Roma senza Natale

Roma in questo Natale fantasma mi è parsa una metropoli ripiegata, un grosso animale che si contorce in spasimi sempre più flebili


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C’è gente, ma non così tanta. Piazza di Spagna smorta, e siamo a tre giorni dal Natale. Via del Corso poco più animata, “Signore, ‘a mascherina”, ho capito Dio santo ma sto telefonando, “’A mascherina va messa appresscindere”. Poi dicono che il governo Draghi non ha creato nuovi lavori. Qui l’unica attività sembra essere rompe li cojoni a quelli che camminano, a cura di certi bestioni in nero che si credono tutori di chissà quale ordine. Non si capisce la logica sanitaria a Roma, certe vie sì e certe no, misteriosamente, come le ascelle di Manuela Arcuri in “Viaggi di nozze”, ma i più la fottuta mascherina la tengono sotto al mento o niente del tutto, forse in tasca. Ma coraggio, da domani il governatore Zingaretti, quello col sorrisone di chi ha svoltato, taglia la testa al toro, estende l’obbligo ovunque, anche sul Terminillo e chi s’è visto s’è visto.
Se semo visti, ma poco. La Galleria Alberto Sordi che affaccia sul piazzale di Montecitorio è una Spoon River di spazi “in locazione”. Ma non li loca nessuno, si vede che le mirabolanti visioni di crescita, di prosperità di Draghi non attaccano ancora. Dei due bar sotto la galleria, con decine di tavolini, uno solo occupato: il mio, che sto a spettegolare di politica con un collega. No, anche un altro: un’anziana beve una tisana, sola, immota come un dipinto di Hopper.
Gente sì, ne gira, siamo pur sempre in Caput Mundi, ma di meno, il pomeriggio non sarà gran che come fascia oraria ma altri Natali me li ricordavo più vivi. Più veri. Poco va e vieni dai negozi, eccezion fatta per quelli di lusso, anche in tempi i pandemia chi ha i soldi li butta via. Anzi, pure di più. Non a caso sono i ricchi a levare peana al presidente uscente. I giochi sono fatti? Non si direbbe, il “nonno delle istituzioni” ha peccato di ybris e i partiti, deboli quanto vi pare ma sempre con l’istinto di sopravvivenza feroce, non hanno gradito, l’hanno azzoppato il Nonno e adesso si parla di tenerlo incatenato a palazzo Chigi. “Purché si faccia come dico io”, precisa il sempre meno infallibile Tecnico. Perché, fino adesso che ha fatto?
Ma certo, certo, rispondono i partiti che poi sanno come cuocere a fuoco lento rane e draghi. Qui a Roma si dice, indovinate un po’?, che la più delusa sia quella che, a parole, lo contesta di più: la Meloni della opposizione inesistente, come il cavaliere di Calvino, che in privato dice “nessuno me lo tocchi, Draghi” e minaccia epurazioni se qualcuno si azzarda. Mai fidarsi di nessuno, qui nella Capitale lo sanno e lo mettono in pratica e non solo nella politica: chi vota non è che s’illuda, è perché gli conviene. Sotto luminarie un po’ misere, cupe, sarò io che giro storto, mi pare che la politica infetti la città e viceversa; i partiti sono cadaverici ma sempre affamati della bistecca pubblica, che rimane un bell’osso da spolpare, poi adesso con i duecento miliardi europei, hai voglia. Anche se sembra il deserto dei Tartari, più li aspettano e meno si vedono. Intanto, per non sbagliare, i leader si baloccano sui social e vengo a sapere di autentici psicodrammi se un tweettino scende da diecimila a novemilanovecentonovantanove cuoricini: allora il leader s’incazza e lo spin doctor trema. Chi l’avrebbe detto che saremmo finiti così, coi politici influencer e la politica a fumetti?
E chi l’avrebbe detto, vedere Roma così, a cavallo di un Natale moscio, moscio? Piazza Cavour è cemeteriale, silente, così le toghe pregiate della Cassazione non vengono disturbate. Una postazione dell’Esercito Italiano, con due militari in mimetica e mascherina, vigila annoiata mentre le passano davanti quasi solo extracomunitari. O vecchi. O ragazzini in libera uscita dalle scuole e chissà fino a quando. Seduto su una panchina mentre aspetto un’amica, butto giù queste note e mi chiedo che Natale sarebbe mai questo Natale di Roma: a vederlo non pare proprio quello dei telegiornali di propaganda, magari mi sbaglio ma più giro il centro mirabile e più sento nell’aria come brezze di lockdown. Difatti, subito dopo il 25 avrebbero annunciato nuovi strangolamenti sociali al limite dello psicopatico. Non gli bastava aver già sfasciato il turismo natalizio e festaiolo, non gli bastava vedere che tutti i bar, i locali, i ristoranti, le tavole calde hanno prolungato all’esterno, una verandina, due funghi a kerosene e quattro lucette angoscianti, così vanno a sedersi lì e non serve il lasciapassare. No, i mostriciattoli di governo e al CTS hanno partorito l’ennesimo obbrobrio e ormai il supermegaeccetera non lo scampi più, luci o non luci, verande o non verande. L’unico posto che ho visto davvero animato è il terminal di Tiburtina, ma lì era tutta gente che prende d’assalto le corriere per fuggire dalla città, per tornarsene ai paeselli delle Marche o della Calabria. Sognando di mai più tornare, perché Roma, mi dice una insegnante, si fa più invivibile di giorno in giorno, la pandemia ha ucciso le illusioni residue, Roma non ha saputo organizzarsi, solo incarognirsi, complicare la vita già infame, chi ci resiste ancora?
Soffice cala la sera, si vedono meglio le luminarie brillarelle, ma a star qui, su una panchina dei giardini deserti, a scrivere, ti viene addosso un magone, un magone. Girano i regazzini, lasciano una scia di incoscienza dell’età beata che subito il silenzio risucchia. Il traffico c’è sempre, è appena a un clacson di distanza, ma arriva come ovattato, soffocato. Uno dei posti più spopolati è proprio il piazzale di Montecitorio, sembra già sbaraccato, come le scuole. Roma in questo Natale fantasma mi è parsa una metropoli ripiegata, un grosso animale che si contorce in spasimi sempre più flebili. Specchio del Paese che non ce la fa ma si illude ancora. Alle 19,30 il Terminal di Tiburtina è brulicante più che mai e ricorda una Casbah, c’è la disordinata confusione di chi non pensa, se non a scappare. Occhi bassi o dispersi. Nessuno ride. Compare l’autista del pullman che mi riporta a casa, verso il lockdown perenne, e “Biglietto e greenpass”. Ma non si orienta, confonde le macchie puntiformi da cui dipende ormai la nostra vita, una per mangiare, una per il caffè, una per il trenino, una per la corriera e “’sti cazzi de QR” sbuffa rassegnato. “Pensi che è solo l’inizio” gli dico e lui lancia una bestemmia natalizia e ci fa salire. Si parte, con la sensazione di restare fermi, come Roma, come l’Italia, come il governo, come la “emergenza”, come la pandemia che più le infili la mascherina e più la irride con nuove varianti di cui nessuno capisce niente. Ma tranquilli, adesso ci pensa Draghi, a patto di lasciargli fare come gli pare.

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