Il disastro La Figlia Oscura a Venezia 78, quando Elena Ferrante non funziona sullo schermo (recensione)

L'esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal è un mezzo disastro: La Figlia Oscura a Venezia 78 delude le aspettative. La recensione

La Figlia Oscura a Venezia 78

INTERAZIONI: 123

Non tutte le trasposizioni di Elena Ferrante sullo schermo escono col buco. L’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal con La Figlia Oscura a Venezia 78 delude le aspettative.

Tratto dal romanzo omonimo della stessa autrice de L’Amica Geniale, da cui è stata tratta la fiction Rai/HBO, la pellicola esplora il tema del rapporto madre/figlia attraverso gli occhi di una docente di letteratura italiana comparata, interpretata da Olivia Colman. Sotto il sole della Grecia, dove si trova in vacanza, Leda quasi diventa ossessionata da Nina (Dakota Johnson) e sua figlia, mentre le osserva in spiaggia insieme alla loro numerosa ed estenuante famiglia. Nina è una donna che ha avuto una bambina piccola quando era molto giovane, e ha un compagno che va e viene nella sua vita.

Leda le osserva tutti i giorni e rivede in Nina se stessa da giovane: lo specchio di una madre che si fa in quattro per cercare di bilanciare casa e lavoro. A quel punto la docente viene travolta da una miriade di sensazioni e ricordi sul suo passato, il suo rapporto con le figlie, ora adulte, e sa cosa vuol dire essere una madre spaventata e insicura delle scelte che ha intrapreso nel corso della sua vita. Il suo soggiorno è animato dall’aiuto-bagnino Will (Paul Mascal) e dall’anziano custode Lyle (Ed Harris).

Nonostante un cast brillante, e una protagonista sempre in parte, La Figlia Oscura a Venezia 78 fallisce nel trasmettere allo spettatore le stesse emozioni narrate sulle pagine del libro della Ferrante. I continui cambi di scena tra passato e presente creano una sorta di ponte nella narrazione, ma non bastano per spiegare alcuni comportamenti essenziali di Leda, che saranno fondamentali nella parte finale del film.

Olivia Colman è bravissima nei panni di Leda Caruso, una professoressa universitaria intelligente e in gamba, ma tuttavia a disagio nell’instaurare un rapporto con gli altri. Il suo passato ci viene svelato lentamente, così come il diverso legame che ha con entrambe le figlie (mostrate solo da piccole nei suoi ricordi). La narrazione risulta statica, senza particolare slancio emotivo, e si ha la sensazione che manchi la giusta empatia per potersi calare nei panni dei personaggi e capire le motivazioni che hanno spinto Leda, in particolare, ad agire in quel determinato modo nella sua vita, ma anche nel confronto finale con Nina.

Il risultato è un mezzo disastro, un dramma familiare. E La Figlia Oscura a cui si allude nel titolo, non viene mai del tutto identificata. Se non ai lettori del romanzo di Elena Ferrante.