La Top 10 di vendita del 2021, Nietzsche e un dito nel culo

La musica di oggi è giusto la perfetta colonna sonora per la catastrofe che stiamo vivendo


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Omicron. Delta. Una qualsiasi altra lettera presa di peso dall’alfabeto greco, è in fondo partita da lì, la civiltà occidentale, i fan dell’antica Roma se ne facciano una ragione. Mettiamo da parte per qualche ora la faccenda della pandemia, come direbbero i virologi in tv, lì proprio per negare questa affermazione, a dirla tutta, impariamo a conviverci, e se convivi con qualcuno non è che sgrani gli occhi o sorridi ogni volta che lo incroci per casa, è noto.

Questo inizio 2022 ci fornisce di suo altri interessanti spunti di riflessione, e usiamo sempre il mondo della musica come metafora, perché del mondo della musica in sé, diciamocelo, almeno del mondo della musica in sé oggi non interessa più davvero a nessuno.

Parto a caso, ripeto, di spunti ce ne sarebbero svariati, andando a prendere la top 10 degli album più venduti in Italia nel 2021, stando alla FIMI, che prende quindi in considerazione sia lo streaming, che il download e il fisico, con le debite differenze del caso. Specificando, lo fanno da anni, che il presente, figuriamoci il futuro, è tutto nello streaming, da solo titolare di un buon 80% circa del fatturato annuo della filiera discografica. La classifica in questione, metaforizzando, è non la foto plastica di una imminente catastrofe, come si potrebbe ipotizzare anche senza leggerla, le orecchie le abbiamo tutti, a parti rari casa, penso a un lontano ricordo di Niki Lauda, quanto piuttosto la fotografia plastica dell’avvenuta catastrofe, qualcosa che suoni come uno scenario postapocalittico, la distruzione del pianeta, gli zombie che imperversano, i pochi umani sopravvissuti che diventano barbari e selvaggi, e invece di provare a tirare avanti solidarizzando se la prendono coi propri simili, contribuendo a far accelerare la fine di tutto.

Al primo posto c’è Rkomi da Calvairate, con Taxi driver, Martin Scorsese abbia pietà di lui, al secondo posto Sangiovanni con l’album omonimo, al terzo coloro che, stando alla narrazione vigente, dovrebbero stare in tutti i dieci posti della classifica, i Maneskin, con Teatro d’ira- Vol.1, al quarto Blu Celeste di Blanco, al quinto Madame con Madame, al sesto Capo Plaza con Plaza, i giovani peccano un filo in originalità nello scegliere i titoli dei loro album, così, a occhio, al settimo Noi, Loro, Gli altri di Marracash, tecnicamente l’unico ultraquarantenne in classifica, all’ottavo Ahia!, dei Pinguini Tattici Nucleari, al nono Famoso, di Sfera Ebbasta e a chiudere Flop di Salmo.

A una lettura veloce, e nessuno, immagino, vorrebbe fissare troppo a lungo l’abisso, Nietzsche o non Nietzsche, spicca alla vista il fatto che sia una classifica quasi totalmente indirizzata verso quel suono urban, tra rap e trap, che ormai da qualche anno ci tiene in ostaggio, altro che pandemia. Solo due gli album che non siano riconducibili a questo genere, i Maneskin, evidentemente non così profeti in patria come ci si sarebbe potuto aspettare, e, questo sì da sganciare la mascella dai supporti e farla toccare fino a terra, tipo Jim Carey, i Pinguini Tattici Nucleari, addirittura con un album di due anni fa, i primi, dicono, in odor di rock, il secondi di titolare di un pop oratoriale senza eguali in Italia, grazie a Dio. Questo fatto, la predominanza implacabile di un genere figlio proprio dei nostri tempi, fatto che per altro non è così predominante altrove, dove la trap è divenuta endemica, beati loro, e dove, penso agli USA, ci sono fenomeni giganteschi quali Adele e Taylor Swift, è ulteriore spunto di riflessione, così come l’assenza, appunto, di artisti stranieri, neanche uno nella Top 10. Tirando sommarie somme, quindi, si può dire che no, amici cialtroni che gridavate al miracolo, il rock non è tornato in auge come dicevate, quantomeno non ancora, il che attesta come i Maneskin abbiano un pubblico prevalentemente di bambini, Tik Tok è stata la loro manna, e che quindi le famose chitarre e batterie vendute e i famosi incrementi nelle scuole di musica daranno i loro frutti, forse, mettete molta enfasi su questo forse, fra qualche anno, prova ne è non solo l’assenza di altre realtà nella classifica e il loro terzo posto, non un primo, quanto l’assenza di realtà similari nei roster delle major, l’assenza di brani che facciano riferimento al rock nelle playlist delle radio, l’assenza, viva il populismo, di rock nel cast di Sanremo, da dove la pandemia Maneskin si è mossa. Il rock, inteso come fenomeno mainstream, è ancora morto, non basta indossare il vestito da Batman per essere un supereroe, e se vive vive dove è sempre vissuto negli ultimi anni, in un altro circuito, nelle cantine, nei locali, i pochi sopravvissuti, dove il rock si suona(va), pandemia permettendo.

Tirando sommarie somme, quindi, si può anche dire che le classifiche cosiddette di vendita sono in realtà uno di quei selfie che facciamo per sbaglio, mentre abbiamo lo smartphone in mano, e del quale ci accorgiamo quando ci mettiamo a sfogliare la galleria, o se siamo Guè Pequeno quando pubblichiamo la foto del cazzo su una stories di IG, qualcosa che inquadra una porzione scambiandola per il tutto e che del tutto è ovviamente solo parziale testimonianza. Lo streaming è in mano ai giovanissimi, e in classifica ci sono solo i giovanissimi, al limite qualche giovane, Salmo e Marracash rientrano nella categoria per quella anomalia tutta italiana che ti fa essere giovane fino a che non arriva un dottorino alle prime armi a infilarti un dito nel culo per vedere se la prostata è infiammata. Niente cinquantenni, niente sessantenni, niente settantenni, da quelle parti, se ne faccia una ragione un gigante dei live come Vasco, capace di portare centinaia di migliaia di persone a spendere centinaia di euro per andare a vederlo dal vivo ma scomparso dalle classifiche per quella stortura che vuole che gli ascolti fatti gratis o quasi su Spotify valgano quanto chi ancora si ostina a comprare i cd. Curioso che il tutto avvenga proprio nell’anno in cui sia la vendita di CD che di vinili registra un segno positivo, e per di più il tutto venga certificato e raccontato proprio nel momento in cui, dagli USA, trapela la notizia che l’82% del mercato musicale americano è rappresentato dal cosiddetto catalogo, fonte MBW, quindi nulla di uscito nel corso del medesimo anno, fatto che, questo sì, attesta come guardare alla contemporaneità con tutto quell’entusiasmo, parlo dei discografici, ovviamente, ma anche degli amici a quattro zampe che si eccitano per la tanta bellissima musica che gira intorno, quella che poi si trova appunto in classifica, è qualcosa di surreale. Ancora di più se si pensa che detti artisti, Dio mi perdoni se uso questo termine, fatta forse la solita eccezione per Salmo e Marracash, hanno una probabilità pari a zero di entrare nei cosiddetti cataloghi, la loro una musica destinata a un consumo usa e getta, nessuna ambizione o possibilità di rimanere nel tempo, già spariti molti di questi eroi incoronati come tali giusto un paio di anni fa. Mica sarà un caso che i giganti, quelli veri, quelli che un catalogo ce l’hanno, stiano vendendo a cifre clamorose i propri cataloghi, penso a Neil Young, a Dylan, a Springsteen, tanto per fare qualche nome, e mica un caso che proprio qualche tempo fa facevo sommessamente notare come maltrattare uno Zucchero, a fronte del suo catalogo, e comunque emarginare la vecchia guardia a favore di questi nomi qui, quattro su dieci sono del tanto bistrattato Gino con le Mutande, mica mi sfugge, sia come un pensare che la cicala che cantava abbuffandosi di birre e arrosticini fosse in realtà assai più saggia della formichina che metteva da parte le scorte per l’inverno, o che chi costruisce la casa sulla sabbia, al volo, sia più saggio di chi la costruisce, evangelicamente, sulla roccia. Il catalogo, Dio santo, senza catalogo il mercato musicale non esisterebbe, la musica di oggi non lascerà traccia, qualcuno, toh, ve lo sta dicendo da tempo, scambiato per un menagramo o per un boomer, poveri stolti, andate in pace.

Prima di arrivare all’ultimo dato, quello che ai miei occhi è ovviamente balzato subito in evidenza, se mi conoscete già sapete di cosa sto per parlare, in questo sì proprio come un boomer, va sottolineato come, esattamente alla stessa maniera in cui il predominio del rock trainato dai Maneskin non è mai avvenuto, ripeto, terzi, loro, dietro i due blockbuster Rkomi e Sangiovanni, e a un passo da Blanco, nessun altro in rocker, le risate, in vista, non si è avverata un’altra favoletta che ci è stata raccontata giusto un annetto fa, con grande dovizia di particolari e con un’enfasi che sembrava talmente spavalda da apparire quasi reale, Sfera Ebbasta, ahinoi e ahilui, non è diventata la popstar planetaria che ci aveva detto sarebbe diventata. Ricorderete tutti le clamorose collaborazioni internazionali, Times Square a New York con la sua faccia sui videowall, le dichiarazioni a effetto sue e del team Gino con le Mutande, il film, il titolo Fenomeno, le canzoni imbarazzanti che ci raccontavano come dramma del momento non la pandemia, appunto, ma il suo vivere di lusso sfrenato e successo intergalattico ma con un substrato di malinconia, lì mentre girava sopra la sua Cinny a bordo di un elicottero, e se non ve lo ricordate è solo perché avete un buon subconscio, amorevole e dedito alla vostra salvaguardia, e soprattutto non fate di lavoro quello che faccio io, il cagacazzi. Perché ricordandomelo non posso che registrare che erano, come del resto avevo sommessamente detto a suo tempo, tutte puttanate. Nessuna reale possibilità di sfondare negli USA, collaborazioni comprate un tot al chilo, i videowall a Times Square che, come tutti gli spazi pubblicitari, sono in vendita, infatti da lì in poi ci è passata anche mia cugina, che fa l’estetista a Camerano, provincia di Ancona, e la sua capacità di sfondare in un mercato dove ci sono quelli veri pari a zero, tutta una narrazione che doveva essere fatta a nostro beneficio, roba che a confronto davvero i Maneskin sono la rock band più famosa al mondo, come qualcuno sta provando a farci credere, in virtù dell’essere stata una delle oltre quaranta band che hanno aperto un concerto dei Rolling Stones o di aver vinto un MTV European Music Awards, oggi, non mentre Brett Easton Ellis certificava la MTV Generation scrivendo Meno di zero, tipo trentasei anni fa. E dire che proprio grazie a quell’internet che sta facendo girare musica davvero di merda la stampa internazionale è a disposizione di chiunque, constatare che Sfera Ebbasta là fuori non esiste, beati loro, era alla portata davvero di tutti.

In questo bellissimo scenario torno a gettare un’ultima volta lo sguardo alla Top 10 di vendite, le pazze risate, del 2021, e tirando sommarie somme, quindi, si può dire che al pubblico italiano, quello che ascolta musica con Spotify e che viene erroneamente spacciato per gente che acquista musica, non solo non piace affatto il rock, non piacciono gli artisti che abbiano fatto la visita militare (anche il militare stesso, in alcuni casi), e non piace, siamo alle solite, la figa. So che siamo nel 2022 e dire “non ti piace la figa” per irritare coloro che stai accusando di essere misogeni è un atteggiamento considerato disdicevole, in quanto portatore di un politicamente scorretto in odor di patriarcato, odore solo per chi ha il Covid nella sua prima variante, che quindi non sente odori e si basa quindi sulla memoria olfattiva per constatare che la merda puzza di merda, ma sono fatto così, ritengo che in certi casi si debba assolutamente urticare, provocare, disturbare, e dire “non ti piace la figa” risponde a tutte queste caratteristiche, mettetemi pure al muro, come in un vecchio film fumerò la mia ultima sigaretta, ora a fumare sono solo i cattivissimi, roba che manco Kevin Costner nel flop Waterworld, e lì di anni ne sono passati ventisei. A chi ha contribuito a far stilare quella classifica degli orrori con i propri ascolti su Spotify, sarei davvero curioso di capire come è possibile che il catalogo tenga in vita il mercato ma resti fuori dalle classifiche, per altro, non piace la figa, dicevo, in quanto nella Top 10 di vendite, le pazzissime risate, del 2021 di donna ce n’è una sola, Madame, e ho pure paura, ma qui sto davvero per provare a crocefiggermi da solo, e provateci voi a infilarvi chiodi nelle mani da soli, passi la prima mano, ma la seconda?, come la inchiodate?, ho paura che Madame si incazzerebbe non poco nell’essere non solo associata all’espressione scurrile “non ti piace la figa”, ma anche all’essere indicata come titolare del genere femminile, figlia di una generazione diversa da quella di chi scrive, ahilui, ancorato a quelle vetuste classificazioni binarie. Solo Madame su dieci album è registrata all’anagrafe col genere femminile. Tutti gli altri rientrano nel genere maschile. Nel 2021. Tutti uomini. Come del resto, ancora oggi, nel board della Fimi, quella che poi promuove l’inclusività con iniziative che risultano un pochino pelose, tutti uomini anche a guidare le major, anche le etichette minori, uomo il direttore artistico del Festival di Sanremo e tutti i membri della sua squadra, il mondo va così. Chiaro che pensare a quote rosa nelle classifiche è non tanto ridicolo, quando agghiacciante, perché le classifiche non tengono mai conto del merito, ma registrano meccanicamente risultati, nello specifico qui registrano cosa passa per lo streaming, un uomo alla guida delle Playlist di Spotify, da sole portatrici insane di un terzo degli ascolti di quella piattaforma, non a caso indicata come la maggiore per quel che concerne quel tipo di ascolti, ma leggere questo dato come una stortura, si pubblicano meno donne, si mettono meno donne in quelle Playlist, ovvio che ci siano meno donne nelle classifiche, poi, è quantomeno sensato.

Solo che essere sensati oggi, stando almeno alla lettura di questa classifica, è insensato, o quantomeno equivale a provare a stare in equilibrio mentre tutto intorno è un tuffarsi dalla scogliera come i Lemmings, intempestivo e fuori dal tempo. Abbiamo rinunciato alla nostra cultura, non solo musicale, e questo è un male assai più ampio che avere una classifica infarcita di musica discutibilissima. Non abbiamo più radici, e non abbiamo più un vocabolario in grado di farci realmente comprendere l’oggi, perché senza tradizione e senza la nostra cultura non sappiamo più neanche parlare, figuriamoci se sappiamo leggere la realtà. Non sto ovviamente parlando di Sangiovanni, avevo momentaneamente lasciato la musica lì dove questa musica merita di stare, in fondo a destra, la musica di oggi è giusto la perfetta colonna sonora per la catastrofe che stiamo vivendo. Come diceva in effetti Nietzsche, a furia di guardare dentro l’abisso l’abisso ha cominciato a guardare dentro di noi, solo che non lo ha fatto metaforicamente, è entrato senza bussare, come il dito del dottorino giovane che sta controllando se la prostata è infiammata.

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