Sull’ordine, la memoria e le leggende metropolitane del pop

Tra le leggende metropolitane che vi cito c'è quella che vuole la trap come la vera musica dei nostri giorni, una sorta di proiezione musicale dello zeitgeist

Photo by Marco Del Torchio


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Sin da quand’ero piccolo esiste questa leggenda metropolitana che mi accompagna, leggenda che vuole io sia una persona estremamente disordinata. Leggenda suffragata, più che da dati concreti, da quelli estetici: sono riccio, e lo sono ovviamente da sempre, difficile essere pettinati se si è ricci, da adulto ho cominciato anche a portare la barba piuttosto lunga, e anche qui, siccome non mi perdo dietro gesti effimeri, la barba se ne sta lì a crescere un po’ come vuole, vesto anche senza prestare eccessiva cura a quella che in fondo è una necessità borghese e ipocrita, coprire quello che natura ci ha messo a disposizione, e magari noi abbiamo contribuito a forgiare (nel mio caso a ammassare), e chi veste in t-shirt e jeans, è noto, viene spesso scambiato per uno un po’ raffazzonato, dalle mie parti, nelle Marche, si direbbe “sdrogio”. Nei fatti sin da piccolo io sono quello disordinato, questo nonostante, non saprei dire neanche esattamente per quale motivo, sono in realtà di un ordine quasi maniacale, so sempre dove trovare un libro, per dire, nonostante io abbia una libreria che contiene svariate migliaia di tomi, non certo messi lì alfabeticamente, men che meno cromaticamente o per case editrici, idem per i Cd e i vinili, i documenti di casa, so dove si trova qualsiasi cosa, solo che quello che per me è ordine per gli altri è disordine, sempre che poi essere disordinati sia un difetto e non, magari, un pregio, sintomo di una carenza di allineamento all’omologazione vigente, vedi alla voce libertà.

Sin da quand’ero piccolo, quindi, esiste questa leggenda metropolitana che mi accompagna, leggenda che vuole io sia una persona estremamente disordinata.

Niente di più lontano dal vero.

Del resto, il mondo è davvero un posto meraviglioso, esiste un’altra leggenda metropolitana che vuole che io abbia una memoria ferrea, quando lavoravo in radio venivo spesso introdotto così, “Michele, tu che sei una memoria storica del nostro panorama italiano”, e lo stesso mi è capitato di sentirmi dire in occasione di tanti eventi pubblici, “memoria storica”, “enciclopedia”, roba del genere. La cosa, confesso, mi fa parecchio ridere, perché come ho più volte raccontato, in realtà ho una memoria assolutamente flebile, con dei buchi anche piuttosto impressionanti, fatto che darebbe parecchio da lavorare una bravo terapista, io fossi tra quanti concedono fiducia alla psicoterapia. Al punto che ho iniziato a scrivere anche per questo, per sopperire al fatto che prima o poi avrei dimenticato quel che mi è successo, e anche contando sul fatto che la scrittura, specie quella di fantasia, tende a dirci cose che lucidamente non ci diremmo o non diremmo agli altri, nel mio caso andando a sopperire proprio a questa mancanza notevole, dimentico tutto.

Sin da quand’ero piccolo, quindi, ripeto, esiste questa leggenda metropolitana che mi accompagna, leggenda che vuole io sia una persona estremamente disordinata, accompagnata poi da quella che io sia in qualche modo dotato di una notevole memoria, applicata al campo della musica leggera.

Ora, chi sarò mai io per dover contraddire addirittura delle leggende metropolitane, credenze non ancorate a alcuna tradizione, va detto, ma comunque calcificate nel tempo e passate ormai in giudicato al punto da non essere neanche considerate ipotetiche, certezze radicate al punto da essere date per scontate?

Diamo per assodato che queste leggende metropolitane, a differenza di quelle elencate a suo tempo in maniera metodica dagli Elio e le Storie Tese in Mio cuggino, dai coccodrilli nelle metropolitane di New York al tizio che si sveglia dopo una notte selvaggia di sesso e trova la scritta fatta col rossetto sullo specchio del bagno “benvenuto nell’AIDS”, siano tutte rispondenti al reale, diamo cioè per vero che io sia disordinato ma dotato di una grande memoria, seppur selettiva, quindi applicata al campo della musica, come tutto questo può darmi agio di parlare, a questo punto, è quello che in genere faccio, seppur alla mia personalissima maniera, di musica?

Semplice, provando a accodare a queste elementari leggende metropolitane che hanno lo scrivente, cioè me, per protagonista, altre leggende non meno infondate che hanno per protagonisti personaggi che del mondo della musica sono, o ambirebbero a essere, o qualcuno ambirebbe a far diventare, protagonisti.

Non posso che cominciare, quindi, con una che, credo, sia paragonabile ai coccodrilli albini che infesterebbero le metropolitane di New Yorl, appunto, ovverosia la annosa questione che vuole Francesca Michielin polistrumentista. In genere, è cronaca, quando faccio notare che per essere polistrumentisti toccherebbe saper suonare bene, molto bene, strumenti non appartenenti alla medesima famiglia, della serie che se suoni chitarra elettrica, classica, acustica e strimpelli basso o ukulele no, non sei un polistrumentista, mi viene detto che però lei, giovane, anche se non più giovanissima, sta studiando molto, frequenta il conservatorio, che è un po’ come dire che se ti iscrivi a un corso di nuoto perché sai stare a malapena a galla potresti già ambire a definirti nuotatore olimpionico. Di questo ho parlato più volte, l’ho buttata in esergo giusto per sgranchirmi le gambe.

Un’altra è che alcuni artisti, penso a Mengoni, alla Pausini, a Emma, volendo anche alla Mannoia, tanto per fare un ventaglio abbastanza ampio, sarebbero cantautori, perché, in mezzo a altri venti autori, hanno messo la propria firma in calce a qualche loro canzone. Bene, anzi, male, malissimo, perché essere uno dei tanti autori di un brano, spesso composto a comparti, qualcuno si occupa delle strofe, qualcuno il bridge, qualcuno il ritornello, il cantante si limita a metterci in qualche modo le mani, sempre che ce le metta e non si limiti a firmare per mere questioni editoriali (non sto parlando dei nomi in questione, ma è noto che cantanti più o meno noti chiedano una sorta di gabella agli autori, della serie, ti canto la canzone, ma tu me la fai cofirmare, così mi prendo parte dei diritti d’autore). Cantautore è una sciocca definizione italiana, perché nei fatti anche Gabry Ponte è un cantautore che si canta le canzoni che scrive, ma se vogliamo rifarci ai canoni del cantautorato, quindi che cantuatore sia colui che scrive canzoni inerenti al genere leggero ma non troppo che poi va anche a cantare, per poterti chiamare così devi essere in grado di scriverti almeno una delle due parti fondamentali del brano, la parte musicale o il testo, se da solo non sai fare né l’uno né l’altro sei un impostore.

Altra leggenda piuttosto in voga, il mercato ora si regge tutto sullo streaming. Il successo clamoroso di Mille, brano che vede coinvolti Fedez, Achille Lauro e Orietta Berti, milioni e milioni di stream e di views, con la Berti che attesta che ancora non ha visto un centesimo dimostra come non sia da quelle parti che gira il mercato, sempre che un mercato ci sia, e che quando Pharrell Williams diceva che da stream e views non guadagnava nulla c’era da credergli.

Del resto, sempre stando alle leggende, ci è stato detto che i Maneskin stavano riportando in vita il moribondo rock, e per farlo si sono citato i numeri altissimi ottenuti su Spotify e affini, citando però, a cazzo, fantomatici code di ragazzini davanti ai negozi di strumenti o davanti alle scuole di musica, intenzionati a mettere su una band, salvo poi accorgersi che a seguire i Maneskin sono prevalentemente bambini e preadolescenti, che in Italia, per altro, i numeri fatti sono assai inferiori a quelli ottenuti all’estero e che quando si sono voluti togliere lo sfizio di collaborare a distanza con un mostro sacro come Iggy Pop, non solo si sono beccati le critiche dei propri fan, che li hanno accusati di aver chiamato con loro un vecchio che ha rovinato la canzone, ma addirittura hanno ottenuto numeri assai inferiori ai loro standard, incontrando il solo flop di questi ultimi tempi. Il rock è altra faccenda, è evidente, w questi ragazzi e il loro sacrosanto successo presso chi usa tik tok e affini.

Ultima leggenda metropolitana che volevo citare, così, aspettando che finisca l’estate e si torni a parlare di altro, ovviamente non di musica ma di chiusure e affini, è quella che vuole la trap come la vera musica dei nostri giorni, una sorta di proiezione musicale dello zeitgeist. Se anche voi come me avete avuto la sventura di passare l’estate ascoltando le radio italiane saprete che le canzoni che girano continuano a essere quelle cagate che ci ostiniamo a chiamare “tormentoni estivi”, come se fosse una nota di merito, spesso occhieggianti al reggaeton, con collaborazioni improbabili, quest’anno andava di moda la geriatria, testi demenziali che spesso citano a caso cocktail e nomi di città esotiche e che nulla hanno a che spartire con la trap, genere che fa altrettanto cagare, è evidente, ma che a parte questo si muove su altri orrendi terreni musicali.