La rivincita delle audiocassette

Ricevo tante audiocassette, tra queste quella dei Fiskadoro, un gruppo di cui sentiremo davvero parlare e anche parecchio


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Tempo fa ho provato a fare un utilizzo utile di Facebook. Non ho scritto questa frase assemblando parole a caso, non succede praticamente mai, volevo proprio dire che ho scritto uno di quei post che partono con la dicitura “Facebook utile” e poi proseguono con una più o meno circostanziata richiesta di aiuto. Avevo necessità, ce l’ho ancora ma mi par di capire che non esiste soluzione al mio problema, di sapere se esistesse una qualche applicazione capace di rendere una fotografia una determinata opera d’arte. Non volevo, attenzione, rendere una fotografia un’opera d’arte, nel senso di dargli delle caratteristiche che evidentemente la foto in sé non dovrebbe presentare, né intendevo di rendere la foto come fosse un quadro qualsiasi di un determinato artista, ci sono applicazioni note che sopperiscono a queste necessità, metti una tua foto e la trasformano, piuttosto grossolanamente e in maniera discutibile, come fosse un dipinto di Frina Kahlo, di Van Gogh o altri artisti. A me serviva proprio che una mia specifica foto divenisse uno specifico quadro, e mi serviva per un progetto che sto preparando, ma ho scoperto che questa applicazione non esiste, e che quindi le immagini che avevo in mente, che richiamavano appunto a questo tipo di operazione, dovevano essere frutto di una mia fantasia, o al massimo dell’opera di un abile grafico.

Non è rilevante.

Quel che è invece rilevante, al fine del mio discorso, è che da quel momento in poi non ho fatto altro che ricevere su Facebook, su Instagram e su ogni social in cui sono capitato, ma anche sui banner dei siti che ho frequentato, pubblicità di applicazioni che trasformano in qualche modo le foto. Su tutte quelle che ti rendono praticamente un personaggio dei Simpson. Per giorni e giorni.

Non me ne meraviglio, sono anziano ma non troppo e so come funzionano le cose del mondo. Fai una ricerca e Google ti prende di mira per pubblicizzare quello che ritiene fa al caso tuo. Ricordo un episodio di qualche anno fa, quando Vittorio Zucconi, editorialista de La Repubblica che ha passato gli ultimi anni della sua vita a osteggiare, legittimamente e giustamente, il Movimento 5 Stelle, decise di prendere per il culo i grillini dicendo che, andato sul sito del movimento, aveva trovato come pubblicità quelle della pasta per le dentiere e dei Rolex, alla faccia del movimento giovane e proletario. Non passarono molti secondi prima che gli facessero notare, con tutta la protervia di violenza verbale che ormai ci è diventata consueta, come quelle non fossero inserzioni pubblicitarie del Movimento 5 Stelle, ma quelle relative alle sue ricerche in rete, quindi era lui a portare la dentiera e a cercare Rolex. Non esattamente una splendida figura, ma del resto Zucconi era un uomo del Novecento, ci stava che non sapesse le cose della rete, come di recente è capitato anche a Corrado Augias.

Ci è capitato a tutti, e ci è capitato anche in maniera decisamente più invasiva. Incontriamo un nostro amico che non vediamo da anni, e dopo pochi secondi Facebook ci indica come possibile amico sul social proprio lui, parliamo a tavola di questa o quella marca e di colpo ci viene proposta da Amazon o da qualche parte nel nostro smartphone. È evidente che siamo perennemente controllati, come recita del resto il famoso inciso che ci dice che se qualcosa è gratis allora il prodotto siamo noi. Google, i social, tutti usano i nostri dati e vendono i nostri dati, hai voglia a negare il consenso a questo o quello.

Da qualche settimana, diciamo anche mese, non nascondiamo dietro la vaghezza il nostro non essere sul pezzo, già abbastanza nascosto dall’aver usato la prima persona plurale invece di una più consona prima persona singolare, è disponibile su Disney+ una nuova serie che si intitola Next. È una specie di serie di fantascienza, perché si svolge oggi ma in un oggi vagamente più accelerato del presente, dove uno scienziato pazzo che ha costruito un impero informatico dal quale è stato estromesso dal fratello cattivo, di colpo si trova a combattere una sua personale battaglia, coadiuvato da FBI e altri personaggi, contro una macchina, uscita dalla sua azienda, capace di governare il mondo. Niente di nuovo, verrebbe da dire, è da Asimov che si vagheggia di un mondo in balia dei robot, solo che qui la macchina è un’entità astratta, che si muove in rete e tra server che si trova a occupare momentaneamente, capace di uccidere usando le tante tecnologie che ormai ci sono necessarie e di uso quotidiano, e controllandoci attraverso tutto quello che rende la nostra vita in balia della rete.

Non vi sto dicendo questo perché di colpo il mio notorio luddismo, quello che non mi fa utilizzare Spotify, anzi, che me ne fa dire ogni male, sta per passare a una fase successiva, scrivo online e veicolo i miei pezzi sui social, sarei piuttosto incoerente volessi azzardare questa strategia, e non lo dico neanche per indurvi a non utilizzare lo smartphone mentre siete in bagno, perché mentre voi state lì a navigare da qualche parte ci sarà qualcuno che sta guardando voi attraverso la videocamera sempre accesa e connessa del vostro amato telefonino, non è che vedervi mentre cagate sia questo grande spettacolo, e onestamente siamo otto miliardi, impensabile che per ognuno di noi ci sia qualcuno che ci controlla, qualcuno di umano e non un algoritmo, intendo, anche fosse che un algoritmo mi vede che cago, penso, non è la morte di nessuno.

No, vi dico questo perché ho ricevuto una audiocassetta, via posta ordinaria, e giuro che pensavo che la posta ordinaria fosse stata bandita da prima del Covid, tanto raramente mi capita ormai di ricevere lettere o pacchetti dal postino, accompagnata da una letterina scritta a mano, e la cosa mi ha ovviamente incuriosito.

Non è la prima volta che mi capita recentemente di ricevere una audiocassetta, premessa d’obbligo. Credo che la morte annunciata da tempo dei CD, morte annunciata da chi si era fatto bardo dello streaming, leggi alla voce “il CEO della Fimi” e verso la quale ora tutti stanno rivedendo le proprie posizioni, lo streaming fa guadagnare solo le aziende, e le aziende senza artisti indotti alla fame faticheranno a fare musica, e la contemporaneamente strombozzata resurrezione del vinile, resurrezione olografica, direi, perché i numeri di tale rinascita sono talmente esegui da indurre davvero a una riflessione su quanto il mercato discografico si sia col tempo eroso, forse neanche meriterebbe più di essere chiamato mercato, a questo punto, abbia indotto qualche artista a pensare che prima o poi sarebbe toccato anche alle audiocassette. Della serie, se tanto mi da tanto. Peccato, questo lo dice uno che ha avuto una collezione di audiocassette che sfiorava le diecimila unità, cioè io, che se col vinile si può parlare a ragione di ritorno a un suono migliore, quello analogico, e non certo per la puttanata del fruscio della puntina, quanto piuttosto per la tridimensionalità del suono, la presenza del rumore a dare profondità, nel caso delle audiocassette la qualità audio andrebbe incontro a un vero tracollo, forse anche peggio di Spotify, e dico forse solo per partito preso. Era un metodo assai poco fedele ai tempi, figuriamoci oggi, tra smagnetizzazioni, rallentamenti, scarsa fedeltà di suono e di resa.

Di fatto ho ricevuto svariate audiocassette, negli ultimi tempi, spesso con allegato un QR Code o un link per ascoltare poi il lavoro in streaming, perché magari, avranno pensato i mandatari, a parte la sorpresa di ricevere una audiocassetta nel 2021, ci potrebbe essere l’inconveniente di non avere più le piastre per ascoltarle, le audiocassette, come del resto ormai capita coi Cd e i DVD, per non dire dei VHS.

Stavolta però, e qui sta la vera sorpresa, e il motivo per cui ne parlo, la audiocassetta, mandata per posta e accompagnata da letterina scritta a mano, non indicava un ascolto alternativo, nessun link, nessun QR Code, niente. La letterina, anzi, andava a raccontare esattamente il motivo di questa scelta, del tutto alternativa a chi ha sposato l’idea di mandare audiocassette per colpire l’attenzione, e basta.

In sostanza quel che si dice nelle poche righe vergate di proprio pugno è che, in un’epoca digitale così frammentata e vaporizzata, chi ha scritto la lettera, evidentemente, ha letto Simon Reynolds e Mark Fisher, e perché no?, anche me, un’epoca che ci vuole bombardati da musica che non pretenda attenzione per l’ascolto, e che sia facilmente fruibile anche attraverso strumenti che non sono nati per l’ascolto, in momenti che non sono adatti all’ascolto, loro, la band che quella cassetta ha inciso, band di cui non vi sto svelando il nome per quel vezzo idiota che abbiamo noi scrittori di colpire a un certo punto il lettore con il corrispettivo di un colpo di scena, consapevoli, però, che i titoli di questi capitolo stanno lì a rovinarci la festa, il nome spiattellato a caratteri cubitali, alla faccia delle sorprese e dei colpi di scena, hanno optato per non essere in alcun modo presenti in rete, e di far circolare la propria musica solo fisicamente, adottando un modo, la audiocassetta, che richieda non solo tempo e dedizione per l’ascolto, ma magari anche l’utilizzo di un certo ingegno, della serie “dove avrò messo quel vecchio walkman che usavo da ragazzino?”, “come funzionerà mai quel Ghetto Blaster che si trova alla casa al mare dei miei?”, roba del genere. Certo, pretendere attenzione e richiedere un impegno partendo dall’essere sconosciuti, anzi, dall’essere sconosciuti e dal palesarsi per la prima volta come dichiaratamente ostili alla contemporaneità, al sistema, a quella rete che, parlo di me perché è a me che è arrivata l’audiocassetta di cui sto parlando della band di cui sto parlando senza averla ancora menzionata per nome, sapendo che è in rete che io poi scrivo sembra cosa arcana, ma del resto è pur vero che i miei pezzi hanno sempre nei banner Spotify, e non certo perché, come nel caso di Zucconi, io sia lì a cercare cose su Spotify, veramente non lo uso e non ce l’ho tra le mie app, direi che un minimo di contrasto in scena ci sta anche bene, rende il tutto più sapido e vivido.

Nel leggere le poche righe mandatemi dai Fiskadoro, questo il nome del gruppo in questione, wow, che sorpresa, starete tutti dicendo, gruppo riguardo al quale altro non so, non ci sono note biografiche di accompagnamento, non ho ovviamente trovato nulla di nulla in rete, se non un chiaro riferimento all’omonima opera letteraria, un romanzo distopico di Denis Johnson che ho letto in giovane età, edito in Italia una vita fa da Feltrinelli e ormai fuori catalogo, opera letteraria dalla quale i nostri prendono in prestito il nome, nel leggere le poche righe mandatemi dai Fiskadoro mi è stato ben chiaro che lo scopo del loro non essere presenti nel mondo di oggi, seppur presenti nel mondo di oggi alla loro maniera, era una scelta politica, ideologica, molto precisa. Del resto, a memoria, ma giuro che me lo andrò a rileggere, in Fiskadoro, il romanzo, c’è un personaggio, Mr Cheng o qualcosa del genere, che è un musicista che prova a mantenere vivo il ricordo della musica prima della catastrofe che ha reso la Terra morente com’è, seppur in assenza di strumenti musicali, tutti andati distrutti, i nomi le band non se li scelgono quasi mai per caso, credo. Quel che ovviamente mancava nello scritto, e che in qualche modo ha contribuito a spingermi a inserire quell’audiocassetta nel mio registratore portatile (sì, ne ho ancora due di quelli che vanno a audiocassette, oltre un paio di quelli digitali, sono nato anche io nel Novecento, come Zucconi e anche come Denis Johnson, seppur io sia più giovane di loro e soprattutto più vivo di loro), è anche ogni qualsiasi riferimento al genere musicale praticato dai Fiskadoro, niente di niente, nelle poche righe si faceva riferimento solo al motivo della scelta di non esserci, per essere alternativi a una contemporaneità catastrofica che spingerà il mondo (della musica e non) a un prossimo collasso, parola più e parola meno.

Ecco, la musica dei Fiskadoro, che non troverete su Youtube, su Amazon, su Spotify o ovunque voi siate soliti cercare musica oggi, né potrete ordinare su un sito che non c’è, ma che presto, dicono, sarà un po’ ovunque, dentro i bagni degli autogrill, sulle panchine dei parchi e delle fermate di autobus e metro, sui tavolinetti dei treni come sui banchi delle classi, a scuola, in una sorta, immagino, di pioggia casuale ma trasversale, è forse la cosa più interessante che mi sia capitata di ascoltare da qualche tempo a questa parte. Un mix di suono stoner, desertici, spigolosi e taglienti, con dentro la cupezza di certa new wave inglese, cori decisamente melodici, alla Teenage Fanclub di quando ancora c’era Mr Love con una voce guida decisamente dotata di personalità, una specie di mix tra il David Byrne dei primi Talking Heads e il Mark E. Smith più  drogato che vi possa venire in mente. Tutto suonato, e su questo non avevo dubbi, e tutto in italiano, con degli inserti di voce femminile, recitante, che avrebbero potuto trovare tranquillamente spazio su un side project dei Massimo Volume. Testi che sembrano presi dai romanzi di Willy Vlautin, dai racconti di Sam Shepard, ma che hanno il Centro Italia come riferimento, non voglio spoilerare nulla, ma ci sono riferimenti precisi, che ruotano intorno a quella parte di Italia che sta tra il Po e la linea del Mezzogiorno.

Non ho affatto memoria della trama di Fiskadoro, a parte l’ambientazione apocalittica e una scrittura incisivissima, come quasi sempre nel caso di Johnson, né so se i Fiskadoro siano a conoscenza di Next, dubito che chi non usa neanche una mail sia tra i fruitori della piattaforma web della Dinsey, ma di questi ragazzi, sempre che siano ragazzi, credo sentiremo davvero parlare e anche parecchio. O meglio, ci troveremo a parlare, perché anche solo scriverne, qui, adesso, mi sembra in qualche modo un tradimento della loro battaglia.