Marilyn Ha Gli Occhi Neri, la fatica di vivere e il bisogno di tenerezza

Stefano Accorsi e Miriam Leone sono due persone affette da disturbo della personalità che provano a rimettere insieme i pezzi della loro vita. Il film di Simone Godano trova, grazie agli attori, una misura in bilico tra commedia e serietà

Marilyn Ha Gli Occhi Neri

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Con Marilyn Ha Gli Occhi Neri, il loro terzo sodalizio, la coppia composta da Simone Godano alla regia e Giulia Steigerwalt alla sceneggiatura compie un deciso passo in avanti. I loro primi due film, Moglie e Marito – che partiva dall’assunto fantastico da film anni Ottanta di un uomo e una donna che si scambiano le identità – e Croce e Delizia – sulla passione omosessuale tardiva di due uomini di mezza età – puntavano su racconti abbastanza stereotipati delle identità di genere, aggravati da una recitazione spesso giocata sugli effetti più appariscenti.

A voler sottolineare un primo pregio invece di Marilyn Ha Gli Occhi Neri, prodotto dalla Groenladia del vivacissimo Matteo Rovere insieme a Rai Cinema (distribuzione quindi targata 01) è proprio nell’interpretazione dei due protagonisti, Miriam Leone e Stefano Accorsi, nella parte di due “diversi” affetti da disturbi della personalità. Lei, Clara, è una bugiarda cronica, sedicente attrice con tendenze piromani, lui, Diego, è un eccellente cuoco però incapace di gestire una rabbia esplosiva che gli sta rovinando l’esistenza. Ebbene, alle prese con due ruoli in bilico tra normalità e follia, nei quali sarebbe facile indugiare negli espedienti più esteriori, entrambi trovano una misura credibile, con piccoli dettagli fisionomici, il colore degli occhi, una pettinatura bizzarra, che li aiutano a cambiare quel tanto che basta per indossare un ruolo che non scade mai nel personaggio e prova a delineare una persona. Al punto che, ed è un complimento, lo spettatore – o perlomeno lo spettatore che sono io – si dimentica di star guardando Miriam Leone e Stefano Accorsi e si interessa alla storia di Clara e Diego.

I quali, in Marilyn Ha Gli Occhi Neri, s’incontrano in un centro diurno per la riabilitazione di persone con problemi, insieme ad altri individui dalle vite difficili, una donna con la sindrome di Tourette con improvvise esplosioni di turpiloquio o paranoici che credono di vivere al centro di un grande complotto. Volendo rimettere in piedi in qualche modo le loro vite – Diego ha perduto il lavoro per aver distrutto il ristorante e s’è adattato a vivere dal vecchio padre (Marco Messeri), potendo vedere pochissimo la figlia adorata – trasformano quella che è un’attività immaginata a scopi solo terapeutici, ossia cucinare tutti insieme, in un’impresa vera e propria, un ristorante, ovviamente chiamato Monroe, che ha la particolarità di un menu composto di una sola portata al giorno, gestito dal gruppo di frequentatori del centro di riabilitazione.

L’idea nasce un po’ casualmente, dato che Clara aveva creato il profilo fake di un ristorante immaginario sui social fatto talmente bene da attirare un’enorme quantità di avventori – il tipo di storia talmente inverosimile da essere ispirata, ovviamente, a un fatto realmente accaduto. E, con quel tanto di tenero e fiabesco che una trovata di sceneggiatura del genere comporta, si trasforma nella scommessa esistenziale attraverso la quale, tra cadute, tendenze autodistruttive, paura di farcela e voglia di farcela, Clara e Diego provano a riordinare i pezzi malconci della loro esistenza.

Il modello narrativo di Marilyn Ha Gli Occhi Neri rimanda scopertamente a Il Lato Positivo di David O. Russell, forse anche con una memoria del racconto delle vite irregolari de La Pazza Gioia di Paolo Virzì. Simone Godano e la Steigerwalt s’impegnano a evitare le scorciatoie dei luoghi comuni e della eccessiva tipizzazione, e anche la retorica dell’anormalità come genio e poesia. Il regista, in maniera un po’ facile, pensa di trovare una sensazione di realismo e veridicità in uno stile che ricorre allo zoom e a un linguaggio qui e lì da cinema documentario, anche se poi la chiave su cui punta il film, però con pudore e senza fretta, è la commedia romantica incentrata su due vite che s’incontrano nonostante tutto, anzi proprio grazie alle proprie sghembe, e umanissime caratteristiche.

Una delle cose più indovinate di Marilyn Ha Gli Occhi Neri è il ritratto di una Roma quasi invisibile, scenario che non fagocita mai la storia con la sua identità assorbente, trasfigurata in un fondale neutro, per nulla connotante una vicenda che invece resta fissa sui protagonisti, i loro sussulti, la loro fatica di vivere. Che, fatta qualche differenza, non è poi troppo diversa dalla fatica di vivere di chiunque altro. Il che lascia alla fine un’impressione, se non di un grande film, di un racconto che sa dosare curiosità, rispetto e dolcezza.