L’eutanasia di “Mario” non è fine vita, è fine morte

“Mario” ha ottenuto la possibilità di farla finita, il Comitato etico dell'azienda ospedaliera che l'ha in carico – non in cura, in carico – ha sancito il suo diritto


INTERAZIONI: 170

“Mario” è un non vivo da dieci anni, da quando un incidente gli spezzò la colonna vertebrale. Da allora “Mario”, che non si chiama così, è umiliato in ogni istante della sua vita ed ogni istante lui odia ed ogni istante è un masso sulla sua coscienza. “Mario” sta a Pesaro nelle Marche ed è un sepolto vivo: “Non ho bisogno che qualcuno mi spieghi quanto sia bella la vita, che ne abbiamo una sola e che questa vada vissuta fino alla fine. Questo, per me, significa sopravvivere”. No, è sottovivere. Sotto ogni istante. “Mario” ha infine ottenuto la possibilità di farla finita, il Comitato etico dell’azienda ospedaliera che l’ha in carico – non in cura, in carico – ha sancito il suo diritto, primo caso in Italia; non dovrà affidarsi, come altri prima di lui, a chi lo porta in Svizzera, come una valigia, per potersi spegnere.
Dicono, scrivono che “adesso Mario potrà morire”. Non è così, Mario potrà smettere di morire: è molto diverso. “Mario non ha mai vissuto un istante negli ultimi dieci anni, ha respirato rabbia, umiliazione, rimpianto, nostalgia, e quella solitudine indicibile che ti seppellisce ancora vigile. Chi ha più diritto di “Mario” di smettere il suo inferno? Un altro Mario, Monicelli, scopre di avere un tumore e a quasi 90 anni preferisce buttarsi dalla finestra. Indro Montanelli difendeva l’eutanasia: “Il padrone della mia vita sono io e con ciò anche della mia morte”. Montanelli, Monicelli, non erano credente (ma poi chissà), e se ne tormentavano, ma il punto non è questo. Il punto è provare come si sta nella prigione di carne di “Mario”. Certo, la Chiesa non può, non potrà mai avallare il fine vita, chiamatelo suicidio, eutanasia, termine assistito, non è importante. Ma la Chiesa non può neppure continuare con l’ambiguità, ufficialmente te lo vieto, in realtà ti aiuto a spegnerti: non è rispettoso, non è dignitoso per chi già vive all’inferno, senza colpe da scontare, e magari si affida a un Dio che non può non comprendere, non può non piangere di pietà per tutti i Mario della terra. Sentite il vicepresidente del movimento Pro vita, Jacopo Coghe: “Guardiamo a questa storia drammatica con grande rispetto, ma restiamo fermamente contrari ad ogni forma di suicidio assistito e di eutanasia”. E questo sarebbe il grande rispetto? No, questa è indifferenza al limite del cinismo quando ci vorrebbe comprensione e compassione. Dopodiché si mette a cavillare sul senso giuridico del comitato etico. Che ne sa Coghe di come davvero si sta quando si cade “come corpo morto cadde”? E il cardinal Bassetti, quello per cui chi non si vaccina è contro il Vangelo, non può cavarsela con le farneticazioni sul rispetto della “persona umana”, ma che razza di modo di esprimersi è questo, ma dove sono finiti i prìncipi della Chiesa?
D’accordo, discutiamone pure, diciamo pure che la faccenda è tremendamente rischiosa, che rischia di introdurre il suicidio di Stato, di delegare a un giudice la decisione. Ma, alla fine delle speculazioni, nessuno può sapere il deserto intorno a “Mario”; dentro “Mario”. Ed è incredibile che una tale abissale condizione, che va oltre la sofferenza, possa venire liquidata con una formula pretesca, “guardiamo con rispetto” e statti buono per anni e anni da sepolto vivo.
Chi scrive, quel limbo insostenibile l’ha sfiorato tante volte, l’ha toccato, gestito, ascoltato in tutte le sue lacrime quando, tanti e tanti anni fa, spendeva il suo anno di servizio civile come obiettore di coscienza: dire che quella “non è vita” non può rendere neppure sideralmente l’idea di qualcosa che va oltre la pena, oltre la disperazione, oltre l’angoscia, oltre l’incubo, oltre l’inferno stesso, oltre ogni cosa. Oltre il dicibile, il pensabile. Ora, si può litigare all’infinito a colpi di libri sacri, di tomi filosofici, di culti religiosi, di dottrine politiche, laicismo contro confessione, padri della Chiesa versus pensatori atei o agnostici, ma è tutto un girarci intorno: nessuno di questi può sapere, perchè nessuno ha vissuto un solo istante nell’eterno presente senza tempo di chi è paralizzato. Una volta sentii uno di loro definirsi “una farfalla in uno scafandro”: non mi sono mai tolto dalla mente quella definizione, non ha mai smesso di lacerarmi, non so più che fine abbia fatto, se sia ancora nello scafandro o la farfalla abbia smesso di non volare, per cedimento o per volontà. Da credente, penso che l’ultima parola possa averla solo Iddio, e non gli uomini: in un senso o nell’altro. Penso anche che Dio saprà capire, se mai perdonare, perchè anche l’anima più eroica si schianta a restare in croce senza termine: e Dio questo non lo vuole.
Ci sono protocolli severi, regole stabilite dal Comitato etico per consentire la scelta di “Mario”, ed è bene che sia così e non potrebbe essere altrimenti: tanto per dirne una, egli potrà cambiare idea fino all’ultimo istante. Ma non la cambierà. È già altrove, e dopo tanto inferno, l’unico profumo di paradiso lo respira pensando a quando si addormenterà. Basta rincorrere i suoi viaggi in camion, le domeniche a giocare a pallone, il lusso sfrenato di una passeggiata che non si sospetta fino a che non ti viene negato. Basta sentirsi un fardello, un peso, un coso da trasportare, da nutrire e purgare e pulire e ricominciare da capo. Basta vedere la vita, quella vera, stenta, puttana ma vita degli altri che passa con gli occhi pietosi e i racconti di chi non ha un cazzo da dirti. Basta chiedere a Dio: perchè proprio a me? Basta cercare spiegazioni, illuminazioni, e una pace che non può, non può arrivare. Basta chiedere di reggerti la sigaretta per tirare una boccata. Basta con tutti quei Natali che non esistono, con il risveglio della primavera fuori dalla finestra, con le estati che scorrono a un metro, irraggiungibili, piene di ragazze con le tette sotto la camicia. Basta con tutto, questo niente che è tutto, questo tutto che è fatto di niente. Basta silenzio che esplode di notte, che divora di giorno. Basta. Un infinitesimo movimento dell’ultima falange del dito mignolo, unica cosa viva in un corpo deserto, ed è finita: io decido, io avvio il veleno, io me la vedrò io con Dio, ma sono sicuro che sarà là ad aspettarmi a braccia aperte. Si parla tanto di fine vita, ma voi, questa, come potreste mai chiamarla vita?