Chi s’attendesse dall’allettante titolo italiano Il Gioco Delle Coppie una scoppiettante commedia di tradimenti e giravolte sentimentali sicuramente resterà deluso. Cioè, c’è anche quello: perché a voler restare allo scheletro della trama, il film in effetti racconta la storia dell’editore parigino Alain (Guillaume Canet) che ha una tresca con la sua dipendente Laure (Christa Théret). Nel frattempo la di lui moglie Selena (Juliette Binoche), nota attrice di una notissima serie tv, si consola andando a letto con un romanziere i cui libri sono pubblicati da Alain, Léonard (Vincent Macagne) che, a sua volta quindi tradisce la compagna Valérie (Nora Hamzawi), donna impegnatissima assistente personale d’ un uomo politico (no, non ci va a letto).
Allo stesso tempo c’è molto altro in questo film, passato anche in concorso alla Mostra di Venezia del 2018 e diretto da un regista colto e cinefilo come il francese Olivier Assayas. Il quale, per rendere subito chiaro il suo tipo di approccio a questo gioco delle coppie – in originale ha un titolo più serio ed enigmatico, Doubles Vies – immerge sin dalla prima sequenza la vicenda in una coltre interminabile di parole, che raffreddano immediatamente l’illusione di commedia e trasportano lo spettatore in un’atmosfera, e in preoccupazioni, di tutt’altro segno.
La prima scena è una conversazione tra Alain e Léonard. Niente paura, nessuna rivelazione di corna o regolamento di conti. Lo scrittore attende che l’editore gli dica se pubblicherà il suo ultimo romanzo. Alain, pur tra interminabili giri di parole, gli fa capire che non se ne farà nulla. Perché è stufo della continua autofiction di Léonard, capace soltanto di ripetere calligraficamente la sua storia personale, mettendo in piazza, talvolta in maniera imbarazzante, le vite altrui. La seconda ragione è che non vende abbastanza. La terza, che la realtà sta cambiando a un ritmo vertiginoso, e che l’editoria, se non vuole essere spazzata via dalla rivoluzione digitale, deve cambiare pelle. Per questo ha assunto Laure, esperta di transizione digitale, la quale pontifica dicendo che “il texting è una forma moderna di scrivere” o che “i tweet sono i moderni haiku”.
È questa l’altra, o la prima storia de Il Gioco Delle Coppie. Anche Selena, nata col teatro serio e il cinema d’autore, è stufa di interpretare la poliziotta in una interminabile serie tv che sì, è vero, le dà la fama e ha un’ottima stampa – ma tutte le serie sono ben recensite, ironizza lei –, però è un mestiere ripetitivo, che non le fornisce le risposte che ha sempre cercato nell’arte della recitazione (ma la soluzione qual è, tornare aristocraticamente ai classici?). Valérie invece, che ancora pensa idealisticamente alla politica come arte del governare, si infuria quando, soprattutto i suoi amici benestanti, sostengono con cinismo un po’ facile che invece è solo arte della comunicazione, che ha più a che vedere con l’ambizione personale del politicante di turno che con il bene comune.
E questo mondo ipervitaminizzato di notizie soprattutto false che rimbalzano dalle disintermediate fonti informative – addio vecchi giornali e vecchi editorialisti, oggi sono i social network e i tribuni della rete a plasmare l’opinione pubblica – non ha fatto altro che estremizzare la propensione all’individualismo e all’utilitarismo più spinto, secondo cui nessuno fa niente disinteressatamente.
- Canet, Binoche, Macaigne, Theret, Hamzawi, Greggory, Poitrenaux,...
Ne Il Gioco Delle Coppie Alain sembra il più attrezzato ai tempi nuovi. Spinge affinché la casa editrice riesca a trovare un modo per sopravvivere, senza subire la mutazione e invece interpretandola, e forse s’illude addirittura di poterla indirizzare. Anche perché a suo avviso i social non ci hanno davvero cambiato, semmai hanno fornito nuovi strumenti per dar fondo al nostro immutabile narcisismo. Dell’aggressività battutista che prolifera sui social network infatti dice che “è come nell’Ancien Régime. La gente condivide il proprio sarcasmo, è una cosa molto francese”.
Allora qual è la doppia vita cui allude il titolo originale del film? Si tratta della seconda identità, più graffiante, ribelle, stilosa, che ci creiamo nella dimensione smaterializzata del digitale? O, più prosaicamente, è l’altra vita che ci costruiamo, tra bugie, non detti e sotterfugi, nel nostro quotidiano molto concreto, tradendo il nostro partner e immaginando illusorie vie di fuga dall’asfissia del sempre uguale?
Il Gioco Delle Coppie racconta entrambe queste storie. È un film parlatissimo al modo del cinema francese d’una volta, che si svolge non tanto sui device tecnologici ma nelle chiacchiere molto parigine nei bistrot o tra le cene in appartamenti di squisita e sobria eleganza di una società affluente di radical chic o, dato che siamo in Francia, di bobo. Una vicenda che insegue e analizza le doppie vite che fabbrichiamo, tra cui pure quelle letterarie di Léonard, che nella sua tendenza quasi masochistica all’autofiction non riesce neppure a immaginarsi altro da sé, ponendo solo un fragilissimo strato di vernice appena un po’ smaltata sulla sua esistenza che vampirizza per tirarne fuori un libro da vendere. Vendere sì: perché a lui che ostenta atteggiamenti radicali e anticapitalistici, gli amici altolocati ricordano che è lì per la stessa ragione di tutti, fare cassa. Alain glielo dice senza mezzi termini che pure lui è un narcisista.
Olivier Assayas, maestro di lungo corso che proviene dalla critica dei Cahiers du Cinéma, ha sempre teorizzato la necessità di fare un cinema all’altezza dei tempi, consapevole delle origini ma non ingabbiato nella nostalgia passatista. “I miei film – ha detto – hanno ancora le loro radici negli anni Sessanta e Settanta, o nel cinema americano con il quale mi sono formato, ma sono animati dall’ossessione di osservare un mondo completamente diverso e dunque alla ricerca di una sintassi anch’essa diversa”.
Questa ambizione è palese ne Il Gioco Delle Coppie, che attraverso il chiacchiericcio interminabile – e anche, sì, volutamente fatuo – si pone costantemente all’inseguimento della nuova realtà, per raccontarla e non farsene travolgere. Però affiora continuamente anche, senza veli e consapevolmente, la nostalgia struggente per quell’altro mondo al tramonto. Emerge dalle parole paternalistiche che Alain rivolge a Laure, che a lui piace, ma che pure trova superficiale e troppo assertiva, come tutti quelli della sua generazione. Ed emerge soprattutto dalla sintassi del film, che in un autore avvertito come Assayas non è mai stata così composta, tersa, lineare, senza nemmeno un’inquadratura anche vagamente estetizzante.
È lo stile a tradire la sostanza de Il Gioco Delle Coppie. Uno stile che sceglie la semplicità. Sia per asportare il velo al fuoco di fila di parole che i personaggi pronunciano continuamente per raccontarsi diversi da come sono. Sia per guardare oltre gli schermi dei dispositivi che fanno ormai da filtro perenne. E così ritrovare la realtà attraverso un punto di vista che si sforza di essere oggettivo. Intendiamoci, nessuno meglio di Assayas sa quanto la pretesa oggettività dello sguardo cinematografico sia una fragile illusione. Ma in questo stato di cose, in un mondo del genere, per quanto la cosa possa apparire discutibile dal punto di vista teorico ed estetico, bisognerà pur correre il rischio di provare a raccontarla la realtà. E vedere se a un certo punto riusciamo a urtare contro qualcosa di tangibile che resiste alla nostra pressione ricordandoci che le cose, i fatti esistono ancora e non si sono volatilizzati nella smaterializzazione digitale. Come infatti accade in un finale, forse un po’ didascalico, che però a quella vita (non alla doppia o alla tripla delle nostre recite e avatar) ci riporta, per assumercene responsabilmente le conseguenze.