Universal de profundis

Se fossi Massara, Presidente della Universal, rassegnerei al più presto le mie dimissioni, perché essere ricordato come quello che ha smantellato quella che era un’eccellenza deve essere proprio brutto


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Dice, sei come un disco rotto, stai sempre lì a lamentarti del livello dei discografici attuali, quelli di casa nostra, manco quelli del passato fossero tutti da ricordare come meritevoli o encomiabili. Ecco, un disco rotto.

Partiamo da qui.

Fosse per i discografici attuali di dischi rotti non ce ne sarebbero, perché non ci sarebbero proprio i dischi, intesi come supporti fisici, a vantaggio di quella gran cagata che risponde al nome di streaming, che nei fatti sta, al momento e solo al momento, arricchendo loro, i discografici, e affamando gli artisti, che poi sarebbe come essere uno che lavora nel mondo dei cavalli da corsa, che paragone orribile che mi è scappato fuori, vedi a parlare di discografici, e invece di pensare a prendersi cura dei cavalli e al limite dei fantini, li tiene a stecchetto dando loro da mangiare merda pur di riempirsi la propria pancia. Sai quanto tempo durerebbero? Loro, i discografici, che quando è arrivato l’MP3, e quindi il file sharing, hanno sorriso sornioni, loro la sanno lunga, dicendo che nessuno avrebbe abbandonato il supporto fisico, salvo poi piangere che la pirateria è il male assoluto, e vuoi mettere come è bello ascoltare la musica in vinile, il fruscio e quella roba lì, vinile che oggi spesso riporta i suoni digitali, alla faccia dell’analogico. Io mi lamento dei discografici italiani di oggi perché vivo in Italia oggi, certo, e viene sempre facile lamentarsi dell’oggi rimpiangendo un passato lontano, magari anche un passato che non si è mai vissuto, figurati se mi sono inventato io la nostalgia, o quella che Simon Ryenolds chiama Retromania. Solo che, nel mio caso specifico, c’è un dettaglio non da poco che pesa sul giudizio, e quindi sulle mie lamentazioni, conosco i discografici di oggi, vedo e so come lavorano, e non vedo perché mai dovrei star qui a difendere l’operato di chi, seppur senza colpe all’origine, diciamolo, i nostri discografici italiani non contano un cazzo a livello globale, stanno facendo di tutto per rovinare un quadro già piuttosto rovinato di suo. Mi spiego meglio, tanto per non star qui a rimanere sul vago, sia mai che qualcuno pensasse che sto sparando sul gruppo per il gusto di sparare sul gruppo, come un Brevik che se ne frega della religione, della razza e di dar seguito alla propria follia e preferisce occuparsi di facezie come il mondo della canzonette. Prendiamo una major qualsiasi, magari la più grande nel ristretto gruppo delle major, la Universal. Prendiamola e mettiamo subito in chiaro che sì, ho un conto in sospeso con questa azienda, o meglio con alcuni dei suoi dirigenti, l’azienda in sé non mi ha fatto niente, e ho conti sospesi con alcuni dirigenti per motivi noti che, comunque, sarà mia premura andarvi a riassumere nelle prossime frasi.

Ma un passo alla volta.

Hai un repertorio importante in archivio, artisti di prima fascia nel roster, anzi, gli artisti di prima fascia, perché hai Vasco Rossi, Zucchero, Jovanotti, Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti, Cesare Cremonini, per fare qualche nome, non esattamente gli ultimi arrivati, più tutto un bailamme di nomi di seconda fascia, parlo di numeri, l’arte stavolta la lasciamo serenamente da parte, da Emma Marrone, Dio mi perdoni, a Caparezza, da Brunori SaS a Tommaso Paradiso, Dio mi fulmini, Mahmood, per non dire dei trapper e affini, Blanco, Sfera Ebbasta, Gué Pequeno, Marracash, Rkomi, Ernia, chi più ne ha più ne metta (io molti li brucerei artisticamente vivi, senza manco condanne di eresia). Invece di pensare a dividere realmente le componenti, lavorando su più fronti, il nuovo, il classico, il giovanile, decidi sì di dividere in tre divisioni artisti e repertorio, ma poi punti incredibilmente tutto sulla sola Island, che per altro hai affidato a uno che fino a poco tempo fa portava il caffè con le bustine di zucchero e il cucchiaino di plastica agli ospiti, o al limite accompagnava gli artisti, come accompagnatore, appunto, non certo come direttore artistico, uno con la vitalità di un disco rotto, questo sì, e il carisma di una scatola di pizza usata, lasciando che gli altri due reparti, la Virgin affidata a Sala, Mario Sala, non Beppe il sindaco, ovviamente, e la Polydor, affidata a Graziano Ostuni, affondino giorno dopo giorno, abbandonate al loro destino. Quando poi, succede, si avvicina il momento delle strenne, quella parte dell’anno in cui in genere escono i blockbuster, quei nomi altisonanti che fanno parte della storia di una casa discografica, il cui repertorio tengono in vita le edizioni e anche la parte destinata alla grande distribuzione, ecco che decidono di accompagnare i lemmings verso il burrone, indicando un punto all’orizzonte, in mezzo al mare. Quindi ecco che Alessandro “Bruce Wayne” Massara, il presidente in auge da oltre un decennio, quello del vivi e lascia morire di maccartyana memoria, prima licenzia Fausto Donato,uno che comunque di musica ne capisce, cosa rara da quelle parti, fatto arrivare tre anni fa da Roma, con famiglia al seguito,  e poi allontanato senza tanti fronzoli dopo i due anni più di merda della storia dell’umanità, non certo della sola discografia, poi ecco che licenzia anche Graziano Ostuni, direttore della medesima divisione, la Polydor, giusto un anno dopo il suo famoso, tra addetti ai lavori, post nel quale raccontava la tremenda esperienza fatta in terapia intensiva, col Covid, una foto di lui a letto a accompagnare parole non certo leggere.

Voci di corridoio dicono che Ostuni sia stato allontanato alla maniera delle multinazionali americane, e la Universal è appunto una multinazionale, seppur francese, una convocazione dal presidente e poi via, senza neanche modo di salutare i collaboratori. Immagino come la stiano vivendo appunto i collaboratori, e anche lo stesso Mario Sala, che se tanto mi da tanto ha il nome appuntato da qualche parte, lì nel libretto nero di Batman. Ora, io non metto piede in casa discografica da un pezzo, da quando ho cioè raccontato certe storture, e magari, sì, diciamolo, da che ho raccontato queste storture lasciandomi andare a qualche sfottò, vedi alla voce “Gino con le mutande” (lo trovate qui https://www.optimagazine.com/2019/02/19/addio-e-grazie-per-il-pesce/1378334), ma nei fatti ho subito una fatwa con tutti i crismi, non invitato neanche alle conferenze stampa degli artisti con cui lavoro o ho lavorato, vedi Vasco e Cremonini, per non dire di Caparezza, tagliato fuori dalla promozione a Sanremo, assolutamente vietato rivolgermi la parola, salvo che per espressa volontà di alcuni artisti, nessun invio di nuovi lavori, neanche i comunicati stampa, niente di niente. E in questo, sapendo che il suddetto Gino con le mutande non riuscirebbe a fare bene neanche un dispetto, se sei Gino con le mutande lo sei per sempre, è un fatto, il pisello non cresce mica con lìetà, semmai si allungano le palle, ma è un altro discorso, posso ben immaginare che Ostuni abbia avuto un suo peso specifico, certo non simpatico a chi ha pubblicato nel tempo Emma o Ferro, io che li ho sempre presi a badilate, ma da qui a vederlo allontanare come un ladro, senza tanti fronzoli e pacche sulle spalle, mi sembra ce ne corra parecchio, anche perché il suo allontanamento avviene proprio a ridosso dell’uscita di buona parte dei suoi artisti, quelli che lui ha firmato e che lui hanno come punto di riferimento, penso a Zucchero, in uscita col suo album di cover, a Jovanotti fuori con il nuovo singolo come anche Cesare Cremonini e agli altri. Certo, a sostituirlo è stato chiamato colui che prima svolgeva il ruolo di Ostuni per tutta la Sony Music Italia, Daniele Menci, a sua volta allontanato dal presidente di quel consesso, Andrea Rosi, dall’oggi al domani, il che potrebbe indicare una volontà di cambiare i propri player, fisiologico in una grande azienda, ma la sensazione, e lo dico consapevole che la presenza di Menci in Maciacchini potrebbe solo voler dire la fine della fatwa per me, non fossi qui ora a scrivere queste parole, la sensazione è che il suo ruolo sia piuttosto quello del tagliatore di teste, chiamato cioè a accompagnare alla porta quei nomi ingombranti di artisti di un tempo, artisti che hanno fatto la storia e ancora la fanno, ma che rispetto a quegli scappati di casa che girano oggi costano decisamente troppo e poco girano su Spotify.

Poi posso anche sbagliarmi, è chiaro, ma che la Universal Italia stia puntando tutto sulla fuffa, leggi alla voce trap e Spotify e che quindi non abbia interesse alcuno a trattenere nomi anche storici, gente che ha il difetto di fare dischi in studi di registrazione, costosi, con musicisti, costosi, lavorandoli mesi, se non anni, sai a puntare sulla qualità. Altrimenti come guardare all’uscita a sorpresa del nuovo album di Marracash, proprio con già fuori Vasco da una settimana e in contemporanea a Zucchero? Non perché Marracash sia fuffa, intendiamoci, tra i rapper è uno dei migliori, ma andare a sovrapporre testa di serie con testa di serie è frutto o di incapacità o di malafede, non se ne esce. Tutto questo potrebbe essere letto come un cambiamento inevitabile, siamo nel 2021, quasi il 2022, perché mai si dovrebbe continuare a pensare alla musica come la si pensava un tempo, le classifiche presentano quei nomi lì, i Blanco, gli Rkomi, gli Ernia, mica i Pink Floyd. Ah, no, i Pink Floyd stanno ancora in classifica, a distanza di quasi cinquant’anni, è vero, e nei film, negli spot, usano i pezzi del repertorio, mica i pezzetti pret a porter che usano oggi, facciamo finta che io non abbia iniziato questo discorso. Davvero difficile deve essere regnare su Gotham, oggi, il buio fitto anche di giorno, il male che si è addentrato anche nei salotti buoni, la corruzione, si sta allestendo un parallelismo, non sto dando del corrotto a nessuno, sia chiaro, che dilaga, ma fossi in Alessandro Massara, lo confesso, rassegnerei al più presto le mie dimissioni, perché essere ricordato come quello che ha smantellato quella che fino a un po’ di tempo fa era un’eccellenza deve essere proprio brutto, e il dire che si eseguono gli ordini arrivati da oltreconfine non è certo una attenuante. Comunque è sempre meglio andarsene prima che un giorno non arrivi una telefonata del capo supremo che ti dice di raccogliere le tue cose e andartene senza neanche salutare i tuoi collaboratori, se vuoi sapere cosa si prova basta chiedere a Graziano Ostuni, tanto alla sua età di tempo libero per risponderti deve averne parecchio, troppo giovane per andare in pensione ma anche troppo vecchio per trovare posto da qualche altra parte.