Il Sorpasso, a ferragosto insieme a Bruno Cortona, sfrecciando in spider lungo l’Italia del boom

Il film di Dino Risi del 1962 coglie in tempo reale trasformazioni, ambizioni, l’euforia del paese del miracolo economico. E insieme le insicurezze, la malinconia, il senso di fallimento degli uomini presi uno per uno. Stasera alle 21 su Cine34

Il Sorpasso

INTERAZIONI: 981

La prima inquadratura de Il Sorpasso mostra una decappottabile che sfila per le strade deserte di una Roma ferragostana ad alta velocità, col jazz sincopato di Riz Ortolani a rendere ancora più urgente la sensazione implacabile di rapidità. La macchina da presa è collocata nell’abitacolo, dietro il conducente, lo spettatore ne ricava la sensazione fisica d’essere pure lui insieme a Bruno Cortona (Vittorio Gassman) del quale, oltre alle spalle, possiamo scorgere il volto riflesso nello specchietto retrovisore.

Attraverso questa immagine duplice il film sembra suggerirci l’ambivalenza del personaggio. Indice, chissà, di doppiezza e inaffidabilità, magari di inconcludenza, o di inguaribile narcisismo. Sia quel che sia, lo spettatore è comunque spinto a fidarsi poco di un tipo simile, che si muove troppo in fretta e pare troppo sicuro di sé. Ragione di più per scendere il prima possibile dall’abitacolo.

Invece Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant), giovane universitario rimasto a casa a studiare il 15 agosto, lo fa salire in casa pur non conoscendolo, per permettergli di fare una telefonata. In men che non si dica si ritrova a sfrecciare sulla Lancia Aurelia Sport supercompressa di Bruno, invitato controvoglia ad andare a prendere un aperitivo nelle vicinanze di questa assolata Roma estiva, d’una lucentezza che abbaglia, ma pure d’una solitudine che mette i brividi.

La frittata è fatta: l’aperitivo si trasformerà, lungo la via Aurelia, in un pranzo a Civitavecchia, un pomeriggio nostalgico dagli zii di Roberto a Grosseto, poi è un attimo andare a cenare a Castiglioncello, dove Bruno s’imbatte in un commendatore cui deve spiegazioni d’un certo affaruccio, e poi più su sino in Versilia, dove c’è l’ex moglie che non ha troppa voglia d’incontrarlo. Nel mentre sono continue le deviazioni, al cimitero per seguire due turiste tedesche appetitose, dando un passaggio a un contadinotto con la fregola per le auto sportive e sgasando a più non posso in gare improvvisate con altri automobilisti per vedere chi è il più veloce.

Il Sorpasso
  • Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak (Actors)

Il Sorpasso è un film proverbiale, sul quale è stato detto tutto. Diretto da Dino Risi sulla base di una sua idea sviluppata da Rodolfo Sonego e pensata per Alberto Sordi, al rifiuto dell’attore di interpretarlo cambiò produttore (da Dino De Laurentiis a Mario Cecchi Gori), sceneggiatori – lo firmarono Ettore Scola e Ruggero Maccari, del nome di Sonego nei titoli di testa non c’è traccia – e pure attori, con Gassman nella parte del fanfarone (in Francia il film s’intitolò proprio così, Le Fanfaron), e Trintignant in quella dello studentello spaurito.

Il Sorpasso fu il campione d’incassi del 1962, quasi un miliardo e 200 milioni, grazie alla potenza del passaparola (mentre le recensioni furono più tiepide). Il film aveva punto sul vivo il pubblico, che si riconobbe in questo prototipo di road movie, come scrisse Tullio Kezich, “dall’andamento libero e picaresco”, con una sceneggiatura volutamente a maglie larghe – infatti sul set molto s’improvvisò –, basata sull’accumulazione di scene, caratteri e situazioni, e soprattutto sul principio che dall’auto che sfrecciava per l’Aurelia si cogliessero in presa diretta le trasformazioni di un paese ritratto in uno dei fondamentali nuovi riti del boom economico, le vacanze estive.

Il Sorpasso è la storia di due uomini dai tratti archetipici, uno aitante sbruffone e ciarliero sempre a caccia di una gonnella e dell’affare che lo faccia svoltare (non troverà nessuno dei due), l’altro timido complessato e inadatto alla vita. Insieme, il film è pure un affresco quasi documentario sull’Italia del miracolo economico – da qui l’uso del teleobiettivo, che dà a certe inquadrature il sapore di immagini rubate dal vero –, stipato di tipi modernissimi, donne indipendenti, lolite (Catherine Spaak come figlia di Gassman), imprenditori col pallino della grana (Claudio Gora, che trova Roma “triste umida e antilavorativa”), e canzoni (tutte le hit d’epoca, da Edoardo Vianello a Peppino di Capri), film (L’Eclisse di Antonioni con cui Bruno s’è fatto una pennica), elettrodomestici, spiagge congestionate, motoscafi e ovviamente automobili.

Il film restituisce nella velocità della Lancia Aurelia e nel tempo scandito continuamente dagli orologi il senso d’una urgenza concitata, sebbene al fondo non ce ne sia motivo. Roberto infatti dice sempre di dover tornare a Roma a studiare ma non ne ha chiaramente nessuna voglia. E Bruno, al netto delle sue infinite millantate occupazioni, non ha in buona sostanza nulla da fare. Anzi, caricarsi sull’auto quell’amico improvvisato gli permette di evitare di passare il ferragosto con la madre, nella cui casa è probabile che viva ancora a quasi quarant’anni.

Bruno Cortona può sembrare sulle prime un diavolo tentatore che fa deviare Roberto dalla retta via. In realtà è solo un immaturo e un cialtrone, che delle promesse del boom non è stato capace di cogliere le opportunità economiche, accontentandosi sconsideratamente del sogno irresponsabile della bella vita (in inglese il film s’intitolerà The Easy Life, pare suggestionando pure Dennis Hopper per il suo Easy Rider). In un certo senso e fino a un certo punto, con la sua superficialità congenita tutta istintiva, finisce anche per far bene a Roberto, spingendolo a tacitare la voce del super Io – che infatti smette di parlargli – e a lasciarsi andare quel tanto che serve per provarci con la ragazza dei suoi sogni.

Non dobbiamo però illuderci, dietro l’angolo non ci attende il lieto fine. Ne Il Sorpasso i segnali funebri sono troppi: le tombe etrusche che interessano a Roberto, il cimitero tedesco, gli automobilisti della Seicento che, sorpassati con una manovra killer da Bruno commentano “Questi non campano mica tanto”, un incidente mortale sull’Aurelia. Anche la spider fiammante di Bruno, a guardarla bene, non è esattamente tale. Come ha notato Tatti Sanguineti, si tratta di un’Aurelia Gt 24s., un modello degli anni Cinquanta quasi obsoleto. Più che status symbol del ricco arrivato, è il simbolo del “vorrei ma non posso” d’un fanfarone che s’atteggia ma non quaglia. Infatti Bruno ogni due per tre si lamenta dei problemi meccanici di un’auto che ha pure una fiancata della carrozzeria di un altro colore, ulteriore preoccupante segno di decadenza.

Così, attraverso questi elementi lo spettatore è surrettiziamente spinto dalla commedia verso il dramma, che si riflette in quelle strade troppo affollate, in quelle spiagge troppo rumorose stipate di una euforia troppo insistita per risultare veritiera. E la tragedia diventa duplice, individuale dei protagonisti e collettiva d’un paese, tutti insieme lanciati a una velocità di cui prima o poi bisognerà pagare il prezzo.

È un ulteriore merito di Dino Risi, però, la sua capacità di non assumere mai la posa pensosa del moralista. E al contrario, di far emergere la sua presa di distanza critica in maniera naturale dalla storia de Il Sorpasso. Che resta, grazie alla struttura episodica da road movie, un racconto ellittico che allude ma non fa dichiarazioni stentoree, ausculta sintomi ma non emette sentenze, mostra le debolezze di personaggi alle cui imperfezioni guarda con affetto, però senza sconti. Restando accanto a Bruno, nell’abitacolo della spider, sino alla fine.