Le parole di Draghi suonano al limite del cinismo, come una provocazione calcolata, foriera di peggiori conseguenze

E non c'è dubbio che di fronte ad ulteriori strette, vincoli, obblighi sanitari il numero degli insofferenti, degli incazzati, dei furiosi, dei lunatici aumenterà. Con conseguenze che è difficile calcolare


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Draghi ha parlato: potenziamento del green pass, vaccinazione obbligatoria, obbligo della terza dose. Quelli, praticamente tutti, che lo avevano salutato come un Messia democratico, sono serviti. Sono serviti anche quanti vogliono continuare a illudersi: mah, speriamo, non voglio pensare a un inverno come gli ultimi due. Speriamo? Non vorranno pensarci, ma non servirà a scongiurare un futuro di repressione e di tensioni anche peggiore. L’uscita di Draghi sembra determinata da calcoli tutti politici, per niente sanitari, che lo vedono sì al comando del governo come un uomo senza alternative, ma anche meno saldo, più logoro di quanto si potrebbe pensare. Anzitutto, l’aura di onnipotenza sullo scenario europeo di Draghi sembra, ultimamente, molto ridimensionata: il suo progetto di un G20 allargato per fronteggiare la questione afghana non trova sbocchi per l’opposizione della Cina – la quale, nel frattempo, non smette di acquisire realtà produttive nazionali anche con mezzi illeciti, ciò che i Servizi Segreti da tempo segnalano e con tanto di indagini della Guardia di Finanza, che ha scoperto una triangolazione via Hong Kong con una fabbrica ad alta tecnologia militare nel Pordenonese. Una situazione che lo sciagurato lockdown a oltranza ha drammaticamente agevolato indebolendo il tessuto imprenditoriale e dunque la tenuta sociale. Quanto all’alleato principale di Draghi, il francese Macron, non sta riscuotendo miglior fortuna con la sua proposta di una zona di sicurezza attorno all’aeroporto di Kabul. Una Unione (come sempre) imbelle finisce per indebolire i singoli leader europei e forse non è un caso che nella conferenza stampa di ieri Draghi si sia scagliato con toni inusitatamente violenti contro Bruxelles. Allo stesso tempo, non ha avuto pudore nel difendere l’operato di un ministro di polizia fallimentare come la Lamorgese, sulla quale grava la nuova invasione di migranti, destinata a diventare tracimante con i profughi dall’Afghanistan.
Il secondo aspetto dell’accelerazione autocratica del presidente del Consiglio sembra avere che fare con questioni squisitamente interne, all’insegna di calcoli anche di basso livello. Per la prima volta il PD, che ha praticamente imposto Draghi al governo, lo ha platealmente messo in discussione: la risposta immediata è stata nel senso di tranquillizzare la sinistra vaccinista e chiusurista a oltranza; allo stesso tempo, si è inteso stroncare le ultime, flebili, apparenti resistenze di Salvini e, ancora meglio, stanare Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia finora ha traccheggiato, restando all’opposizione ma in modo tutto sommato blando: non ha adottato nessuna iniziativa, si è ben guardata dal sostenere le proteste degli scettici, quando è stata sollecitata a prendere una posizione sui vaccini, sull’obbligo vaccinale, lo ha fatto con toni sempre cauti e possibilisti. La sua unica critica è stata sul lasciapassare, ma più che un attacco politico si è trattato di considerazioni anodine, improntate a puro buon senso: il green pass oggettivamente non serve ad arginare il contagio ma solo a stabilire chi si è immunizzato, fermo restando che l’immunizzazione si è rivelata aleatoria al punto da indurre ad una terza (e poi quarta? Quinta? Decima?) somministrazione. A questo punto, la Meloni dovrà fare qualcosa di più: se continua a barcamenarsi in modo inoffensivo non convincerà più, se si adegua perde immediatamente tutti i consensi racimolati, se cambia passo e inaugura una opposizione vera, aggressiva, finisce isolata da un centrodestra che di fatto non esiste – Forza Italia non è più nulla e comunque su obblighi e divieti è persino più accanita della sinistra, la Lega di fatto è governativa con tutto ciò che ne consegue.
L’ultima ragione è un sospetto, ma di quelli scabrosi. Dopo le prime, in verità timide, escandescenze “novax”, e le virgolette non sono casuali, l’informazione di regime ha avuto buon gioco nel demonizzare qualsiasi forma di scetticismo ragionato gettando ogni perplessità nel mucchio selvaggio degli estremisti, assai pochi in realtà. A questo punto, un governo particolarmente spregiudicato avrebbe buon gioco nell’inasprire i toni cercando lo scontro. Se riesce il gioco di dar fuoco alla prateria (in tempi lontani si chiamava “strategia della tensione”), qualsiasi giro di vite ne deriva automaticamente legittimato. E siccome gli italiani sono ormai assuefatti alla prigionia, non sarebbe un problema imporre nuove situazioni concentrazionarie per questioni di ordine pubblico invece che di pubblica salute. O magari confondendo i presupposti, mescolando la sicurezza con la profilassi. Tanto la gente non distinguerebbe, non se ne preoccuperebbe più.
Sono solo ipotesi, che però la memoria storica impone di prendere in considerazione e anche con una certa apprensione. Già adesso l’esasperazione si palpa, il Paese è stremato da vessazioni continue e cervellotiche, spesso insulse, evidentemente punitive; l’uscita di Draghi suona al limite del cinismo, come una provocazione calcolata, foriera di peggiori conseguenze. Da irresponsabile, insomma, ma con lucidità. E non c’è dubbio che di fronte ad ulteriori strette, vincoli, obblighi sanitari il numero degli insofferenti, degli incazzati, dei furiosi, dei lunatici aumenterà. Con conseguenze che è difficile calcolare, ma con una certezza: si rischia di andare alla guerriglia, alla guerra civile neppure tanto strisciante, da fronteggiare se non con le cannonate di Bava Beccaris, come già auspica l’ex sindacalista Cazzola, comunque con metodi brutali, militari. È questo che si cerca? L’involuzione da Stato democratico in Stato autoritario e magari totalitario? Ma alla dimensione autoritaria ci siamo già, la pregiudiziale democrazia è ampiamente travolta, la Costituzione allegramente violata col sostegno di giuristi di servizio, l’assuefazione al vivere condizionato, e pesantemente condizionato, è un dato di fatto. La politica si comporta come se il Paese reale non la riguardasse, dà l’impressione di considerare le elezioni niente più che una liturgia formale, da tenere il più tardi possibile e comunque quando i giochi sono ampiamente fatti. Quanto alla situazione economica, i politici di governo palesano addirittura un disinteresse che rasenta il disprezzo, come quando il ministro Gelmini va in televisione a dire con serenità indecente: sì, lo sappiamo che hanno chiuso già trecentomila realtà produttive e che rischiamo numeri molto peggiori, ma noi tiriamo dritto.
E tirano dritto. Nulla è stato fatto quanto a trasporti, strutture sanitarie, dotazione scolastica. I sostegni restano poco più che promessi, illusori. Tutto è fermo a un anno fa, a due anni fa, all’inizio della pandemia più pazza, meno compresa e peggio gestita di tutti i tempi. E l’Italia si riduce a provincia dell’impero, non più americano ma cinese. A qualcuno converrà pure.