le pagelle del talent di Sky non avrà contribuito a farmi stare troppo simpatico ai suoi occhi, per capirsi, comunque, in due ore circa di intervista, due ore sono proprio tante, ma ripeto, l’intervista è valida, in circa due ore di intervista mi sono praticamente trovato sempre concorde con quanto detto da Fedez, lo ammetto, anche in buona parte delle vicende di gossip spiccio del mondo del rap, seppure io ritenga che anche lui non sia esattamente stato un esempio di coerenza e rettitudine, come invece ha ovviamente provato a far passare. Fedez, e non vi spoilero nulla, ha sostanzialmente detto e ripetuto più volte, di fronte a un Dikele interdetto ma disarmato, che il marketing è ai suoi occhi una componente fondamentale del suo essere creativo, al punto da aver ammesso che l’uscita del disco Disumano, per promuovere quello si trovava su quella poltrona su un palco, era quasi stata pensata per poterlo lanciare con quelle operazioni di marketing, e, dopo aver sottolineato che la musica è solo un 10% del suo core business, altra faccenda che ha spiazzato il suo intervistatore, le armi sempre più spuntate, ha lasciato intendere che è su questo che intende sperimentare particolarmente nel prossimo futuro, lasciando alla musica il compito di sopperire a certe sue urgenze, come uno sfogo, ma dando modo al suo ingegno, e credo che sul fronte marketing Fedez sia appunto geniale, di sviluppare nuove strategie e nuove campagne. Ha anche detto, senza che mi ripeta, solo in questa sua idea su quel palco, che ritiene che marketing e musica siano oggi sempre legate tra loro, inscindibilmente, arrivando a dire che anche un disco come Noi, Loro, Gli Altri, di Marracash, uscito a ridosso di Disumano, e lanciato senza alcuna apparente strategia di marketing intorno, come se le canzoni da sole potessero parlare, è stata ai suoi occhi una geniale strategia di marketing, proprio per il suo contrapporsi a una operazione molto più esplicita e poderosa praticata dallo stesso Fedez. Detto en passant, il rapper con cui Dikele lavora cui Fedez fa riferimento polemicamente nel finale, quello che Dikele avrebbe tenuto fuori dalla chiacchierata, perdendo così un’occasione interessante di confronto, parola di Fedez, è propro Marracash, e non Ghali, come sui social è stato detto, visto che da tempo Dikele e Ghali, fondatore di Esse Magazine, si sono mandati a cagare.

Ora, tornando a ribadire che sì, sono tra quanti non hanno mai speso una parola di elogio nei confronti della musica di Fedez, non per partito preso o perché io ritenga, come Dikele, che qualcuno gli scriva le barre, Dikele questo non ha avuto le palle di dirlo esplicitamente, ma lo ha sottinteso chiedendo ripetutamente a Fedez del perché avesse chiamato a scrivere con lui Dargen D’Amico, accendendo per qualche minuto una polemica esplicita sul palco, Fedez a ribadire come in tutte le sue canzoni ci siano autori, più volte ha citato Davide Simonetta, e come in tutte le canzoni rap mainstream ormai si collabori tra tanti autori, ma la cosa non ha convinto Dikele, in effetti piuttosto puntiglioso, una volta alzatosi dalle quattro zampe con cui di solito affronta i suoi interlocutori amici, tornando a ribadire tra quanti non hanno mai speso una parola di elogio nei confronti della musica di Fedez perché ritengo fermamente che la musica di Fedez sia tra la peggiore in circolazione, anche nell’alveo del pop, Fedez ha ripetuto credo diecimila volte che lui fa pop, non rap, e seppur Fedez dica di non avere alcun interesse nel sapere cosa i critici pensano della sua musica, credo che per uno come lui che nella vita ha praticamente tutto quello che si immagina vorrebbe avere, una bella famiglia, successo, denaro, la possibilità di fare quel che vuole fare, non avere anche il plauso di chi è preposto a giudicare, sorry ma funziona così, ditelo anche alla Pausini, è sicuramente un piccolo neo, non maligno ma comunque antiestetico, tornando a ribadire questo, e consigliandovi la visione di questa intervista anomala, due che si stanno sul culo che si confrontano senza tenere nascosto questo loro starsi reciprocamente sul culo è roba rara, oggi, vorrei specificare come anche io, da tempo, diciamo almeno da che ho scritto la biografia di Lady Gaga, dodici anni fa, e a seguire il manualetto Dieci modi per diventare un mito e fare un sacco di soldi, che era ironico ma poi è finito nel reparto Sociologia delle catene Feltrinelli, due passaggi che poi mi hanno spinto a ideare il fallimentare esperimento delle Bikinirama e a tornare a occuparmi di musica in prima persona, anche io da tempo ritengo che guardare alla musica senza guardare contemporaneamente al marketing, almeno in ambito pop, prendete il genere con i paletti più larghi possibile, equivalga a vivere fuori dal mondo.

C’è un passaggio in particolare che ho apprezzato, lo confesso, un momento di estrema lucidità nel parlare di arte contemporanea un po’ un tanto al chilo, quando cioè Fedez ha azzardato, a ragione, che nell’arte contemporanea c’è stato un passaggio ulteriore da quello che vuole il marketing a fianco all’arte, quello cioè in cui la centralità è passata dal marketing direttamente al market, al mercato, intendendo con questo non che il mercato detta le regole, ma che è proprio nel mercato parte dell’essere arte dell’arte, come se nel pop iniziasse davvero a contare lo streaming al pari del sound, dell’orecchiabilità o dell’interpretazione. È il mercato che fa l’arte, ha detto, e chiunque abbia una minima conoscenza di quello che l’arte contemporanea in effetti sia e stia facendo, penso a un personaggio come Larry Gagosian, per fare un nome, credo sia a quel mondo lì che sta guardando con una attenzione che potrebbe quasi sfociare nella mimesi, Achille Lauro, uno a cui non è certo la musica a interessare, almeno spero, è lì che sta guardando, senza però una medesima narrazione, nel suo caso si punta di più a “vendere” la sua vita privata, Fedez, ben sapendo che la musica, quella di cui a lui sembra interessare davvero pochino, rappresenta solo il 10% del suo core business.

Chiudo concentrandomi su un passaggio, questo è uno spoiler, che mostra il re nudo, e per re, fate voi, si può intendere nello specifico Fedez, il mercato o l’idea stessa di musica leggera che gira oggi. Oggi per altro perfettamente rappresentato dal tema trattato, cioè le campagne benefiche che Fedez ha messo in piedi, in un caso in compagnia di sua moglie Chiara Ferragni, grande assente in quell’intervista, una per raccogliere soldi per allestire un nuovo reparto di terapia intensiva per l’Ospedale San Raffaele di Milano, salvifico in prima ondata Covid, l’altro per guidare una cordata di artisti nella raccolta di fondi per lavoratori del mondo dello spettacolo, oltre sei milioni di euro distribuiti tra le maestranze rimaste senza stipendio. L’oggi, appunto.

Questo il passaggio. Dikele vuole per l’ennesima volta metterlo in difficoltà, e gli cita un passaggio di un brano di Guè Pequeno nel quale Fedez viene attaccato per il suo fare beneficenza in maniera falsa. Riguardo l’antica collaborazione tra i due, ai tempi di Tanta Roba, la rottura, i dissing, la partecipazione di Guè al concerto di Fedez con Ax a San Siro si aprirà un siparietto buffo, una sorta di bisticcio pubblico, superato forse solo dal momento in cui Dikele chiede insistentemente a Fedez perché non vada d’accordo con Fabri Fibra, dopo che il rapper di Rozzano gli ha specificato che non si sono mai conosciuti di persona, ma la domanda riguardo la beneficenza è atta chiaramente a mettere in difficoltà colui che si voleva far passare per un cinico speculatore. Fedez non capisce, o finge di non capire, infastidendosi per la domanda, il chiedere perché di certe domande è una costante di queste due ore. Così, come se fare beneficenza fosse qualcosa di esecrabile, a sua difesa tira in ballo un’idea di marketing legata al lancio dell’ultimo album proprio di Guè, dal titolo Guesus, anche Guè non ha problemi a gestire il suo ego ipertrofico. In pratica, per rispondere all’accusa di chi gli rinfaccia la beneficenza come mezzo per vendere dischi, accusa abbastanza ridicola, va detto, Fedez paragona la sua beneficenza a Guè che regala a chi avrebbe fatto più streaming del nuovo album una statuetta di lui vestito da Gesù. Dikele trasale, non coglie il nesso, nesso che in effetti, se si guardasse alla beneficenza come a qualcosa di finalizzato a aiutare gli altri non dovrebbe esistere, ma Fedez si ripete, se Guè può regalare la sua statuetta vestita da Gesù a chi fa più stream perché io non posso fare beneficenza, che è come dire che la beneficenza viene fatta appunto per puro marketing. Ecco, quindi, il re è nudo, ha colto come funziona il mondo oggi e non si fa problemi a starci anche senza vestiti. Mica è un caso che lo chiamavo Stocazzetto.

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