“Settantasei” è lo spettacolo che passa dal lockdown alla scena del Piccolo Bellini di Napoli

"Settantasei è anche una riflessione sulla nostra contemporaneità, sul concetto di chiusura, sul senso del teatro e della vita dei teatranti" scrivono i drammaturghi-registi Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano


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Fu dirompente e unica l’autoproclamazione del palcoscenico in Zona Rossa del teatro Bellini di Napoli, che avveniva a dicembre del 2020 mentre il lockdown creativo durò fino al marzo successivo. Frutto di un progetto ideato da Daniele Russo e Davide Sacco. Per settantasei lunghi giorni due drammaturghi-registi, Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano; e tre attori: Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano e Matilde Vigna si trasferirono all’interno del Teatro Bellini e, senza mai uscire, lavorarono a due nuove creazioni teatrali.

Dal 21 al 30 gennaio al Piccolo Bellini è in scena uno dei primi risultati di questa reclusione creativa e si chiama non a caso “Settantasei ll crollo dell’Impero romano d’Occidente, drammaturgia e regia Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano, con interpreti Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, Matilde Vigna. Scene Lucia Imperato, disegno luci Salvatore Palladino, costumi Chiara Aversano, assistente alla regia Salvatore Scotto D’Apollonia. Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.

Durante Zona Rossa anche il pubblico ha partecipato al processo creativo perché le prove erano trasmesse in diretta streaming e nel loro svolgimento si poteva assistere alle discussioni sul senso del lavoro teatrale, sulla sua necessità, sulle ragioni della crisi dello spettacolo dal vivo esasperata dalla pandemia. Soprattutto è stato possibile partecipare al lavoro artigianale e alle fasi creative che portano alla realizzazione di uno spettacolo.

Sono lunghi 76 giorni di “reclusione” e così Settantasei diventa uno spettacolo che si trasferisce sulla scena, in forma quasi di appunti di un diario raccontati con un tono ironico e leggero, in cui si descrivono i sentimenti e le emozioni che hanno animato i cinque artisti durante il loro lockdown, e, dunque, l’esperienza di ciascuno: «La rabbia, la solitudine, il disfacimento del corpo, gli abbracci, le paure, gli sguardi complici – spiegano i pluripremiati registi Lanera e Pisano – insomma la vita di cinque esseri umani chiusi dentro una casa. Dunque Settantasei è anche una riflessione sulla nostra contemporaneità, sul concetto di chiusura, sul senso del teatro e della vita dei teatranti. Settantasei è qualcosa che poteva nascere soltanto in questo contesto, e soltanto in questo momento storico: lo spettacolo ha preso questa forma, chiudendoci ogni altra strada. Settantasei è un numero, una data e una testimonianza».

Considerata come una risposta creativa all’interruzione dell’attività dei teatri e al dibattito che ne è scaturito sul ruolo della cultura in generale e del teatro in particolare, così scriveva Daniele Russo, dopo 76 giorni di “reclusione” in cui la luce del sole non l’hanno vista nemmeno: Non riconosco la visione del teatro che avevo prima. Oggi, alla fine di questi 76 giorni in cui di teatro abbiamo parlato, discusso, immaginato e litigato, resto con un senso di disillusione. Anche se fin dal principio avevamo preventivato un possibile fallimento, e benché ne usciamo dopo aver realizzato ben due spettacoli fatti e finiti, non riconosco la visione del teatro che avevo prima”.

Mentre l’emergenza sanitaria non ci dà tregua anche 2022, dove ancora alcuni teatri sono costretti a chiudere per casi di Covid, quella situazione di oltre un anno fa appare ancora di grande attualità, nelle parole di Davide Sacco. “Forse è troppo presto, o forse è sempre troppo tardi e l’avanguardia tarda ad arrivare. Questo è il tempo in cui viviamo. Questo è il tempo in cui ci è concesso di vivere e il nostro progetto, Zona Rossa, che accorda il suo respiro a quello del tempo corrente, si chiude, forse troppo presto, forse troppo tardi. Ma in questo susseguirsi di tempo, che mischia le ore con i giorni, mentre i minuti di incertezza si trasformano nella pienezza di un anno appena passato, noi tentiamo di zavorrarci a terra, come scogli in mezzo al mare, per raccontare non ciò che non è stato, ma ciò che, nonostante tutto, è potuto esserci. Ci sono stati artisti che hanno ritrovato la forza di definirsi tali. Ci sono stati operai che ci hanno abbracciato in un unico senso del lavoro. Ci sono stati cittadini che hanno unito le proprie speranze alle nostre. Ci sono state vittorie, ma ci sono stati fallimenti. E tutto ciò è stato in comune, come i settantasei giorni di reclusione in teatro, come le festività passate isolati, come l’incertezza di ritrovare il proprio lavoro e la paura di perdere i propri cari…Abbiamo provato a far capire che solamente con pennellate comuni potremo disegnare il nostro domani”.