Zucchero canta la vita, attraverso le canzoni degli altri

Zucchero è un artista incredibile, come i vini buoni col tempo si è impreziosito, arrivando a affinare una modalità interpretativa in grado di spostare verso sé qualsiasi brano


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Quando quello che sembrava un incubo destinato a terminare di lì a poco, poveri ingenui che non siamo altro, il lock down che per quasi due mesi ci aveva tenuti tutti reclusi in casa, agli arresti domiciliari causa Covid19, apparentemente era sul procinto di finire, il 2 maggio 2020, Zucchero affrontava il suo pianoforte e una piazza San Marco, a Venezia, insolitamente vuota, uno scenario fantasma, agghiacciante, regalandoci la propria versione di quel gioiello che Michael Stipe aveva scritto insieme a Aaron Dressner dei The National, No Time For Love Like Now divenuta sotto le cure del cantautore emiliano Amore adesso. Uno spettacolo emotivamente carichissimo che in tanti abbiamo seguito a distanza, in video, da tutto il mondo, il tentativo di uno dei nostri artisti più amati e seguiti di esserci, e di esserci per rimarcare la propria volontà di raccontarci il presente, certo, ma anche per sottolineare una incapacità di stare fermi, l’arte come risposta alla crescente apatia che da quel momento sarebbe diventata per molti compagna fedelissima.

Da quel momento Zucchero, che avrebbe dovuto affrontare il mondo D.O.C. World Tour, ha iniziato un suo personale corpo a corpo con la contingenza, prima con la pubblicazione del D.O.C- Deluxe Edition, che presentava il suo ultimo lavoro di studio arricchito di sei nuovi brani, tra i quali spicca indubbiamente il singolo September, scritto e interpretato con il suo vecchio amico Sting, e ancora,portando la sua musica in giro, per quanto possibile, in versione unplugged, al suo fianco due giganti come Kat Dison e Doug Pettibone, questo suo rivedere il suo ultimo lavoro e anche le sue perle del passato, troppe per finire nella scaletta di un solo concerto e di un solo album, va detto, in qualche modo cristallizzato nel lavoro Inacustico D.O.C: & More, uscito a maggio 2021, a un anno da quell’incursione in una agghiacciante piazza San Marco.

E infine, arriviamo a oggi, l’uscita di un album cui Zucchero ha pensato da lungo tempo, da anni, oltre cinquecento le canzoni prese al vaglio, un album finalmente fermato su disco, approfittando di questo periodo così anomalo, magari non per lui ma per il resto del mondo di standby, per realizzarlo, parlo di Discover, raccolta di brani altrui che vede la luce in queste ore e che ci propone uno Zucchero in grande spolvero.

Una mole di lavoro incredibile, a volerla dire tutta, quella che ha portato avanti il nostro in questi ventuno lunghi mesi, mentre i colleghi, in buona parte, stavano nascosti dietro un rassicurante e anche vagamente ipocrita #IoRestoACasa, incapaci, si direbbe a fare i conti con la propria vulnerabilità. Una mole di lavoro che ha in Discover il suo culmine, lavoro che ci mostra tante anime diverse, unite da un collante unico, mica da ridere.

Se infatti, a orecchio o occhio distratto Discover potrebbe sembrare un album apparentemente fluido, mettere nella stessa tracklist cover dei Coldplay, Chris Isaac, Concato o Bocelli, per fare qualche esempio, sono infatti presenti, tra le altre, The Scientis, Wicked Game, Fiore di maggio e Con te partirò, potrebbe apparire come una scelta bislacca, confusa, è invece indubbio, ascoltare attentamente per credere, che il trattamento “alla Zucchero”, quella formula ormai rodatissima e pur sempre magica di affrontare la musica di petto, masticarla e metabolizzarla, farla propria, a metà strada tra l’Appennino tosco-emiliano e New Orleans, una dobro national a intessere tessuti sonori, un giro di basso funky a pulsare il giusto ritmo, la sua voce sempre presente, consolatoria e laicamente mistica, è davvero il filo rosso sangue che collega ogni singola traccia, dando un senso a quello che sulla carta un senso non avrebbe.

Zucchero è un artista incredibile, come i vini buoni col tempo si è  impreziosito, arrivando a affinare una modalità interpretativa in grado di spostare verso sé qualsiasi brano, da Human di Rag ‘n’ Bone Man a Follow You Follow Me dei Genesis, per dire le differenze di genere e epoca nel quale è andato a pescare. Tutto quel che tocca, come da mitologia, diventa non solo d’oro, ma inesorabilmente suo, incredibilmente suo, prova ne è il suo reimpossessarsi di Luce (tramonti a nord est) di Elisa, che a suo tempo ha contribuito a scrivere, suo il testo, e che stavolta, seppur con un breve cameo della cantante friulana, stravolge con un tappeto sonoro assolutamente azzeccato, o la versione a alto tasso di emotività di Ho visto Nina volare, qui sì con un cameo cameo di Faber, gentilmente offerto da Dori Ghezzi, e solo Dio sa quanto sia difficile per chiunque affrontare una prova come coverizzare De André. Irrilevante, ma questa è opinione più che parere, la presenza di Mahmood, al fianco di Zu in Natural Blues di Moby, mentre è assolutamente pertinente la voce di Bono nella versione italiana della sua Let Your Love Be Known, qui divenuta Canta la vita.

Ora, così succede oggi, un lavoro così importante, perché solo da noi un album di cover viene guardato con sufficienza, se non addirittura con sospetto, dovrà affrontare la sua prova più difficile, quella cioè di andare a vedersela con le uscite pret a porter dei trapper che tirano fuori a sorpresa le loro, Dio mi perdoni, opere, roba sciatta fatta con due spicci in un pomeriggio uggioso, Spotify eletto arbitrariamente a giudice supremo. Già solo pensare che un lavoro così curato, ogni singolo musicista è stato scelto con attenzione in giro per il mondo, perché portatore di un determinato suono, venga poi ascoltato in quella maniera è deprimente, il fatto che in qualche modo quello che oggi sembra essere stato eletto a mercato unico, lo streaming, sarà anche in grado di decretare l’andamento di questo lavoro, a decidere se di successo o meno si tratterà, rasenta il paradossale. Non fosse che la musica, viva Dio, non è certo da giudicare in base al successo posticcio degli stream, ma per il suo valore artistico e anche per un riscontro presso un pubblico reale, quello che poi esce di casa per venirti a vedere in concerto, ci sarebbe da dire a Zu di starsene buono in attesa che questo mondo posticcio imploda, perché è evidente che questo castello di carte ha i mesi contati. Lui, però, che è spirito libero, se ne fotte, e continua fortunatamente a incidere album che suonano come Cristo comanda, la cura nell’incisione tenuta alta anche nel momento in cui si è inciso a distanza, il solo Max Marcolin con lui fisicamente in studio, nessun dettaglio lasciato al caso, anche in fase di mix.

È proprio vero, quando tutto sembra perduto c’è sempre un eroe a salvarci la vita, o a cantarci la vita, con le canzoni degli altri.