Ferie D’Agosto, il ritratto in commedia degli italiani firmato Paolo Virzì

Destra conto sinistra, intellettuali snob contro gente del popolo. Un racconto balneare polarizzato in fazioni che racconta in presa diretta i cambiamenti del paese. Per capire cosa ci divide e cosa ci unisce

Ferie D’Agosto

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La frase più citata di Ferie D’Agosto, opera seconda che impose definitivamente Paolo Virzì e che ormai ha superato la boa dei venticinque anni (uscì nell’aprile del 1996) resta sempre quella in cui il burino destrorso con la grana Ruggero Mazzalupi (Ennio Fantastichini) dice a brutto muso a Sandro Molino (Silvio Orlando), giornalista dell’Unità esemplare ante litteram dei radical chic, che voi gente di sinistra “Non ce state più a capì un cazzo ma da mo”.

Ricordiamo che eravamo nei primi anni ruggenti del berlusconismo, “sceso in campo” appena due anni prima. E da allora quella frase è stata ritirata fuori infinite volte per la sua capacità di sintetizzare in maniera, pare, inappellabile le famose colpe della sinistra snob che c’ha i soldi ma si lamenta, incapace di leggere il presente e soprattutto, come si dice, di entrare in contatto con la “pancia del paese”.

Che poi, volendo restare dentro il ritratto sociologico/politico volutamente spicciolo imbastito da Virzì insieme al fido cosceneggiatore Francesco Bruni (diventato poi buon regista di suo), ce ne sarebbe un’altra di frase del film, che passa quasi inosservata, che potrebbe essere persino più profetica. È quella in cui Cecilia (Laura Morante), volendo rinfacciare al compagno Sandro la sua stitichezza sentimentale, gli rilegge una serie di bigliettini conservati nel tempo: da uno di questi, oltre alla sua anaffettività, veniamo a sapere che i due, una volta, sono andati a vedere uno spettacolo di Beppe Grillo.

E non è difficile immaginare che, forse non proprio loro due, ma diversi di quell’entourage riunitosi per le vacanze a Ventotene, amici intellettuali che esibiscono uno stile di vita anarcoide e antiborghese, con la coppia lesbica, il primo marito di Cecilia attore mezzo fallito, un mediatore culturale con acchiappo compulsivo che nessuno capisce quale sia il suo lavoro (“Faccio workshop, sono dei seminari internazionali che organizzano i paesi in via di sviluppo per conto di associazioni non governative”); ecco non è difficile immaginare che poi qualcuno tra questi, nel tempo, sia stato sedotto dall’antipolitica qualunquista e movimentista. Finendo magari, partendo da opposti lidi, per ritrovarsi insieme agli orgogliosamente qualunquisti Mazzalupi, che dichiarano tranquillamente di averli votati tutti i partiti e di non credere alla politica.

Ferie D'Agosto
  • Orlando/Ferilli/Mora (Actor)

Che poi in Ferie D’Agosto, a ben vederlo, il giochino delle parti contrapposte costituisce solo il dispositivo che permette a Paolo Virzì di intercettare l’attenzione dello spettatore, il suo bisogno di immedesimazione, consentendogli di fare ciò che gli sta veramente a cuore. Ossia raccontare, in una commedia corale stipata di personaggi, un pezzo di Italia, così da scandagliare quell’enorme mistero sempre sfuggente e, checché se ne dica, in perenne mutazione, che è il carattere degli italiani.

Anche la scelta del filone vacanziero rappresenta un dispositivo ideale per giungere più velocemente all’obiettivo. Un po’ perché, nel contesto informale delle ferie, si sa, gli italiani si rilassano e forse tendono a mostrarsi per quello che sono davvero. Poi anche perché è solo d’estate che è possibile si materializzi l’incontro tra i Molino riflessivi senza energia elettrica e tv che amano citare Montale e le canzoni anarchiche di Pietro Gori, e i Mazzalupi, negozianti con la passione delle armi, il karaoke e il vippismo di piccolo cabotaggio televisivo.

La cornice vacanziera poi, rappresentò anche l’espediente, come ha dichiarato lo stesso Virzì, che gli consenti di far digerire al suo nuovo produttore Cecchi Gori una storia che invece andava in tutt’altra direzione: “Pensai che potevo infinocchiarli allestendo una commedia balneare che al primo colpo d’occhio potesse assomigliare ad una commedia dei Vanzina per nasconderci dentro qualcos’altro”.

Però Ferie D’Agosto, ed è il suo pregio e la sua novità maggiore rispetto al contesto di allora del cinema italiano, non indugia né nella deformazione un po’ cinica alla Vanzina né nella nostalgia alla Salvatores. Senza la scorciatoia delle battute facili (Vanzina) – la sua resta una commedia di caratteri e situazioni – e delle facili fughe nell’altrove (Salvatores). Questo perché Virzì, venticinque anni fa come oggi, vuole idagare il qui e ora del paese. Non per insegnarci cosa dobbiamo pensare, ma per capire, lui per primo, come stanno davvero le cose di questo paese balordo che gli sta enormemente a cuore.

Così prende forma l’anima più autentica di Ferie D’Agosto. La quale, al netto delle contrapposizioni sociologiche fortemente polarizzate, mira a individuare i punti di scontro, frizione e incontro in cui i due mondi apparentemente agli antipodi finiscono per toccarsi. Talvolta rovinosamente, la rissa tra Ruggero e Sandro a causa dell’incidente che ha portato al ferimento dell’immigrato Tewill (Oumar Ba), ingegnere senegalese che per campare fa il venditore ambulante; talvolta attraverso avvicinamenti effimeri (Gigio Alberti che riesce a far l’amore sulla spiaggia con Sabrina Ferilli) o sinceri (Piero Natoli, succubo del cognato Ruggero, che si confessa alla ex di Sandro interpretata da Antonella Ponziani). Ne emergono debolezze, insicurezze, frustrazioni nelle quali le distanze s’appianano e si riesce a scorgere qualcosa che, al di là delle pur consistenti differenze, ci accomuna.

E sarà pure didascalica la notte delle stelle cadenti in cui tutti esprimono il loro desiderio, ma possiede una sua affettuosa esattezza, a partire dallo sguardo di Virzì che certo tende naturalmente verso la tribù dei Molino – pur infastidito da certe loro esibite affettazioni –, ma si sforza di non ripeterne gli errori, cercando di capire come funziona il mondo dei Mazzalupi. Ed è proprio nella fusione e confusione del ritratto corale che Ferie D’Agosto trova la sua cifra migliore, attraverso, come ha scritto Luca Malavasi, “certi personaggi fortemente impastati di realtà, umanissimi e al tempo stesso deformi come solo certi bozzetti dei migliori Scola e Monicelli”. Personaggi e storie in cui si ritrova quella connessione apparentemente perduta tra cinema e società, che appartiene alla migliore commedia all’italiana, di cui Virzì resta l’unico e autentico rappresentante oggi.