La Prima alla Scala formato TikTok

Nell'epoca della contestazione, i casinisti tiravano le uova ai ricconi impellicciati, oggi sono i ricconi che tirano i tartufi agli sfigati, quelli che non entrano, quelli del no greenpass


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In tempi di pandemia ogni buco fa galleria. Il buco per l’occasione è il Teatro alla Scala, tempio dei templi dell’opera lirica, musica altissima, purissima e a volte estenuante almeno alle orecchie di noi profani. Sarà la pandemia, ma per la Prima, evento mondano come nessun altro, si registra una mutazione antropologica: nell’epoca della contestazione, ’68 e dintorni, i casinisti del Movimento tiravano le uova ai ricconi impellicciati, oggi sono i ricconi che tirano i tartufi agli sfigati, quelli che non entrano, quelli del no greenpass in fama di dementi, come li vede il Censis. Sì, ha qualcosa di offensivo, un sovrappiù di classismo becero questa messa cantata per privilegiati che nel tempo dello stato autoritario pare messa in piedi solo per consentire ai facoltosi l’ovazione a Mattarella, dal quale si sentono degnamente rappresentati. “Bis!” “Bis!”, gli urlacchiano in un tripudio fantozziano e lui si compiace, il presidente di tutti gli italiani ma soprattutto di alcuni. Gli altri stiano pure a casa, che se li beccano i gendarmi passano i guai. 
Tutto calibrato, tutto preciso per la Prima alla Scala del 2021. Il dramma psicologico, quasi novecentesco, di Shakespeare, il patriottismo unitario di Verdi, da rileggere in senso sanitario, le streghe, certamente novax, con le loro profezie di sventura, lo stilista Armani, tra gli sponsor, gratificato anche lui di ovazione presidenziale, il direttore Chailly, non sgradito al regime di sinistra almeno quanto Riccardo Muti era inviso. Certo non c’è la divina Callas, che proprio alla Scala riportò in auge l’opera fin lì dimenticata di Verdi, ma ci si contenta. 
La mutazione sta nel glamour. Non più regale, misterioso: inaccessibile ma in un modo diverso, quasi pop, anzi senza quasi. Tra gli esibizionisti compulsivi, il D’Agostino dell’agenzia Dagospia, filogovernativa, il televirologo Burioni con l’aria di quello che non si perde un evento, tanto per continuare a guadagnarci secondo logica da influencer. C’è il conduttore buono per tutti i regimi Bruno Vespa, che non si capisce cosa cazzo debba fare anche lì, forse l’hanno premiato per il suo zelo filovaccinale, e c’è la velona Milly Carlucci, anche lei una col greenpass di governo, una apostola dell’obbedienza, del potere buono e caro che pensa a noi, del tutto va ben, madama la marchesa. Ci sono i poppettari come Manuel Agnelli, Marracash e Emma Marrone, del tutto fuori posto ma per puro sfoggio di vanità. Non poteva mancare l’arzilla Liliana Segre, sorta di presidente alternativo, una che è pagata per apparire, incombente sempre e ovunque come un rimorso collettivo, ma per chi?
Posti da 1500 a 3000 euro, ma qua sono quasi tutti imbucati e stanno stretti, stretti nell’estasi d’amor, tra i danarosi non ce n’è coviddì e se c’è si fa finta di niente, questa è tutta gente che i media li controlla, li ricatta con la pubblicità. La Rainews 24, branca notoriamente piddina del servizio pubblico, intervista a casaccio: Luca Argentero, che di opera sa meno di un ronzino, ammicca alla telecamere per capire qual sia l’inquadratura migliore e se la cava con una banalità imbarazzante sulla “tremenda modernità di Verdi”; con lui il Cattelan dei flop, così la transizione a X Factor è completa, che si agita, parla a macchinetta come suo solito, così tante parole, così poco da dire, finché insieme salutano col calice in mano, fanno “cin cin” nel più rozzo e piccoloborghese dei saluti.
La sacralità anche un po’ odiosa, certamente esagerata della “Prima”, che per i milanesi è un evento fatidico, ne esce del tutto svuotata, smitizzata: regna l’esibizionismo cafone, il “trash”, come lo chiamano, perché fa più fine di spazzatura ma il senso è quello, compresa la scopata in ascensore perché oggi l’opera ha da essere stravolta nel solco della contemporaneità e se in questi tempi di pornografia mercantile non ci metti l’amplesso catartico che fai? Basta che sia consumato con la mascherina, così il senso civico che tanto preme al Presidente è salvo.
“Bis! Bis!” gracchia la claque peggiore, la borghesia più grottesca all’indirizzo di Mattarella per dirgli resta, non smettere di tutelarci almeno finché Draghi non ci avrà portato i soldi del recovery con cui continuare a farci gli affari nostri, più o meno loschi. C’è una frase, pronunciata dal sindaco Sala, che è agghiacciante ma esemplare: “Credo che la cosa più sbagliata sia l’attesa di quando tutto questo finirà. Siccome non lo sappiamo, viviamo”. Che resta da capire? Viviamo, noi che possiamo, al Paese sfasciato, ai miseri che fanno l’altra fila, avanti ai centri di carità e sono sempre di più, ci penseremo tenendolo a vita per i coglioni con nuove proibizioni, nuove censure, nuove disinformazioni, nuove discriminazioni, nuovo odio, nuovo disprezzo, nuovi obblighi manicomiali, nuove violenze, nuovi drammi sociali e lavorativi; ma che c’entriamo noi, noi diversi, noi ultimi e un po’ tetri esponenti dell’aristocrazia spazzatura con questa feccia, che non conosciamo e non comprendiamo, che disprezziamo compiaciuti mentre esaltiamo i simboli di un regime che ci rassicura?
Viviamo “con prudenza” precisa il sindaco meneghino, ma giusto per degnazione; si capisce che la prudenza è riservata a chi sta fuori, ai perdenti, ai nessuno, ai barboni controllati a campione, a caso, a sfiga, dalle guardie mandate dal prefetto Saccone, rigido al suo fianco. La sfilata del potere, tronfio, cinico, e, fuori, i quattro pirla dei cub e dei centri sociali che non fanno paura a nessuno, che fanno tenerezza perché non sono più gli anni di piombo e non rappresentano più nemmeno loro stessi. In un pandemonio per cui i sindacati rossi di Landini chiedono il permesso di scioperare all’automa del liberismo finanziario al governo. Anche il governatore Fontana, altro simbolo del potere inadeguato ma impermeabile, trova che “questa è una serata un po’ speciale, resa possibile grazie alle vaccinazioni”. Le vaccinazioni? 
Se mai la fanatica, terrificante campagna sull’obbligo vaccinale come la pretende la Germania, padrona dell’Europa. Sono pronti a ricattare i poveri cristi levandogli il lavoro o la pensione. “L’assistenza”, come dice l’ex capo cigiellino Cofferati per dire che i malati, se non si adeguano, vanno portati alla morte. Quanto ai bambini, tutti in fila dai sei mesi in poi o magari anche già feti “e speriamo che vada bene”, come dice l’Aifa, voce della scienza e un po’, ma solo un po’, anche delle case medicinali. Se non va bene saranno tragedie vere, non da opera lirica, ma tutto questo tra gli stucchi, i velluti e i lampadari della Scala non entra, non deve entrare. “Godiamoci questa serata”, come dice il sindaco piddino Sala.
Così va il mondo nell’epoca della pandemia. Anche un dramma shakesperiano, verdiano, risorgimentale viene buono per il regime, la sua propaganda, il suo razzismo, il suo disprezzo verso i poveracci, organicamente più soggetti ad infettarsi e a contagiare. Quelli, come dice il senatore a vita Monti, che non hanno gli strumenti culturali, insomma sono analfabeti, mentecatti e gli andrebbero somministrate informazioni e legnate di regime. Detti anche “sorci, asini, topi”, come usa il Burioni da foyer e tappeto rosso, scienzato da tutto e il contrario di tutto. In questo tripudio del basso registro, segno dei tempi, segno di sicuro basso impero, mancavano i più degni rappresentanti, i Ferragnez. Peccato, sarà per l’anno prossimo. Che tragedia però, una Prima scaligera ridotta a liturgia da TikTok.