Roberto, il suo furgone e ciò che resta di un uomo a cui la pandemia ha spazzato via tutto

Uomini vittime collaterali della pandemia e soprattutto di un governo che non si è occupato delle conseguenze di ciò che faceva

Lifestyle of the big city during coronavirus pandemic time. Using protective facial masks. Spring sunny day. Homeless man wearing medical mask and sleeping at the city street. He lost job.


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Di lui non hanno detto nulla, neanche il nome. Però, siccome il furgone ha una scritta colorata sulla fiancata, “Robert music”, non ci resta che chiamarlo così. Roberto e il suo furgone sono una cosa sola, tutto ciò che resta. Un uomo e la sua casa, un vecchio Ford Transit farcito all’inverosimile di carabattole per fingere che sia ancora vita. Lì dentro, da qualche parte perso nel deserto di Roma, Roberto mangia, col fornelletto a spirito come i disperati di Simenon. Dorme. Sogna. Combatte i fantasmi. Ricorda. Sfoglia i suoi album di prodezze in altre vite: ne ha avute tante, a quanto racconta all’inviato di Quarta Repubblica: generico utilità nel cinema, saltimbanco, mangiafuoco, animatore di feste per bambini, musicista, uno che si arrangiava, saltimbanco della vita, spirito libero e forse temerario, convinto che la vita offrisse sempre un gancio. Ma un giorno la pandemia ha spezzato e spazzato via tutto, basta con le comparsate, niente spettacoli, nessuna occasione. Roberto non aveva serbato niente, non aveva nessuno, e accontentarsi anche di ciò che non aveva non è bastato più. Fine dei giochi. Il furgone.
Qualcosa, in verità, a Roberto restava; e quel pochissimo è bastato a metterlo fuori gioco: per due spiccioli non c’è arrivato al reddito di cittadinanza, 250 euro di troppo sui 6000 previsti: sono evaporati in fretta e non c’è stato altro. Il furgone. Dev’essere un tipo onesto, Roberto, al limite uno di quelli che campano di espedienti ma così, con l’innocenza dei buoni diavoli. Se no il reddito di cittadinanza lo aveva, gli sarebbe bastato far parte della mafia o almeno corrompere qualche funzionario. Perché funziona così, non è vero? Lui ha solo i suoi lunghi capelli bianchi, l’eloquio preciso, pulito di chi ha imparato vivendo e due occhi leali che si riempiono di lacrime. Sono uomini a perdere, vittime collaterali della pandemia o, più esattamente, dei governi che non si sono occupati delle conseguenze di ciò che facevano, i lockdown, le restrizioni, gli obblighi fanatici, serviti a meno di niente, serviti a potenziare una crisi già latente, adesso inarginabile e irreversibile. Sono i caduti necessari di una guerra che non c’è, i dispersi tenuti a “fare qualche sacrificio”, come dice il nostro presidente Mattarella che crede nella scienza e ammonisce a non cedere a tentazioni di libertà. Ma che ne sa più Roberto di libertà, lui che vive libero da tutto, prigioniero in un rottame a guisa di furgone? “No, i miei amici non sanno che sono ridotto così. Perché non l’ho detto? Per una questione di dignità, forse anche di orgoglio. Certo, magari adesso mi vedranno, dopo questa intervista, e allora…”.
Allora come si sta, Roberto, la notte quando chiudi fuori il mondo che ti stritola e il furgone è una difesa di carta contro ogni pericolo? Quanto rumore fanno i suoni della notte, le sue desolazioni, i fantasmi delle tue tante vite? Tu, personaggio da romanzo, spettro di Simenon, con chi condividi la tua condizione di latitante della società e dell’esistenza? Quanti come te ormai? Quanti caduti dall’ultimo gradino della società e rotolati in fondo ad un furgone? Vi sentite, vi aiutate? Oppure è già abbastanza difficile tirare questo straccio di vita che rimane?
Nessuno lo sa quanti siete, ma sappiamo che siamo sempre più a restare a un passo da voi. Uno su due arranca, quattro su dieci in fila alla Caritas per un piatto di minestra, la stessa Caritas che ti concede due docce la settimana, Roberto. Come si sta quando il mondo ti vortica intorno e non ti vede e tu avresti ancora da fare, saltimbanco della vita, ma qui non succede niente, non riprende niente e quelli lassù litigano su cose lunari? “E’ andata così” dici, e gli occhi s’invadono di lacrime, le lacrime dei deragliati che sono peggio di una coltellata. Eppure i ricchi ci stanno, e, dopo la pandemia che non finisce, sono ancora più ricchi. Avessi due soldi, dico due, verrei a cercarti, a portarti via da quel furgone. Lo troverei un lavoro per te. Custode, tuttofare, saltimbanco, chissà. Nessuno può vivere così. Nessuno dovrebbe. Troppi lo fanno. E saranno di più, perché se c’è una cosa che abbiamo capito, è che quelli lassù sono degli inetti. Anche cinici, se ne fregano, stanno troppo lassù, troppo sulla luna e gli unici drammi sono quelli loro, egolatrici di un potere che non lasceranno mai. Un miliardo e duecento milioni di euro per ottocento milioni di mascherine tossiche, tangenti per settanta, ottanta milioni, affari colossali dietro la pandemia. E poi un furgone che fa da casa, troppo pieno di niente per muoversi. Quel furgone, è lo specchio del Paese. Non altro. Non i ministeri o le terrazze o le villa Paradiso o Inferno dei luridi che ci vanno a drogarsi per scopare, a scopare per drogarsi. Non i salotti e salottini pieni di tragedie insopportabili, faide tra leccaculo, predicatori in carriera, spioni e voltagabbana. Chi lo sa, Roberto, se dopo il servizio di Quarta Repubblica o magari, perché no, questo articolo, qualcuno verrà a stanarti, a regalarti un’altra vita, l’ultima. Sognare non costa niente, non dicono così? Ma non è vero, sognare a volte costa troppo e gli occhi s’allagano di lacrime mentre fuori il mondo si chiude sul furgone.