Cosa unisce Sex Pistols, Led Zeppelin, Nirvana e Maneskin

Il rock e il punk, musicalmente, con i Maneskin nulla hanno a che fare, e a dire la verità l'unico motivo per cui sono stati citati nel titolo è solo per opportunismo


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Nei giorni scorsi è circolata la notizia dell’esito finale della querelle che vedeva contrapposti John Lydon, un tempo Johnny Rotten, cantante e frontman dei Sex Pistols, da una parte, gli altri membri del gruppo e il regista Danny Boyle, dall’altra. Querelle che ha visto questi ultimi uscire vincitori dalle aule del tribunale inglese. Oggetto del contendere l’utilizzo della musica della band in una serie alla band dedicata e dal regista di Trainspotting, tra gli altri, diretta di prossima uscita. In sostanza John Lydon si opponeva a che Boyle girasse la serie, non essendo stato coinvolto nel progetto e lamentando il fatto di essere stato incontrovertibilmente il leader del gruppo, quindi il più titolato a raccontare come siano andate le cose. In effetti, in assenza di Malcolm McLaren, l’iconoclasta manager/inventore del progetto Sex Pistols, e morto ormai da una vita, è il caso di dirlo, Sid Vicious, che della band non era affatto frontman, relegato per qualche tempo al basso e comunque non troppo loquace, comunque incarnazione perfetta di quella furia “no future” che il punk per molti ha rappresentato, è indubbio che la voce e la faccia di Johnny Rotten, permettetemi un tocco di nostalgia, abbia un peso specifico altissimo. Solo che Boyle voleva raccontare la sua storia e per raccontare la sua storia, evidentemente, Lydon non serviva, o più presumibilmente era troppo ingombrante. Quindi avanti tutta, e quindi via in tribunale, e ora avanti tutta senza neanche intralci. Boyle è regista abile, Trainspotting è stato per certi versi, pensate alla scena di fuga e monologo ininiziale, “Scegli la vita” che accompagna la corsa di Mark Ranton con Lust for Life di Iggy Pop a fare da colonna sonora, uno degli incipit più iconici del cinema di fine millennio, oltre che uno degli inni al modo di vivere punk più eclatanti a memoria d’uomo, più eclatanti in quanto rivolto ai non punk, a un pubblico essenzialmente mainstream, Boyle, sì, quindi  un regista abile, la storia di fondo c’è, anche se è già stata abbondantemente raccontata da Julian Temple a suo tempo, la band ancora insieme, ne La grande truffa del rock’n’roll, dopo uno dice che Malcolm Mc Laren era un genio assoluto, ne verrà assolutamente fuori qualcosa di molto interessante. E l’idea che questo qualcosa faccia in effetti infuriare Lydon, uno che ha passato gli ultimi quaranta e passa anni a fare di tutto per distruggere il suo stesso mito, fatto in sé essenzialmente punk, a pensarci bene, cosa c’è di più iconoclasta di chi distrugge la sua stessa icona?, pensate solo alle sue continue incursioni nel mondo della TV spazzatura, roba tipo L’isola dei famosi, per intendersi, rende il tutto ancora più divertente.

Sempre di questi giorni, seppur con un’eco ovviamente minore, più un sussurrio tra addetti ai lavori, un pezzo de La Stampa che raccontando l’arrivo sul Lido di Venezia di Jimmy Page, uno dei più iconici chitarristi rock di tutti i tempi, la sei corde, a volte anche dodici, parte integrante di questa iconicità, dei Led Zeppelin, ha ben visto di lasciarsi andare a affermazioni quantomeno discutibili, per non dire ridicole. Perché se è evidente che chiamare Jimmy Page “il cantante” dei Led Zeppelin è ovviamente un errore da matita Blu, senza possibilità di appello, chiamarlo “frontman” poteva invece essere un modo per prendere le sue parti in una ipotetica disputa, roba da appassionati di rock o da cultori dell’occulto, tra chi tra Plant e Page fosse in effetti lì a tirare le fila, come se la cosa fosse mai stata in effetti in discussione e se esiste qualcuno al mondo, a parte l’amico Omar Pedrini, che ritiene che in una band il cantante non sia naturalmente preposto a attirare su di sé buona parte delle attenzioni. Non che John Paul Jones e John Bonzo Bonham, per altro, stessero lì a scaldare le loro metaforiche, almeno nel primo caso, sedie, per altro. È evidente che chi è stato incaricato da La Stampa del direttore Giannini di occuparsi dell’arrivo a Venezia di Jimmy Page, lì a presenziare alla prima del film che il regista Bernard Mac Mahon ha dedicato alla band dei Led Zeppelin, della suddetta band nulla sapeva e neanche della non recentissima invenzione dell’internet, perché a googolare Led Zeppelin e scoprire che Jimmy Page era il chitarrista, quello dell’assolo chilometrico di Stairway to Heaven, non è che ci volesse poi molto, così come a apprendere che invece il cantante e frontman, le due cose, ripeto, vanno praticamente sempre a braccetto, fosse Robert Plant, oggi ahinoi più ricordato per i calzoni a vita bassa che per quanto di gigantesco fatto in quei mirabolanti primi anni Settanta. Anche questo film, immagino, la ciccia è tanta, sarà da vedere e godersi.

Terza notizia di questi giorni, giusto qualche ora in più in rete, quella di un’altra querelle sgonfiatasi nel giro di poco e destinata a finire negli esami dei corsi di pagliacceria, dedicati a chi vuole dimostrare di avere competenze da clown. La richiesta cioè di una ingente cifra, circa centocinquantamila dollari da parte del titolare del pistolino che compariva sulla copertina di Nevermind dei Nirvana, uscito esattamente trentant’anni fa nei prossimi giorni. Non credo dovrei farlo lo stesso: la copertina di Nevermind, una delle più iconiche, Dio quante volte ho parlato di icone oggi, di tutti i tempi, vedeva un bambino di quattro mesi, ovviamente ignudo, di qui il riferimento al pistolino, che nuotava in una piscina, attratto, questo sarebbe stato poi aggiunto in postproduzione, da un dollaro infilato in un amo. Succede quindi che il tizio, non lo nomino perché ritengo che proprio essere nominato fosse quel che andava cercando, dopo aver appena cinque anni fa posato nella medesima guisa, solo che col costume, tanto per far sapere che quel bambino era lui, e dopo essersi tatuato sul collo la scritta Nevermind, nel caso a qualcuno interessasse scoprirlo anche di persona, avesse scoperto di essere stato duramente turbato dal vedere esposte le sue pudenda in pubblico in così giovane età. Un fatto, sostiene oggi, che lo ha devastato, equiparabile, ha azzardato, a qualcosa che concerna con la pedopornografia. Del resto proprio nelle medesime ore in Svezia, non esattamente il paese più pudico del mondo, ricordiamo che è da lì che arriva, per fare un esempio, Tove Lo, veniva provvidamente ritirato dal mercato l’album Virgin Killer dei tedeschi Scorpions, perché la copertina mostra una ragazzina decisamente, questa la tesi del tribunale di Stoccolma, troppo giovane per essere mostrata completamente nuda, accusa: pedopornografia. La cosa che lascia spiazzati è che l’album è del 1985, un po’ fuori catalogo, anche perché oggi di album fisici, a occhio, se ne vendono pochini, fatto che induce a pensare che la notizia in questione abbia semmai riportato detta copertina all’attenzione del pubblico, pedofili inclusi. Comunque, mentre in effetti la bambina/ragazzina di Virgin Killer potrebbe in effetti avere qualcosa da ridire a riguardo, bambina/ragazzina oggi diventata donna intorno ai cinquanta, e per altro il ritiro non è dipeso da una sua denuncia, ma dall’aver trovato questa immagine in un sito del Dark Web che materiale pedopornografico raccoglieva, la richiesta del tizio di Nevermind è presto caduta in disgrazia. I genitori avevano a suo tempo pattuito una cifra, duecento euro, per far posare il neonato, e sottoscritto di conseguenza un contratto. Il fatto che poi quell’album, ripeto, sono trent’anni esatti dall’uscita in questi giorni settembrini, sia diventato forse il più importante degli anni Novanta, o sicuramente uno dei più fondamentali della fine del Novecento, traghettando di conseguenza il neonato nell’immaginario di milioni e milioni di persone, beh, quello non poteva saperlo nessuno, band compresa. Quello che questa buffa, chiamarla triste è eccessivo, vicenda ci potrebbe insegnare è che le immagini, nel rock, come nel pop, hanno un peso piuttosto centrale, e che comunque contribuiscono loro malgrado a creare un successo, nel caso dei Nirvana decisamente in maniera inferiore alla potenza distruttiva e autodistruttiva del suono del gruppo, quel mix di suoni hard e malinconico spleen, la voce lacerata e lacerante di Kurt Cobain, e via discorrendo. Visto che abbiamo parlato fin qui di film e serie tv, o che da film e serie tv siamo sempre partiti, direi che recuperare About a Boy, tratto dal romanzo di Nick Hornby, potrebbe essere un buon modo per raccontare anche questo album e la sua incredibile capacità di permeare il mondo, sempre a beneficio di un pubblico assai mainstream.

Vorrei ora chiudere citando i Maneskin, e vorrei farlo per un motivo assai bieco, di calcolo, i Maneskin in questo momento tirano parecchio, ci sono un nugolo di ragazzini che li cercano in continuazione, ma anche di adulti alla ricerca di un rigurgito di giovinezza, o magari attratti morbosamente dal loro essere assai giovani e fascinosi. Unico motivo, la loro forte carica di attrazione dei click, che potrebbe in effetti indurmi ora a scrivere di loro, volessi addentrarmi nelle spiegazioni tecniche di come il loro duetto con Iggy Pop, citato svariate righe sopra per essere la voce di quella Lust for Life che accompagna il monologo di Mark Renton all’inizio di Trainspotting, un numero risibile di streaming se paragonato a quello degli altri brani della band, compreso quelli del medesimo brano senza il suo feat, a riprova che il rock, il punk, musicalmente, con i Maneskin nulla ha a che fare, beh, finire per risultare quello che vuole fare il puntiglioso, in odor di rosiconismo (lo dico chiaramente, il verbo rosicare e i suoi derivati è quanto di più odioso io trovi al momento in circolazione, quindi autodefinirmi rosicone è qualcosa che vuole esprimere il massimo delle distanze possibili tra me e una posizione). Quindi ecco, se cito i Maneskin, e i Maneskin sono stati citati nel titolo, a fianco di Sex Pistols, Led Zeppelin e Nirvana è proprio per opportunismo, esattamente come hanno fatto tutti quelli che, negli ultimi mesi, li hanno citati anche una volta al giorno, e il fatto di star qui a dirlo non rende certo me migliore degli altri, ammettere di fare uno cosa per opportunismo non la stempera, credo, semmai rende me uno che vuole fare il furbo, ma credo seriamente, perché in fondo qualche tempo in una sala prove a suonar la chitarra ce li ho passati anche io, prima che i Nirvana esplodessero, per intendersi, che i Maneskin non si perderanno affatto la serie di Danny Boyle né il film di Mac Mahon, e credo che lo faranno non per opportunismo, ma per passione, così come credo che, con naturalezza e non con malafede, trarranno da quella serie e quel film spunti per altre idee, che faranno loro, pur riciclandole, come hanno fatto fin qui. In questo sì che i Maneskin sono rock e punk, nel loro non inventarsi niente. Non lo sono il loro pubblico, che più tecnicamente definirei di appassionati di Tik Tok, ma questa è un’altra storia, e se siete arrivati fin qui, immagino, non potete che vederla come me.